Avv. Marco Mezzi
Nell’ordinamento giuridico italiano con il termine “copyright” si ricomprende tutto l’insieme di diritti e facoltà che appartengono all’autore di un’opera, consentendogli di rivendicarne la paternità e utilizzarne economicamente la creazione attraverso la riproduzione, distribuzione e diffusione.
In cosa consiste il copyright? Quali sono le conseguenze per la sua violazione?
Con il termine copyright si intende l’istituto giuridico posto a tutela di chi crea un’opera dell’ingegno di carattere creativo che può appartenere alla letteratura, alla musica, alla scienza, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia.
Concretamente, nel nostro ordinamento giuridico il termine copyright indica l’insieme delle prerogative appartenenti all’autore che mirano a tutelare sia il diritto di rivendicare la paternità dell’opera (il c.d. diritto morale) sia il diritto di utilizzazione economica dell’opera (il c.d. diritto patrimoniale) attraverso la pubblicazione, l’utilizzo, la riproduzione, la distribuzione e la diffusione della creazione medesima.
Nel concetto di copyright rientrano anche i c.d. diritti connessi, vale a dire i diritti spettanti a soggetti diversi dall’autore dell’opera, come ad esempio il produttore di opere cinematografiche.
Nel nostro ordinamento la disciplina in materia di copyright è regolamentata, in gran parte, dalla Legge n. 166 del 1941 sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, nonché nel collegato regolamento di attuazione disciplinato nel Regio Decreto n. 1369 del 1942 e in disposizioni del codice civile (in particolare gli articoli 2575 – 2583).
Ovviamente, nel corso degli anni la Legge 633/1941 ha subìto importanti modifiche ed integrazioni apportante anche e soprattutto grazie all’intervento del legislatore europeo.
In particolare, notevole importanza assumono: la Direttiva 1993/98/CEE sull’armonizzazione della durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi, cui è stata data attuazione con il Decreto Legislativo n. 154/1997; la Direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, cui è stata data attuazione con il Decreto Legislativo n. 68/2003; la Direttiva 2019/790/UE sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, ancora in fase di recepimento, che modifica alcune precedenti direttive e mira a introdurre una disciplina del copyright adeguata alla rivoluzione digitale e alle nuove modalità di fruizione dei contenuti.
Ma, concretamente, a cosa serve il copyright?
Essenzialmente il copyright svolge una funzione di protezione, per gli autori, di contenuti creativi e originali sulle opere tutelate dalla legge. In particolare, la Legge 633/1941 accorda la protezione dei diritti di utilizzazione economica dell’opera e della personalità dell’autore.
Più nel dettaglio, gli articoli dal 12 al 18 bis della suddetta legge riconoscono all’autore: il diritto esclusivo di pubblicare e di utilizzare l’opera in ogni forma e modo nei limiti fissati dalla legge, di riprodurre, trascrivere, eseguire, rappresentare o rappresentare in pubblico, comunicazione al pubblico, distribuzione, tradurre, elaborare e modificare, noleggiare e dare in prestito.
A norma dell’articolo 20 della citata Legge l’autore può sempre esercitare il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e il diritto di proporre opposizione contro qualsiasi deformazione, mutilazione o modificazione o atto a danno dell’opera stessa.
Si può rispondere a questa domanda sempre analizzando la Legge n. 633/1941.
In particolare, ai sensi dell’articolo 1 sono tutelate dal diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Di conseguenza, è necessario che l’opera sia in possesso di due requisiti fondamentali: l’originalità e la novità, soggettiva e oggettiva.
L’articolo 2 della medesima legge contiene poi un’elencazione piuttosto dettagliata delle opere protette che comprende: opere letterarie, drammatiche, scientifiche, didattiche, religiose, opere e composizioni musicali, opere coreografiche, opere della scultura, pittura, disegno, opere dell’architettura, opere cinematografiche e fotografiche, banche dati e così via. Ovviamente questo elenco non è esaustivo né tassativo, in considerazione del fatto che il diritto d’autore trova applicazione nei confronti di tutte le forme di creatività assimilabili alle stesse.
