Egregio Avvocato
Pubblicato il 16 feb. 2022 · tempo di lettura 2 minuti
Secondo la tesi prevalente, tale norma evidenzia come per l’ordinamento i doveri morali e sociali vigenti in un certo contesto storico/culturale possano costituire valida “causa solvendi”, cioè una ragione idonea a giustificare uno spostamento di ricchezza, consistente nel pagamento realizzato. Ciò in conformità al divieto generale di arricchimenti senza giusta causa.
Per converso, gli stessi doveri morali o sociali non permetterebbero di giustificare ulteriori effetti normalmente correlati alla disciplina delle obbligazioni.
In particolare, diversamente dalle obbligazioni “civili” normalmente intese, le obbligazioni naturali non sarebbe passibili di tutela giurisdizionale: il creditore naturale, cioè colui che in base all’asserito dovere avrebbe diritto a ricevere la prestazione, non potrebbe agire in giudizio per ottenere il pagamento dovuto. L’unica tutela che l’ordinamento gli riconosce è, infatti, quella di ritenere il pagamento una volta che lo abbia ricevuto.
La legge contempla espressamente alcune ipotesi di obbligazioni naturali, quali il pagamento del debito di gioco (ma, secondo la tesi prevalente, solo nel caso di gioco “tollerato” e non per il gioco proibito) o la fiducia testamentaria.
Più controversa è invece l’ipotesi del debito prescritto: per alcuni si tratterebbe di un'obbligazione naturale che prende il posto di quella civile, estinta al momento stesso della prescrizione; per altri la prescrizione opera solo se viene fatta valere in giudizio e sarebbe possibile agire in giudizio per ottenere il pagamento del debito prescritto (salva la possibilità per il convenuto di evitarlo eccependo la prescrizione).
Accanto a queste tipiche, ne esistono delle altre, atipiche, che costituiscono casi in cui i doveri della morale sociale di volta in volta rilevanti, normalmente irrilevanti ai fini del diritto, vengono “elevati” a obbligazioni con una qualche rilevanza giuridica.
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Egregio Avvocato
12 gen. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
L’art. 116 c.p. disciplina il c.d. concorso anomalo, cioè un’ipotesi di concorso di persone nel reato che si verifica quando dei soggetti si accordano per commettere un certo reato, ma viene poi commesso un reato diverso da quello voluto da taluno di questi. La norma prevede che tutti i concorrenti rispondano del reato effettivamente realizzato.Tale fattispecie – originariamente – configurava una ipotesi di responsabilità oggettiva, per la quale i soggetti agenti sono responsabili per il solo fatto di aver preso parte al programma criminoso, indipendentemente dalla loro partecipazione psicologica al reato commesso.È il caso che si verifica quando due soggetti programmano il furto in un appartamento creduto disabitato, prevedendo che uno resti fuori a fare il “palo” e l’altro si introduca nella casa, dove si scopre la presenza di qualcuno; se l’agente all’interno muta il programma originario, finanche sparando e uccidendo, il “palo” potrebbe rispondere in concorso anomalo con l’altro nella rapina e nell’omicidio, anche se i due non avevano concordato, in ipotesi, neppure l’uso delle armi.Secondo la tesi prevalente, la norma deve essere riletta in senso conforme alla Costituzione, che pretende l’accertamento, in ogni ipotesi di reato, del coefficiente di colpevolezza minimo in capo all’agente, attestante un collegamento anche psicologico tra autore e reato. Esso consiste, secondo taluni, nella colpa; secondo altri nella prevedibilità in concreto dell’evento realizzato.Nell’esempio, sarà necessario accertare in concreto che il “palo” fosse in colpa anche rispetto alla verificazione dell’evento morte – cioè che questa fosse prevedibile ed evitabile nell’adempimento degli obblighi cautelari che gli erano imposti nello svolgimento della sua attività; ovvero che, in relazione al concreto contesto nel quale doveva svolgersi l’azione, era prevedibile che si sarebbe verificato l’evento omicidiario.
