Egregio Avvocato
Pubblicato il 12 gen. 2022 · tempo di lettura 2 minuti
Per quando riguarda il regime giuridico, la legge prevede che i beni appartenenti alla prima categoria non possano essere alienati né formare oggetto di diritti dei terzi, salvo che nei casi e modi previsti dalla legge. Questi sono pertanto da considerare incommerciabili.
Per i beni della seconda categoria è invece ammissibile la commerciabilità, ma essi sono gravati da uno specifico vincolo di destinazione all’uso pubblico che permane anche se fossero oggetto di negozi traslativi di diritto privato.
Deve tuttavia osservarsi come questa risalente distinzione sia oggi ritenuta meramente nominalistica, anche perché le differenze di regime sono in concreto esigue, anche in punto di commerciabilità. In concreto è infatti difficile individuare dei casi in cui i beni patrimoniali indisponibili possano essere effettivamente alienati senza nuocere alla funzione pubblicistica cui sono attribuiti.
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Egregio Avvocato
31 gen. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
Si ha concorso di reati nel caso in cui un unico soggetto commetta più reati, per i quali dovranno trovare applicazione tutte le norme incriminatrici violate. Si distingue tra concorso formale di reati: ove con un’unica azione o omissione, e con l’unica condotta il soggetto commette più reati; e concorso materiale di reati, ove con più azioni od omissioni il soggetto commette più reati.Nel caso di concorso formale, il legislatore ha previsto un trattamento di favore, cioè il c.d. cumulo giuridico: si parte dalla pena del reato più grave e tutti gli altri reati perdono autonomia sanzionatoria; il giudice potrà procedere ad aumentare la pena per gli altri reati (potrà farlo fino al triplo).Nel caso di concorso materiale di reati, invece, si applica il cd. cumulo materiale: è la somma algebrica delle pene previste da tutte le norme incriminatrici violate.All’interno della categoria di concorso materiale di reati, peraltro, vi è un’ipotesi speciale: il reato continuato, che si configura nel caso in cui il soggetto con più azioni od omissioni commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Se ricorre la continuazione, si applicherà il cumulo giuridico in deroga alla regola prevista per il concorso materiale di reati.
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Egregio Avvocato
17 nov. 2021 • tempo di lettura 1 minuti
Le sentenze che intervengono all’esito di un processo penale possono ricondursi a due macro categorie: quelle di proscioglimento e quelle di condanna. Tra le sentenze di proscioglimento è possibile distinguere tra le sentenze di «non doversi procedere» e le sentenze di «assoluzione» (che rappresentano quindi un sottotipo).La differenza principale sta nel fatto che soltanto quelle di assoluzione contengono un accertamento da parte del giudice, compiuto mediante prove, e come tali sono in grado di fondare l’efficacia del giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari.Le sentenze di non doversi procedere, invece, si limitano a statuire su aspetti processuali che impediscono l’accertamento stesso – e come tali sono definite come pronunce “meramente processuali”. Ciò si verifica quando l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (ad es. perché manda una condizione di procedibilità, come la querela); o quando il reato si è estinto (ad es. perché il reato è prescritto).Un aspetto formale, comune ad entrambi i tipi di proscioglimento, è che il giudice deve adottare una delle “formule terminative” previste dalla legge, che servono a precisare e sintetizzare la causa della decisione, fungendo anche da sorte di riassunto della motivazione. Il fatto che solo nel caso di assoluzione vi sia un vero e proprio accertamento nel merito rende tali sentenze più “vantaggiose” rispetto alle altre, anche per l’impatto che esse hanno sull’opinione pubblica.Per conciliare il possibile interesse dell’imputato a ottenere l’assoluzione nel merito (e non una pronuncia processuale) con le esigenze di economia processuale – che invece imporrebbero di non proseguire il processo in carenza dei presupposti – l’ordinamento prevede il giudice debba pronunciare sentenza di assoluzione quando l’innocenza dell’imputato risulti «evidente dagli atti» disponibili quando si verifica anche il fatto estintivo.È inoltre sempre possibile per l’imputato rinunciare alla prescrizione del reato ai sensi dell’art. 157 c.p.
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Egregio Avvocato
31 gen. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
Con «patteggiamento» si identifica il procedimento penale speciale, indicato nel codice di procedura penale come “applicazione della pena su richiesta delle parti”. È un rito semplificato che consente di eliminare il dibattimento e, in tutto o in parte, l’udienza preliminare. La decisione viene assunta allo stato degli atti, sulla base del fascicolo delle indagini preliminari.Il suo esperimento è incentivato dalla legge, che assicura una riduzione della pena fino a un terzo.Fino al 2003, le parti potevano concordare esclusivamente pene detentive fino a due anni, al netto della riduzione fino a un terzo, sole o congiunti a pena pecuniaria.La legge n. 134 del 2003 ha invece ampliato l’ambito di applicazione dell’istituto, al punto che oggi si distingue un patteggiamento tradizionale, cioè quello che segue le regole originarie, e uno “allargato”.Il patteggiamento allargato permette all’imputato e al pubblico ministero di accordarsi su una pena detentiva da due anni e un giorno fino a cinque anni, sola o congiunta a pena pecuniaria. Si apre quindi alla possibilità di esperire tale procedimento ad un numero maggiore di casi, puniti più severamente.Per questo tipo di patteggiamento, però, il legislatore ha posto all’art. 444 co 1 bis c.p.p. dei limiti, escludendolo al ricorrere di determinate cause oggettive, cioè in relazione ad alcune categorie di delitti (associazione mafiosa e assimilati, terrorismo e violenza sessuale e assimilati), e cause soggettive, riguardanti alcuni tipi di imputati (cioè coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali, per tendenza e i recidivi reiterati di cui all’art 99 co. 4 cp, per i quali il patteggiamento allargato resta parimenti precluso).
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Egregio Avvocato
16 feb. 2022 • tempo di lettura 2 minuti
Il c.d. stalking, cioè il reato di “atti persecutori”, previsto all’art. 612 bis del c.p., punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita e salvo che il fatto costituisca più grave reato.Il delitto di stalking è caratterizzato della relazione tra i singoli comportamenti dello stalker, che rilevano come una condotta persecutoria unitaria e causalmente orientata alla produzione di uno degli eventi tipici descritti dalla norma. Gli eventi in questione possono essere di danno (l’alterazione delle proprie abitudini di vita e il perdurante stato di ansia o di paura), o di pericolo (il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva).Il delitto è comunque qualificabile quale reato abituale, perché è necessaria la reiterazione di più condotte – e anche “improprio” perché le singole condotte potrebbero costituire di per sé stesse autonomi reati, e di evento.Secondo la giurisprudenza più recente, ne consegue la ammissibilità logica e giuridica di configurare un tentativo di stalking, punibile ai sensi degli artt. 56 e 612 c.p., quando siano posti in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a realizzare uno degli eventi di danno o di pericolo indicati dalla norma incriminatrice, ma l’evento non si realizzi per cause indipendenti dalla volontà dell’agente.Tale fattispecie può verificarsi quando, ad esempio, per il carattere forte della vittima o la mancata percezione di alcune condotte materiali dello stalker non si realizzino gli eventi descritti e non possa ritenersi consumato il reato, che si è pero configurato nella forma del tentativo.
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