L’ambito di tutela si estende anche alle c.d. opere collettive, vale a dire a quelle costituite dalla riunione di opere, ma anche alle elaborazioni di carattere creativo dell’opera (c.d. derivative works) purché siano connotate da un significativo contributo creativo autonomo e indipendente da parte dell’autore.
Secondo quanto previsto dal nostro ordinamento giuridico – si vedano in particolare gli articoli 6 – 10 della Legge 633/1941 e l’articolo 2576 del codice civile – il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore nasce con la creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale.
Ne consegue che, a tutti gli effetti, il riconoscimento del diritto d’autore non richiede una particolare procedura in quanto esso si attiva automaticamente.
Infatti è pacifico che l’autore acquisisce il complesso dei diritti sull’opera attraverso la semplice creazione della stessa.
Tuttavia, è opportuno che l’autore adotti determinati accorgimenti formali, in particolare, per prevenire che altri possano mettere in dubbio la paternità dell’opera.
Difatti, è riconosciuto come primo autore effettivo colui il quale sia in grado di dimostrare di essere in possesso di una copia dell’opera prima di altri soggetti. Si tratta della cosiddetta prova di anteriorità.
È stato istituito, a norma dell’articolo 103 della Legge 633/1941, il registro pubblico generale delle opere tutelate dal diritto d’autore in cui è contenuta l’indicazione del nome dell’autore, del produttore, della data di pubblicazione.
La registrazione fa fede, sino a prova contraria, dell’esistenza dell’opera e del fatto della sua pubblicazione, nonché del fatto che gli autori e i produttori indicati nel registro sono reputati autori o produttori delle opere loro attribuite.
Al fine di poter richiedere la registrazione, l’autore deve consegnare un esemplare o una copia dell’opera presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
La Legge 633/1941 prevede alcune specifiche disposizioni che regolano le difese e le sanzioni esperibili in sede civile e penale a tutela dei soggetti che hanno subìto la violazione dei diritti loro spettanti riconosciuti dal diritto d’autore.
In primo luogo, l’articolo 15 disciplina la c.d. tutela inibitoria azionabile da parte di colui che, alternativamente, ha ragione di temere la violazione di un proprio diritto di utilizzazione economica dell’opera ovvero intende impedire la continuazione o la ripetizione di una violazione già avvenuta. In tal caso, il Giudice può disporre l’inibitoria, fissando anche una somma per ogni violazione o inosservanza successivamente contestata o per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Il successivo articolo 158 prevede, invece, una tutela risarcitoria invocabile da chi sia stato danneggiato nell’esercizio di un diritto di utilizzazione economica. In questa ipotesi, è possibile agire in giudizio per chiedere la condanna dell’autore della violazione al risarcimento del danno ovvero la condanna alla distribuzione o alla rimozione della situazione di fatto da cui risulta la violazione, a spese del responsabile della violazione medesima.
Oltre queste tutele civilistiche previste dalla Legge 633/1941, occorre menzionare anche le sanzioni penali e amministrative elencate nella medesima legge.
Innanzitutto, l’articolo 171 punisce chi, senza averne diritto e a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma, riproduce, trascrive, recita in pubblico, diffonde, vende, pone altrimenti in commercio un’opera altrui o ne rivela il contenuto prima che sia reso pubblico, ovvero introduce e mette in circolazione nello Stato esemplari prodotti all’estero contrariamente alla legge italiana; ed ancora mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta. In tale caso, la sanzione penale prevista è la multa da € 51,00 a € 2.065,00. È, tuttavia, prevista la sanzione amministrativa pecuniaria sino ad € 1.032,00 laddove i fatti contestati siano stati commessi per colpa.
L’articolo 171 bis punisce la condotta di colui che duplica abusivamente, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla SIAE (Società Italiana Autori ed Editori).
