tipologie di Stalking e Gaslighting

Avv. Prof. Dott. Criminologo Forense Giovanni Moscagiuro

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Pubblicato il 16 lug. 2023 · tempo di lettura 4 minuti
 tipologie di Stalking e Gaslighting | Egregio Avvocato

Lo stalking, o molestia psicologica, si manifesta in diverse forme, tra cui:

  • Pedinamento: seguire o monitorare la vittima in modo costante.
  • Contatti continui: inviare messaggi, chiamate, e-mail o effettuare visite indesiderate alla vittima.
  • Minacce: minacciare la vittima o le persone a lei care.
  • Diffamazione: diffondere informazioni false o dannose sulla vittima.
  • Interferenza nella vita privata: invadere la privacy della vittima, ad esempio tramite il controllo dei suoi account social o l'installazione di software di sorveglianza.

In Italia, lo stalking è punito dal codice penale, con pene che variano a seconda della gravità del reato.

L'art. 612-bis del codice penale, introdotto dalla legge n. 69 del 19 luglio 2019 (Codice Rosso) punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, la condotta di molestie, minacce, ingiurie, lesioni e danneggiamenti, qualora tali condotte siano reiterate e commesse ai danni della medesima persona, ovvero nei confronti di familiari o persone legate alla stessa da relazione affettiva ovvero nei confronti di persone che la stessa persona ha conosciuto a causa della sua attività lavorativa o professionale.

Inoltre, la legge prevede l'adozione di provvedimenti di urgenza quali allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento e di comunicazione con la vittima e sospensione dell'esercizio di attività lavorative o professionali.


Esistono diverse tipologie di stalking, tra cui:


  1. Stalking amoroso: si verifica quando una persona inizia a molestare un'altra persona con cui ha avuto una relazione romantica o che desidera avere una relazione romantica.
  2. Stalking professionale: si verifica quando un individuo molesta un collega o un superiore sul posto di lavoro.
  3. Stalking online: si verifica quando un individuo utilizza i mezzi digitali per molestare un'altra persona, ad esempio inviando messaggi di testo o postando commenti offensivi sui social media.
  4. Stalking a scopo sessuale: si verifica quando un individuo molesta un'altra persona con l'intento di ottenere sesso o soddisfazione sessuale.
  5. Stalking per vendetta: si verifica quando un individuo molesta un'altra persona per vendicarsi di una percepita offesa o ingiustizia.
  6. Stalking a scopo criminale: si verifica quando un individuo utilizza la molestia psicologica come mezzo per commettere altri reati, come il furto o il sequestro di persona.

Tutte queste tipologie di stalking sono illegali e punibili per legge, ma le punizioni variano a seconda della gravità del reato.


Il Gaslighting


Il gaslighting è una forma di abuso psicologico in cui una persona manipola deliberatamente un'altra persona, facendole mettere in dubbio la propria percezione della realtà. Il termine deriva dalla trama di un film del 1938 intitolato "Gas Light", in cui il personaggio principale manipola la sua moglie facendole credere di essere pazza.

Il gaslighting consiste nel negare l'evidenza, nel distorcere la verità e nel manipolare le informazioni per far apparire la vittima come instabile o insicura. La persona che compie questi atti può anche cercare di convincere la vittima che i suoi ricordi o le sue percezioni sono sbagliati, che le sue emozioni sono ingiustificate o che le sue paure sono immaginarie.

Per dimostrare di essere vittime di gaslighting, è importante raccogliere prove concrete del comportamento della persona che compie gli atti, ad esempio registrazioni audio o messaggi di testo. Inoltre, è importante rivolgersi a un professionista della salute mentale o a un avvocato specializzato in diritti umani per ottenere supporto e aiuto legale.

È importante notare che il gaslighting è una forma di abuso e può avere conseguenze negative sulla salute mentale e sulla vita personale della vittima. Se si sospetta di essere vittime di gaslighting, è importante cercare aiuto e supporto il prima possibile.