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Egregio Avvocato
17 nov. 2021 • tempo di lettura 1 minuti
In diritto civile, si parla di «simulazione» per individuare l’ipotesi in cui due o più soggetti stipulino un contratto che in realtà non vogliono e fingono di volere, per creare un’apparenza contrattuale difforme dalla realtà contrattuale effettivamente voluta.Per realizzarla le parti ricorrono a più negozi, quali: il «negozio simulato», cioè il contratto stipulato per creare la situazione di apparenza, i cui effetti non sono in realtà voluti;l’«accordo simulatorio», o c.d. «controdichiarazione», che si affianca al negozio simulato e con il quale le parti convengono che il negozio simulato non abbia effetto tra loro, eventualmente stabilendo quali effetti diversi vogliano produrre;in quest’ultimo caso, cioè la simulazione c.d. relativa (in cui le parti hanno inteso stipulare anche un contratto diverso da quello che appare), viene concluso anche il «negozio dissimulato», cioè il contratto realmente voluto dalle parti.Tale contratto non figura nei casi di simulazione c.d. assoluta, in cui le parti convengono che non si costituisca tra loro alcun contratto.La simulazione può colpire diversi elementi del rapporto contrattuale (ad esempio il tipo di contratto, l’oggetto, alcune sue clausole). Può riguardare anche l’identità di una delle parti: è il caso della c.d. interposizione fittizia, in cui i contraenti, ad. es. Tizio e Caio, stipulano, con il consenso di Sempronio, un contratto simulato tra loro, mentre il contratto dissimulato (realmente voluto) viene stipulato tra Tizio e Sempronio. In questi casi, la simulazione viene utilizzata per occultare all’esterno l’identità di una delle parti.
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Egregio Avvocato
14 mar. 2022 • tempo di lettura 5 minuti
L’art. 410 c.p.p. accorda una particolare tutela alla persona offesa dal reato, la quale ha la possibilità di intervenire direttamente in sede processuale opponendosi alla richiesta di archiviazione avanzata dal PM. In questo modo la persona offesa ha la possibilità di prevenire le eventuali conseguenze che la richiesta del PM potrebbe avere sulla propria sfera giuridica. Essendo un diritto particolarmente rilevante per la prosecuzione delle indagini, e che potrebbe interessare tutti i soggetti che subiscono un reato, vediamo insieme quali sono i presupposti e le condizioni per esercitare tale diritto di opposizione.La richiesta di archiviazione del PMLa possibilità per la persona offesa dal reato di opporsiCondizioni di ammissibilitàIl controllo del gip e i possibili esiti1 - La richiesta di archiviazione del PMIl procedimento penale ha inizio mediante l’acquisizione della cd. notitia criminis, cioè il ricevimento da parte delle autorità giurisdizionali della notizia di un fatto di reato. Sulla base di tale notizia il PM dispone e guida le indagini (le cd. indagini preliminari), al fine di vagliare la fondatezza del fatto di reato e di acquisire tutti gli elementi necessari così da comprendere se esercitare o meno l’azione penale.In particolare, nel caso in cui il PM ad esito delle indagini ritenga che non vi siano elementi sufficienti per esercitare l’azione penale, formula una richiesta di archiviazione (art. 408 c.p.p.), la quale a sua volta è sottoposta al vaglio e al controllo del giudice per le indagini preliminari (cd. gip). Invero, se da un lato il PM è considerato quale dominus della fase delle indagini, poiché detiene i principali poteri e conduce le attività investigative da porre in essere; dall’altro lato, in un sistema accusatorio, come quello italiano, è fortemente sentita l’esigenza che un soggetto terzo ed imparziale (come il gip) operi un controllo sulle scelte prese in sede di indagini. Il Pubblico Ministero, quindi, non può autonomamente decidere di archiviare, ma tale scelta deve necessariamente essere oggetto di controllo da parte del giudice per le indagini preliminari.2 - La possibilità per la persona offesa dal reato di opporsiÈ ben possibile che il fatto di reato contempli una persona offesa: molto spesso, infatti, le notizie di reato sono acquisite proprio tramite le persone offese, che sporgono denuncia-querela.In questi casi, la persona offesa può esplicitamente avanzare richiesta di essere informata circa l'eventuale archiviazione: può farlo o contestualmente alla proposizione della denuncia, o successivamente, ma comunque non più tardi della trasmissione della richiesta di archiviazione al g.i.p. Nel caso in cui