È altresì sanzionata la condotta illecita di chi, senza averne diritto e al fine di trarne profitto: a) riproduce, trasferisce su altro supporto, distribuisce, comunica, presenta o dimostra in pubblico il contenuto di una banca di dati su supporti non contrassegnati SIAE; b) esegue l’estrazione o il reimpiego della banca dati; c) distribuisce, vende o concede in locazione una banca di dati. Per entrambe le fattispecie è prevista la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni e della multa da € 2.582,00 a € 15.493.
L’articolo 171 ter punisce colui che, per uso non personale e a fini di lucro: a) abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno destinata al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento; b) abusivamente riproduce, trasmette o diffonde in pubblico, con qualsiasi procedimento, opere o parti di opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico – musicali, ovvero multimediali; c) fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti o presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche o siano progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l’elusione di dette misure.
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5 lug. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
Sempre più diffuse sono le cosiddette dashcam, le telecamere installate sul cruscotto delle autovetture.Pur nel silenzio, quanto meno al momento della redazione di questo articolo, del legislatore, è inevitabile scorgere potenziali problemi sia di sicurezza stradale sia di violazione della privacy. Dashcam: cosa sono e come funzionano?Dashcam e Codice della StradaImplicazioni sul diritto alla privacyI filmati delle dashcam hanno valore probatorio in giudizio?1 - Dashcam: cosa sono e come funzionano?Prima di entrare nel merito “giuridico” circa la possibilità di utilizzare tale tecnologia, è opportuno comprendere cosa si intenda per dashcam e come funzionino.La dashcam – dall’abbreviazione dashbord camera, letteralmente “telecamera da cruscotto” – è un dispositivo elettronico per l’acquisizione di immagini. Viene posizionata all’interno dell’autovettura, solitamente, sul parabrezza in modo da poter registrare gli eventi che accadono all’esterno.Proprio per la posizione e per la funzione per la quale sono adoperate, sorgono dei dubbi relativamente al loro uso nel pieno rispetto della legge.2 - Dashcam e Codice della StradaUn primo problema sull’utilizzo delle dashcam concerne il loro posizionamento all’interno dell’autovettura.In realtà, il Codice della Strada – il Decreto Legislativo n. 285/1992 – non disciplina, specificatamente, le dashcam.Tuttavia, pur nel silenzio della legge, è opportuno prendere in esame il secondo comma dell’articolo 141 del citato codice il quale, disciplinando le norme di comportamento del conducente un veicolo, stabilisce che «il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile».In altri termini, si dispone che il conducente debba avere sempre una visione ampia della strada che percorre. Ne consegue che il Codice della Strada non vieta l’installazione e l’utilizzo delle dashcam ma, applicando estensivamente l’articolo 141, comma secondo, è possibile ritenere che ne chieda il posizionamento corretto, in modo da non intralciare il campo di visibilità del conducente, anche per garantire la sicurezza di ogni utente della strada.3 - Implicazioni sul diritto alla privacyUtilizzare una dashcam per registrare quanto avviene durante la circolazione stradale come sistema di tutela in caso di sinistri o altri eventi particolari comporta, inevitabilmente, il trattamento di informazioni che possono contenere dati sensibili.Come ovviare, quindi, a questo potenziale problema? Le riprese delle dashcam violano effettivamente la privacy?Sul punto, mentre in altri Stati dell’Unione europea sono già intervenute le autorità competenti con previsioni normative e/o linee guida, in Italia l’Autorità garante per la privacy non ha ancora affrontato il tema in maniera specifica.Pur nel silenzio normativo è possibile rispondere ai dubbi inerenti le registrazioni.Va ricordato che, in Italia, nel maggio del 2018 è entrato in vigore il Regolamento UE n. 2016/679 in materia di protezione dei dati personali.A norma dell’art. 2, comma II, lett. c) del detto regolamento, lo stesso non si applica ai trattamenti di dati personali effettuati da una persona fisica per