Il gaslighting in sé non è considerato un reato specifico in molti paesi, ma può essere considerato una forma di abuso psicologico o emotivo. Ciò significa che, se le azioni del gaslighter costituiscono un'infrazione ad altre leggi, come la legge sulle molestie o la legge sulla privacy, allora potrebbero essere punite come tali.

Ad esempio, il gaslighting può integrare i reati di stalking se la persona che compie gli atti di manipolazione persiste nel suo comportamento e molesta la vittima. Inoltre, se il gaslighter utilizza mezzi digitali per manipolare la vittima, potrebbe essere punito per cyberstalking o per l'invasione della privacy attraverso l'utilizzo di tecnologie informatiche.

In ogni caso, la punibilità dei reati commessi nel contesto del gaslighting dipende dalle leggi specifiche del paese in cui questi reati vengono commessi. Se si sospetta di essere vittime di gaslighting o di altre forme di abuso, è importante cercare l'aiuto di un avvocato o di un'organizzazione specializzata per aiutare a determinare se i comportamenti costituiscono un reato e come denunciare i responsabili.



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DIFFAMAZIONE

15 mag. 2023 tempo di lettura 6 minuti

Diffamazione: una minaccia per la reputazione e la libertà di espressioneIntroduzione: La diffamazione è un argomento di grande rilevanza nella società odierna, in cui le informazioni si diffondono rapidamente attraverso i mezzi di comunicazione e i social media. Con la crescente dipendenza dalla tecnologia e l'accesso quasi istantaneo alle informazioni, il rischio di diffamazione e danni alla reputazione è diventato sempre più significativo. Questo articolo esplorerà la diffamazione, le sue implicazioni legali e le sfide che si pongono nella gestione di questa forma di abuso della libertà di espressione.Definizione di diffamazione: La diffamazione può essere definita come l'azione di comunicare a terzi una dichiarazione falsa che danneggia la reputazione di una persona. Può essere espressa oralmente, per iscritto o attraverso gesti diffamatori. La diffamazione può causare danni significativi alla reputazione di un individuo, influenzando le opportunità lavorative, le relazioni personali e persino la salute mentale dell'individuo coinvolto.Le implicazioni legali: La diffamazione è una questione legale che coinvolge il diritto alla libertà di espressione e il diritto alla reputazione. Molti paesi hanno leggi specifiche che proteggono i cittadini dalla diffamazione, stabilendo norme per stabilire quando una dichiarazione può essere considerata diffamatoria e quali rimedi legali possono essere intrapresi.Le sfide della diffamazione online: L'avvento dei social media e delle piattaforme di condivisione online ha amplificato il problema della diffamazione. La possibilità di diffondere rapidamente informazioni, spesso senza verifica accurata dei fatti, ha creato un terreno fertile per la diffamazione online. Inoltre, l'anonimato relativo che tali piattaforme possono offrire può incoraggiare comportamenti diffamatori, poiché gli autori delle dichiarazioni possono nascondersi dietro un profilo falso o pseudonimo.Impatto sulla libertà di espressione: La diffamazione solleva anche questioni riguardanti la libertà di espressione. Mentre è fondamentale proteggere la reputazione delle persone da false affermazioni dannose, è altrettanto importante preservare la libertà di espressione e il diritto di esprimere opinioni legittime e critiche. Tuttavia, trovare un equilibrio tra questi due diritti può essere complicato, poiché le norme e le leggi variano da paese a paese e possono comportare un certo grado di soggettività nella valutazione delle affermazioni diffamatorie.Soluzioni possibili: Per affrontare la diffamazione, è essenziale che le piattaforme online adottino politiche e procedure chiare per segnalare e rimuovere contenuti diffamatori. Allo stesso tempo, è importante educare le persone sui rischi associati alla diffamazione e sulla necessità di una comunicazione responsabile. Inoltre, i tribunali devono essere in grado di affrontare in modo tempestivo e imparziale i casi di diffamazione, garantendo una giustizia equilibrata tra la protezione della reputazione e la tutela della libertà di espressione. È importante promuovere la responsabilità individuale nell'uso delle piattaforme di comunicazione online e incoraggiare la verifica dei fatti prima di condividere informazioni potenzialmente dannose.Educazione e sensibilizzazione: Una strategia efficace per combattere la diffamazione è l'educazione e la sensibilizzazione. È necessario promuovere la consapevolezza su cosa costituisce la diffamazione, i suoi effetti dannosi sulla reputazione delle persone e le implicazioni legali ad essa associate. I programmi educativi dovrebbero anche insegnare l'importanza di una comunicazione rispettosa, etica e basata sui fatti.Media responsabile: I media, sia tradizionali che digitali, svolgono un ruolo cruciale nella prevenzione della diffamazione. È fondamentale che i giornalisti e gli editori adottino standard etici elevati, verifichino accuratamente le fonti e riportino