Qual'è la differenza tra beni demaniali e beni del patrimonio indisponibile?

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Pubblicato il 12 gen. 2022 · tempo di lettura 2 minuti

Qual'è la differenza tra beni demaniali e beni del patrimonio indisponibile? | Egregio Avvocato

I beni di appartenenza dello Stato, degli enti pubblici e degli enti ecclesiastici possono essere divisi in tre categorie: i beni demaniali, i beni patrimoniali indisponibili ed i beni patrimoniali disponibili.


  • I beni demaniali, cioè immobili o universalità di mobili indicati tassativamente all’art. 822 c.c., che possono appartenere solo ad enti territoriali (cioè lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni), che a loro volta si distinguono in beni del demanio necessario, cioè il demanio marittimo, idrico e militare, e beni del demanio accidentale, cioè strade, autostrade, immobili di interesse storico ed artistico, raccolte di musei etc.


  • I beni patrimoniali indisponibili, mobili e immobili, che appartengono ad enti pubblici anche non territoriali, che si individuano in via residuale quali beni non appartenenti alla categoria precedente. Anche questi possono essere distinti in beni patrimoniali per natura (quali miniere, acque minerali termali..) e per destinazione (come gli edifici adibiti a sede di pubblici uffici e i relativi arredi).


  • I beni patrimoniali disponibili, cioè beni di diritto privato, che potrebbero appartenere a qualsiasi soggetto, non gravati da alcun vincolo o regime particolare.


Per quando riguarda il regime giuridico, la legge prevede che i beni appartenenti alla prima categoria non possano essere alienati né formare oggetto di diritti dei terzi, salvo che nei casi e modi previsti dalla legge. Questi sono pertanto da considerare incommerciabili.


Per i beni della seconda categoria è invece ammissibile la commerciabilità, ma essi sono gravati da uno specifico vincolo di destinazione all’uso pubblico che permane anche se fossero oggetto di negozi traslativi di diritto privato.


Deve tuttavia osservarsi come questa risalente distinzione sia oggi ritenuta meramente nominalistica, anche perché le differenze di regime sono in concreto esigue, anche in punto di commerciabilità. In concreto è infatti difficile individuare dei casi in cui i beni patrimoniali indisponibili possano essere effettivamente alienati senza nuocere alla funzione pubblicistica cui sono attribuiti.

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Che differenza c’è tra proscioglimento e assoluzione?

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Le sentenze che intervengono all’esito di un processo penale possono ricondursi a due macro categorie: quelle di proscioglimento e quelle di condanna. Tra le sentenze di proscioglimento è possibile distinguere tra le sentenze di «non doversi procedere» e le sentenze di «assoluzione» (che rappresentano quindi un sottotipo).La differenza principale sta nel fatto che soltanto quelle di assoluzione contengono un accertamento da parte del giudice, compiuto mediante prove, e come tali sono in grado di fondare l’efficacia del giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari.Le sentenze di non doversi procedere, invece, si limitano a statuire su aspetti processuali che impediscono l’accertamento stesso – e come tali sono definite come pronunce “meramente processuali”. Ciò si verifica quando l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (ad es. perché manda una condizione di procedibilità, come la querela); o quando il reato si è estinto (ad es. perché il reato è prescritto).Un aspetto formale, comune ad entrambi i tipi di proscioglimento, è che il giudice deve adottare una delle “formule terminative” previste dalla legge, che servono a precisare e sintetizzare la causa della decisione, fungendo anche da sorte di riassunto della motivazione. Il fatto che solo nel caso di assoluzione vi sia un vero e proprio accertamento nel merito rende tali sentenze più “vantaggiose” rispetto alle altre, anche per l’impatto che esse hanno sull’opinione pubblica.Per conciliare il possibile interesse dell’imputato a ottenere l’assoluzione nel merito (e non una pronuncia processuale) con le esigenze di economia processuale – che invece imporrebbero di non proseguire il processo in carenza dei presupposti – l’ordinamento prevede il giudice debba pronunciare sentenza di assoluzione quando l’innocenza dell’imputato risulti «evidente dagli atti» disponibili quando si verifica anche il fatto estintivo.È inoltre sempre possibile per l’imputato rinunciare alla prescrizione del reato ai sensi dell’art. 157 c.p.

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Illecito endofamiliare: è possibile il risarcimento del danno?

16 feb. 2022 tempo di lettura 1 minuti

Gli artt. 143 e ss. del c.c. disciplinano i doveri reciproci tra coniugi (fedeltà, assistenza morale e materiale, coabitazione, ecc.) ed i doveri verso i figli (mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli). Nel caso in cui tali doveri vengano violati si dà luogo al cd. illecito endofamiliare.Tradizionalmente, il risarcimento del danno derivante dalla violazione di tali obblighi veniva escluso. Ciò alla luce del concetto istituzionale di famiglia, la quale svolgeva una funzione pubblicistica sia in relazione alla educazione dei propri componenti, sia verso l’economia agricola e quindi come unità produttiva verso l’esterno. La famiglia era impostata sulla figura del padre, in una posizione di superiorità sia rispetto al coniuge, sia rispetto ai figli. Il nucleo familiare non doveva quindi essere assoggettato ad intrusioni da parte dell’esterno, quale poteva essere il risarcimento del danno.Successivamente, tale concezione è stata superata: la famiglia, alla luce della Carta costituzionale, diventa uno strumento per consentire ai componenti della stessa di esplicare la propria personalità (art 2 Cost.). Non è l’individuo ad essere strumentale alla famiglia, ma è la famiglia, invece, che è strumentale all’individuo. Se i diritti fondamentali vengono violati, è necessario garantire un risarcimento del danno, a prescindere dal “luogo” in cui la violazione è stata realizzata.Attualmente, quindi è possibile ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale in caso di violazione degli obblighi endofamiliari. Tuttavia, non è sufficiente la mera violazione del dovere, ma serve anche il cd. danno conseguenza: serve la lesione della dignità (es. tradimento in pubblico, fatto senza alcun rispetto) e la prova di questa lesione.

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Cosa è la comunione legale tra i coniugi?

14 nov. 2021 tempo di lettura 1 minuti

La comunione legale tra i coniugi è uno dei regimi patrimoniali della famiglia, cioè l’insieme delle regole che governa la titolarità dei beni nel corso del matrimonio, individuando quali debbano considerarsi di proprietà di uno solo dei coniugi e quali, invece, di entrambi.Nel caso di comunione legale, la legge prevede che, di regola e salvo alcune categorie di beni escluse dal codice civile, gli acquisti realizzati durante il matrimonio debbano considerarsi appartenenti alla comunione legale, a cui entrambi i coniugi partecipano in pari misura.A partire dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, la comunione legale è il regime “ordinario”, che si applica nei casi in cui i coniugi non scelgano espressamente un regime diverso – come quello della separazione dei beni o di una comunione convenzionale.Tale impostazione era ispirata a diverse ragioni, inclusa quella di tutelare il c.d. coniuge debole, cioè quello che non percepisce un proprio reddito o ne percepisce uno inferiore, (situazione molto ricorrente ai tempi della riforma) e garantire una perequazione delle risorse familiari, realizzate grazie all’impegno profuso da entrambi i coniugi, ancorché attraverso attività diverse. Resta comunque sempre possibile optare per un regime diverso, anche nel corso del matrimonio, stipulando una convenzione da annotare a margine dell’atto di matrimonio.

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