l’esercizio di attività di carattere esclusivamente personale o domestico. Ne consegue che non è necessario dover rispettare tutti i dettami del Regolamento GDPR per quel che concerne le dashcam.Tuttavia, è pur sempre opportuno che le riprese siano limitate al solo spazio per le finalità per cui si utilizza la dashcam, quali la tutela personale in caso di sinistri stradali o altri eventi rilevanti durante la circolazione stradale. In ogni caso, le informazioni raccolte non possono essere sistematicamente comunicate né diffuse a terzi, salvo il consenso delle parti coinvolte e salvo per fini assicurativi.4 - I filmati delle dashcam hanno valore probatorio in giudizio?Stante il vuoto normativo relativamente alle implicazioni inerenti il codice della strada e le probabili violazioni della privacy, a tale quesito si può rispondere piuttosto chiaramente.L’articolo 2712 del codice civile stabilisce che le riproduzione fotografiche informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.Ne consegue che i filmati delle dashcam avranno efficacia di piena prova esclusivamente nell’ipotesi in cui non saranno contestati.Sul punto è intervenuta anche la Corte di cassazione, prevedendo che il disconoscimento, che fa perdere alle registrazioni la qualità di prova, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta» (Cass. civ., n. 18507 del 21.09.2016).Editor: avv. Marco Mezzi
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Egregio Avvocato
15 lug. 2021 • tempo di lettura 5 minuti
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e l’uso sempre più diffuso di Internet hanno considerevolmente aumentato i dati memorizzati in rete. Di conseguenza, navigando online tra blog, forum, social network e siti di informazione, sempre più spesso vengono lasciate “tracce della propria presenza” in rete, con tutti i rischi che ne conseguono.Per questo motivo, un tema che assume sempre maggiore rilevanza è rappresentato dal diritto all’oblio. Ma cosa si intende per diritto all’oblio? Come si è sviluppato a seguito del diffondersi delle nuove tecnologie? Quali sono i suoi limiti?Cos’è e cosa tutela il diritto all’oblio?Cosa prevede il GDPR?Limiti del diritto all’oblio e bilanciamento con il diritto di cronaca e all’informazione1 - Cos’è e cosa tutela il diritto all’oblio?Ma cosa si intende, quindi, per diritto all’oblio?Comunemente, il diritto all’oblio è considerato il diritto “ad essere dimenticati”, quindi a non essere più ricordati, dall’opinione pubblica, per fatti che, in passato, sono stati oggetto di cronaca.Va da sé, quindi, che il diritto all’oblio non “nasce” con il diffondersi di Internet, ma è un concetto giuridico già presente in passato.Sul piano giuridico, si può far riferimento a una sentenza della Corte di Cassazione, terza sezione civile, secondo cui il diritto all’oblio è da intendersi una estensione del diritto alla riservatezza, inteso, per l’appunto, come diritto alla cancellazione di propri dati personali che siano stati resi pubblici (Cass. civ., Sez. III, 09.04.1998, n. 3679).Concretamente, quindi, cosa tutela il diritto all’oblio?In termini generali, è possibile affermare che il diritto all’oblio riguardi il trattamento dei dati personali: in presenza di determinate condizioni, l’individuo interessato può ottenere la cancellazione di tali dati da parte del titolare del trattamento.In caso di pubblicazione dei dati personali – per esempio attraverso la pubblicazione di una notizia sul web o altro mezzo di informazione – il diritto all’oblio consiste anche nel diritto che le informazioni personali, pur legittimamente divulgate in passato, non siano ulteriormente diffuse, al fine di evitare il perpetrarsi della lesione dell’onorabilità del soggetto interessato.Il fondamento normativo del diritto all’oblio è ravvisabile sia sul piano nazionale sia, soprattutto, su quello sovranazionale. Difatti, molteplici sono le norme che, limitando l’esercizio del diritto di cronaca, sono volte alla tutela della riservatezza degli individui.2 - Cosa prevede il GDPR?Prima di rispondere a questa domanda, va ricordato che diverse sono le normative sovranazionali che si sono occupate, nel corso degli anni, di disciplinare il diritto all’oblio.In particolar modo, l’art. 16 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e l’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, tutelano il diritto all’oblio, sebbene