notizie in modo accurato e oggettivo. Inoltre, le piattaforme di social media dovrebbero assumersi la responsabilità di promuovere la condivisione di informazioni affidabili e di prevenire la diffusione di contenuti diffamatori.Leggi aggiornate: Le leggi sulla diffamazione devono essere aggiornate per tener conto dei cambiamenti tecnologici e delle sfide associate alla diffamazione online. È necessario trovare un equilibrio tra la protezione della reputazione e la libertà di espressione, garantendo che le leggi siano chiare, giuste e applicate in modo coerente. Le autorità devono anche essere pronte a rispondere in modo tempestivo ed efficace alle segnalazioni di diffamazione, fornendo un sistema giudiziario accessibile ed equo.Conclusioni: La diffamazione rappresenta una minaccia reale per la reputazione delle persone e per la libertà di espressione. La diffusione delle informazioni attraverso le piattaforme digitali ha amplificato il problema, rendendo urgente l'adozione di misure preventive. Educare le persone, promuovere la responsabilità individuale, incoraggiare un giornalismo etico e aggiornare le leggi sono tutti passi cruciali per affrontare la diffamazione in modo efficace. Solo attraverso un approccio olistico e collaborativo potremo proteggere la reputazione delle persone e preservare la libertà di espressione nella nostra società sempre più interconnessa e digitale.La diffamazione attraverso i mezzi di stampa: responsabilità e conseguenzeIntroduzione: I mezzi di stampa, come giornali, riviste e altre pubblicazioni, hanno un ruolo importante nella società come fonti di informazione e mezzi di espressione. Tuttavia, con questo ruolo di potere e influenza, sorge la responsabilità di fornire notizie accurate e di evitare la diffamazione. In questo articolo, esploreremo il problema della diffamazione attraverso i mezzi di stampa, le implicazioni legali e le conseguenze che possono derivarne per tutte le parti coinvolte.La diffamazione e la sua definizione: La diffamazione può essere definita come la divulgazione di affermazioni false o fuorvianti che danneggiano la reputazione di un individuo o di un'organizzazione. Nel contesto dei mezzi di stampa, questo può includere la pubblicazione di notizie, articoli o opinioni che contengono informazioni non verificate o distorte che possono ledere l'onorabilità di una persona o influenzare negativamente la percezione pubblica su di essa.La responsabilità dei mezzi di stampa: I mezzi di stampa svolgono un ruolo cruciale nel garantire l'accuratezza delle informazioni e la protezione della reputazione delle persone. Essi devono adottare standard etici elevati, verificare accuratamente le fonti, condurre ricerche approfondite e correggere eventuali errori o imprecisioni tempestivamente. La responsabilità giuridica può essere applicata se i mezzi di stampa pubblicano contenuti diffamatori, anche se talvolta possono beneficiare di alcune protezioni legali come la "difesa della verità" o il "privilegio giornalistico".Implicazioni legali e conseguenze: La diffamazione attraverso i mezzi di stampa può avere conseguenze legali significative per entrambe le parti coinvolte. La persona diffamata può intraprendere azioni legali contro il mezzo di stampa per il danno subito alla propria reputazione. I tribunali valuteranno se la diffamazione è avvenuta sulla base di elementi come l'accuratezza delle informazioni, l'intenzione di danneggiare la reputazione e l'effetto sulla persona diffamata. Le conseguenze possono includere richieste di risarcimento danni, rettifiche pubbliche o persino sanzioni penali in casi gravi di diffamazione deliberata.L'importanza dell'etica giornalistica: Per evitare la diffamazione attraverso i mezzi di stampa, è fondamentale promuovere l'etica giornalistica. I giornalisti devono seguire principi di verità, imparzialità, correttezza e responsabilità. Dovrebbero condurre approfondite verifiche dei fatti, cercare il commento di tutte le parti coinvolte e garantire la presentazione equilibrata delle informazioni. Inoltre, è essenziale adottare procedure solide per la verifica delle notizie, la correzione degli errori e la gestione delle denunce di diffamazione. Conclusioni: La diffamazione attraverso i mezzi di stampa rappresenta una minaccia seria per la reputazione delle persone e per l'integrità del giornalismo. È essenziale che i mezzi di stampa adottino standard etici rigorosi, condurre ricerche approfondite e verificare accuratamente le informazioni prima di pubblicarle. La responsabilità giuridica può essere applicata se si diffondono notizie false o dannose. L'etica giornalistica, basata sulla verità, imparzialità e responsabilità, è fondamentale per evitare la diffamazione e preservare l'integrità della professione. È fondamentale promuovere la consapevolezza sui danni causati dalla diffamazione e incoraggiare una comunicazione responsabile e rispettosa. Solo attraverso un impegno collettivo dei mezzi di stampa, dei giornalisti e della società nel suo complesso, possiamo mitigare gli effetti dannosi della diffamazione e preservare la libertà di espressione in modo responsabile.