abbia avanzato tale richiesta, il pubblico ministero deve provvedere a notificarle l'avviso della richiesta di archiviazione ex art. 408 c.p.p. precisando che, nel termine di venti giorni dal momento della notifica, la medesima persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione alla richiesta di archiviazione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari. L'inosservanza del termine indicato per la presentazione dell'opposizione non comporta decadenze per la persona offesa, purché l'opposizione stessa venga presentata prima della pronuncia del gip sull'ammissibilità o meno della richiesta di archiviazione.Una disciplina particolare si ha ne caso dei “delitti commessi con violenza alla persona” e per il delitto di furto in abitazione o con strappo: in questi casi l’avviso di richiesta di archiviazione è notificato in ogni caso alla persona offesa, a prescindere dalla sua richiesta di essere avvisata. In questo caso il termine per prendere visione degli atti e proporre opposizione è di 30 giorni. 3 - Condizioni di ammissibilitàL’art. 410 c.p.p. prescrive due condizioni di ammissibilità per l’opposizione alla richiesta di archiviazione: deve indicare sia l’oggetto delle ulteriori indagini richieste; sia i relativi elementi di prova. Non si ritiene ammissibile, infatti, un’opposizione alla richiesta di archiviazione del tutto generica e priva di indicazioni per il PM, in quanto ciò che viene contestato è proprio il suo lavoro nel corso delle indagini preliminari. Il requisito delle investigazioni suppletive, in particolare, può essere assolto non soltanto attraverso l'indicazione di investigazioni nuove e quindi fino a quel momento non svolte, ma anche attraverso l'indicazione di investigazioni integrative e quindi, benché svolte, da approfondire. Ciò significa, ad esempio, che la persona offesa può sempre indicare nuovi testimoni, ma anche che può richiedere che vengano sentiti quelli già ascoltati, indicando eventuali circostanze diverse sulle quali raccogliere le informazioni. In questo senso, appare evidente come l'opposizione non assolva unicamente la funzione di assicurare il diritto di difesa della persona offesa, ma miri altresì a stimolare il controllo della magistratura giudicante sull'operato di quella requirente.4 - Il controllo del gip e i possibili esitiIl primo accertamento da svolgere riguarda la sussistenza o meno delle condizioni di ammissibilità: dovrà essere fissata udienza preliminare solo nel caso in cui l’opposizione presentata dalla persona offesa contenga l’indicazione sia dell’oggetto delle ulteriori indagini, sia i relativi elementi di prova. Se invece l’opposizione è inammissibile, il giudice dopo averne dichiarata l’invalidità, si limita ad operare un controllo de plano sulla richiesta di archiviazione (e quindi senza udienza). È possibile che il gip decida di accogliere la richiesta presentata dal PM, e in questo caso verrà emesso decreto di archiviazione ai sensi dell’art. 409 co. 1 c.p.p.Se invece il gip ritiene di non dover accogliere la richiesta di archiviazione, dovrà fissare entro 3 mesi la data di una udienza in camera di consiglio, alla quale possono partecipare il PM, la persona offesa e l’indagato. L’esito di tale udienza può essere triplice, e infatti il gip:Può pronunciare l’ordinanza di archiviazione;Può disporre che il PM compia ulteriori indagini;Può disporre che il PM entro 10 giorni formuli l’imputazione (cd. imputazione coatta)Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
14 nov. 2021 • tempo di lettura 1 minuti
Quando si compra qualcosa online, si tratta di un acquisto “a distanza” e il Codice del Consumo prevede che è sempre possibile esercitare il diritto di recesso, cioè cambiare idea, senza fornire alcuna spiegazione.Soltanto in alcuni casi tassativi previsti dalla legge tale diritto è escluso (di solito per le particolarità del bene, magari personalizzato), e il venditore è obbligato a comunicarlo al momento dell’acquisto.Tale diritto deve essere esercitato entro 14 giorni dal ricevimento del bene. Nel conteggio dei giorni è escluso quello della consegna.Se il venditore non informa il consumatore del diritto di recesso, il termine si considera di 12 mesi.Occorrerà: comunicare il recesso al venditore, che dovrà restituire il prezzo pagato entro 14 giorni, (comprese le spese di spedizione se “standard”); poi restituire i beni ricevuti entro 14 giorni, a proprie le spese dell’invio (salvo il venditore si offra di pagarle).
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