in maniera indiretta. Difatti, si prevede, genericamente, che ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano. Anche la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – nota anche come Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – agli articoli 8 e 10 fa un implicito riferimento al diritto all’oblio.Difatti, all’articolo 8 si prevede il diritto di ogni individuo “al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”, mentre l’articolo 10, relativo alla libertà d’espressione, prevede che quest’ultima possa essere sottoposta a restrizioni necessarie alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, nonché per impedire la divulgazione di informazioni riservate.Notevolmente più pregnante è la tutela offerta dal Regolamento UE n. 2016/679, noto come GDPR. Infatti, tale Regolamento, da un lato, impone regole sul trattamento e sulla conservazione dei dati personali, dall’altro garantisce alcuni diritti.Sotto il primo aspetto, per quel che riguarda nello specifico il diritto all’oblio, il GDPR stabilisce il c.d. principio della minimizzazione dei dati, nel senso che essi vanno trattati “nei limiti dello stretto necessario” (articoli 5 e 6 del GDPR).Per quanto riguarda, invece, i diritti previsti dal GDPR attinenti al diritto all’oblio, si fa specifico riferimento al diritto alla cancellazione, di cui all’articolo 17, e al diritto ad opporsi al trattamento, disciplinato dall’articolo 21.In particolare, l’articolo 17, al comma 1, prevede, a certe condizioni, il diritto a chiedere la rimozione dei dati personali dalla pubblicazione di una notizia sul web. Difatti, è possibile esercitare tale diritto “se sussiste uno dei motivi seguenti:i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;l’interessato revoca il consenso […], e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;l’interessato si oppone al trattamento […];i dati personali sono stati trattati illecitamente;i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuridico previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione […]”.Inoltre, il comma 1 dell’articolo 21 prevede che “l’interessato ha il diritto ad opporsi in qualsiasi momento, per motivi connessi alla sua situazione particolare, al trattamento dei dati personali che lo riguardano” per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico oppure per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali.3 - Limiti del diritto all’oblio e bilanciamento con il diritto di cronaca e all’informazioneNonostante l’indubbia fondamentale importanza del diritto all’oblio, esso non è esente da limiti.Difatti, il comma 3 dell’articolo 17 GDPR stabilisce che non si procede alla cancellazione “nella misura in cui il trattamento sia necessario:per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;per l’adempimento di un obbligo giuridico […];per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica […];a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici […];per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria”.Ne consegue, quindi, che il diritto all’oblio debba bilanciarsi col diritto all’informazione. In merito è intervenuta, più volte, anche la giurisprudenza.Pur non potendoci soffermare su tutte le sentenze pronunciate in materia dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, dalla Corte di Cassazione italiana, dalle varie autorità giudiziarie straniere, è opportuno ricordare come la Corte europea dei diritti dell’uomo, in una sentenza del giugno 2018, abbia affermato il necessario contemperamento del diritto all’oblio e della libertà di espressione, stabilendo che la CEDU riconosce, all’articolo 8, il diritto alla tutela della vita privata e, all’articolo 10, la libertà di espressione. In particolare, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha precisato che laddove il contenuto di una notizia, pubblicata sul web, rivesta un pubblico interesse, e purché i media abbiano agito nel rispetto dell’etica e della deontologia professionale, non vi è lesione del diritto della “vita privata” sancito dall’articolo 8 della CEDU.Editor: avv. Marzo Mezzi
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Egregio Avvocato
8 mar. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