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Aberratio ictus: cos'è?

12 gen. 2022 tempo di lettura 1 minuti

L'aberratio ictus è un istituto previsto nel diritto penale e disciplinato dall’art. 82 c.p., secondo il quale nel caso in cui un soggetto cagioni un’offesa ad una persona diversa rispetto a quella che voleva offendere, e ciò sia dovuto ad un errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, risponderà comunque come se avesse commesso il reato nei confronti della persona verso cui l’offesa era diretta. Si tratta, quindi, del caso in cui un soggetto abbia formato correttamente la propria volontà (es. Tizio vuole uccidere Caio, e agisce per realizzare tale volontà), ma poi a causa di una propria inabilità colpisca un soggetto diverso (es. Tizio non sa sparare, e invece di colpire Caio, colpisce Semprione che si trovava nelle vicinanze di Caio). Rientra nelle ipotesi dei cd. errori-inabilità, che si differenziano dai cd. errori-vizio, ove invece è proprio la volontà ad essersi formata in maniera scorretta (es. art. 47 c.p.)Secondo una prima tesi, l’art. 82 c.p. ha una natura dichiarativa e si limita ad esplicitare qualcosa che sarebbe comunque desumibile dai principi generali, secondo cui l’identità della persona offesa non rileva nella commissione del reato. Secondo una diversa tesi, invece, l’art. 82 c.p. ha natura costitutiva, in quanto consente di punire il soggetto anche se non potrebbe essere punito, avendo realizzato oggettivamente un fatto diverso da quello che voleva realizzare.Il tema dell’aberratio ictus, essendo di particolare rilevanza, sarà oggetto di prossimo approfondimento.

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La prescrizione penale del reato: cos’è e come funziona?