Tra le diverse novità introdotte dalla Legge n. 220 del 2012, nota come legge di riforma del Condominio, vengono in rilievo quelle che disciplinano la videosorveglianza.Difatti, prima dell’entrata in vigore della citata riforma, questa materia non era mai stata regolamentata e, anzi, vi erano state diverse pronunce giurisprudenziali che limitavano notevolmente la possibilità di installare sistemi di videosorveglianza.Ma, nel dettaglio, cosa prevede la Legge 220/2012? Cosa occorre fare per poter installare telecamere di sicurezza? Quali sono le implicazioni in tema di rispetto per la privacy?Videosorveglianza in condominio: quando è lecito installare le telecamere? Quali incombenze ricadono sull’amministratore?Può il singolo condomino installare la videosorveglianza?Un caso particolare: cosa fare in presenza di lavoratore subordinato del condominio?La videosorveglianza e le implicazioni sulla privacy1 - Videosorveglianza in condominio: quando è lecito installare le telecamere? Quali incombenze ricadono sull’amministratore?La videosorveglianza all’interno degli edifici condominiali, in assenza di una precisa regolamentazione normativa, per molto tempo ha rappresentato una delle questioni maggiormente dibattute in giurisprudenza, alla ricerca di un equilibrio tra il diritto alla privacy e la garanzia di sicurezza.Il vuoto normativo è stato evidenziato anche dal Garante della privacy che, con un provvedimento del 2010, ha sollecitato un intervento normativo. Intervento che è arrivato con la c.d. Riforma del Condominio – la legge 220/2012 – la quale, tra le varie novità, ha introdotto il nuovo art. 1122 ter nel codice civile.Ma, in concreto, quali sono gli adempimenti necessari?Il citato articolo non solo ha legittimato l’installazione degli impianti di videosorveglianza sulle parti comuni all’interno di un condominio, ma ha anche definito, in modo dettagliato, il procedimento necessario per decidere in merito.Infatti, si prevede che le deliberazioni riguardanti l’installazione di impianti di videosorveglianza sono approvate dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei condòmini intervenuti ed almeno la metà del valore dell’immobile.Ma è sufficiente una deliberazione dell’assemblea per poter procedere all’installazione? Quali incombenti ricadono sull’amministratore del condominio?Ovviamente la risposta è negativa. Infatti, una volta deliberata l’installazione, le modalità e l’acquisizione delle riprese degli spazi comuni condominiali dovranno rispettare, come ovvio che sia, le indicazioni dettate dal codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante per la privacy, oltre che dal Regolamento UE 2016/679, c.d. GDPR. L’amministratore del condominio, inoltre, deve chiarire che la raccolta, la registrazione, la conservazione e l’eventuale utilizzazione delle immagini rappresentano un trattamento dei dati personali e che è lecito esclusivamente nel rispetto dei principi fondamentali posti dal codice della privaci, vale a dire liceità, finalità, necessità e proporzionalità. Ad esempio, è certamente contraria a tali principi la telecamera indirizzata sull’uscio di un’abitazione privata oltre che sulla parte comune.2 - Può il singolo condomino installare la videosorveglianza?La risposta è certamente affermativa.Infatti, al singolo condomino è consentito installare le telecamere, per uso privato, nell’ambito delle aree di sua esclusiva proprietà e relative pertinenze. Per queste ipotesi non trova applicazione la disciplina dettata dal codice della privacy, proprio perché le aree interessate non sono comuni.Ne consegue che non è necessaria una preventiva delibera assembleare, né l’amministratore è tenuto ad adempiere alcunché, poiché deve esclusivamente accertarsi che il posizionamento della telecamera non riprenda parti comuni o di transito.La Corte di Cassazione – sul punto si suggerisce la lettura della Sentenza Cass. Pen. n. 44156/2008 – ha comunque sancito che il condomino interessato all’installazione abbia un unico onere: informare gli altri condòmini.3 - Un caso particolare: cosa fare in presenza di lavoratore subordinato del condominio?In caso di presenza di un lavoratore subordinato del condominio – classico esempio è il portiere – l’amministratore, dopo la delibera assembleare di autorizzazione all’installazione degli impianti di videosorveglianza, è tenuto ad esperire la pratica presso la Direzione territoriale del lavoro, per poter ottenere l’autorizzazione con anche l’indicazione dei tempi di registrazione e delle eventuali modalità.In merito, infatti, va preso in considerazione l’art. 23 del Decreto Legislativo n. 151/2015 che ha modificato l’art. 4 del c.d. Statuto dei Lavoratori in merito ai controlli a distanza. È previsto, infatti, che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa dei lavoratori possono essere installati esclusivamente previa autorizzazione della competente Direzione territoriale del lavoro e nel rispetto del codice della privacy.Ma non è tutto. Infatti, alla luce dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679 (c.d. GDPR), anche i lavoratori devono essere compiutamente e correttamente informati sul trattamento dei dati personali. 4 - La videosorveglianza e le implicazioni sulla privacyCon l’installazione di telecamere e impianti di videosorveglianza nel condominio si pone, certamente, un problema inerente la privacy dei singoli condòmini. Difatti, la tutela della riservatezza è vista come diritto del soggetto di negare l’accesso agli altri dei propri dati ed anche l’immagine è considerata come dato personale.Il problema della tutela della privacy è stato comunque risolto con l’introduzione del già citato articolo 1122 ter c.c. che sancisce l’obbligo di esporre cartelli informativi della presenza di videosorveglianza e il divieto di riprendere aree non comuni.Con il c.d. Vademecum del Palazzo, il Garante della Privacy ha adottato alcune linee guida affinché il settore condominiale si adegui alla normativa a tutela della privacy, affermando che:È obbligatorio segnalare le telecamere di videosorveglianza con appositi cartelli;Le registrazioni vanno conservate per un periodo non superiore a 24-48 ore;I dati raccolti vanno protetti con idonee e preventive misure di sicurezza per consentirne l’accesso esclusivamente alle persone autorizzate, ossia il titolare del trattamento, il responsabile, o altri incaricati da questi ultimi;Le telecamere devono riprendere solamente aree comuni;Il titolare del trattamento dei dati personali dei condòmini e dei terzi è il Condominio, mentre l’amministratore può essere nominato responsabile del trattamento.Con l’entrata in vigore del Regolamento UE n. 2016/679 (c.d. GDPR) vi sono state alcune novità. In particolare, chi intende trattare i dati personali deve, in primo luogo, capire la finalità del trattamento e la base giuridica. L’art. 6 del GDPR indica sei diverse basi giuridiche ma, per quel che riguarda il condominio, bisogna prendere in esame l’obbligo di legge e il contratto.Tali basi giuridiche stabiliscono che il condòmino è tenuto a fornire i propri dati personali. Ne consegue, che il titolare del trattamento, che ricordiamo è il Condominio, non è tenuto a chiedere il consenso dell’interessato.Per quanto riguarda, invece, i dati personali (salute, dati genetici, dati biometrici, e così via) non possono essere trattati. Vi sono, tuttavia, delle eccezioni descritte dall’articolo 9 del citato Regolamento. Un esempio classico è la denuncia di un sinistro all’interno dell’edificio condominiale all’assicurazione: in questa ipotesi il titolare è autorizzato a trattare il dato particolare dell’interessato.Un’ulteriore importante novità introdotta dal GDPR è la c.d. accountability che potrebbe essere, sebbene non del tutto correttamente, tradotto con responsabilizzazione. Tale concetto impone al titolare del trattamento di mettere in atto tutte le misure tecniche ed organizzative più adeguate al fine di garantire, ma anche essere in grado di dimostrare, che il trattamento sia effettuato in conformità del Regolamento stesso.Va, infine, detto che, dopo ben dieci anni dall’entrata in vigore del c.d. Vademecum del Palazzo, l’Autorità Garante della Privacy italiana è intervenuta nuovamente sul punto, anche per recepire le linee guida del Comitato europeo per la protezione dei dati (c.d. EDPB), adottati nel gennaio del 2020. Tra le novità più significative, occorre menzionare che, con riferimento all’obbligo di informativa sul trattamento e le indicazioni per il posizionamento dei segnali di avvertimento, le informazioni essenziali circa il titolare del trattamento e le finalità perseguite possono essere fornite mediante modelli semplificati, mentre le informazioni complete richieste dall’art. 13 GDPR devono essere contemplate da un’informativa estesa che il titolare deve rendere accessibile all’interessato.Editor: avv. Marco Mezzi
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