11 feb. 2021 tempo di lettura 6 minuti

La disciplina della prescrizione è da tempo al centro del dibattito pubblico e politico, oltre che giuridico. Nell’arco di pochi anni è stata infatti oggetto di due importanti riforme (rispettivamente riforma Orlando nel 2017 e riforma Bonafede nel 2019), che ne hanno radicalmente cambiato i connotati. Ciò non esclude, peraltro, che nel prossimo periodo il decisore politico possa intervenire nuovamente sulla materia. Cerchiamo dunque di comprendere più da vicino le finalità dell’istituto e di analizzare i tratti principali della disciplina prevista dal codice penale.1. Cos’è la prescrizione del reato?2. Come funziona la prescrizione?3. Vi sono dei casi di interruzione o sospensione del termine prescrizionale?4. L’imputato può rinunciare alla prescrizione?1 - Cos’è la prescrizione del reato?La prescrizione integra una causa di estinzione del reato: ciò vuol dire che, decorso un determinato periodo di tempo prestabilito ex legge dalla consumazione del fatto criminoso, senza che sia intervenuta una sentenza di condanna definitiva, il giudice dovrà prosciogliere l’imputato per l’intervenuta prescrizione del delitto. La persona, dunque, non verrà sanzionata penalmente. La prescrizione, in particolare, declina in termini temporali l’interesse dello Stato a irrogare una sanzione in relazione a un determinato illecito penale: spirato il termine prescrizionale viene meno la pretesa punitiva dello Stato, in quanto si ritiene che sia trascorso troppo tempo per considerare una persona ancora meritevole di pena. La Corte costituzionale, a tal riguardo, ha parlato di un vero e proprio “diritto all’oblio in capo all’autore [del reato]” (Corte cost., 26 gennaio 2017, n. 24).Chiarita in questi termini la finalità di fondo dell’istituto, deve fugarsi ogni dubbio in merito a un fraintendimento che spesso caratterizza il dibattito pubblico e, alle volte, anche quello politico: la prescrizione è cosa diversa dalla (ragionevole) durata dei processi, sebbene chiaramente le tematiche presentino dei forti punti di connessione. La prima riguarda l’interesse dello Stato a punire e, specularmente, quello dell’imputato a non ricevere una pena qualora sia trascorso troppo tempo dalla commissione del fatto; la seconda, invece, si sostanzia nel diritto della persona – e del relativo dovere dello Stato – a che un processo venga celebrato in tempi rapidi. Intervenire sulla disciplina della prescrizione, quindi, non significa affatto risolvere la problematica della irragionevole durata dei processi. Affinché ciò possa avvenire sarebbe necessario un articolato catalogo di interventi legislativi, a partire da una riforma che provveda a riorganizzare l’assetto degli uffici giudiziari.2 - Come funziona la prescrizione?La durata del termine prescrizionale, ai sensi dell’art. 157 c.p., è pari al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e, in ogni caso, non inferiore a sei anni per i delitti e quattro per le contravvenzioni. La norma prevede inoltre dei termini speciali per talune fattispecie di reato considerate più gravi: per il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, ad esempio, si applica un termine prescrizionale raddoppiato (se vuoi saperne di più sul reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., clicca qui)I reati puniti con la pena dell’ergastolo – così l’omicidio aggravato di cui all’art. 576 c.p. – sono invece imprescrittibili. La ragione di questa scelta politico-criminale si fonda sulla gravità del reato: a voler riprendere il suddetto esempio, il legislatore ha ritenuto che l’interesse a punire dello Stato non debba mai svanire nel caso di omicidio aggravato, venendo in rilievo il bene giuridico della vita. Quanto al momento di decorrenza della prescrizione, si noti che per il reato consumato il termine decorre dal momento della sua consumazione e per quello tentato, invece, da quando è cessata l’attività delittuosa. Per i reati permanenti e continuati, infine, da quando è cessata la permanenza o la continuazione.3 - Vi sono dei casi di interruzione o sospensione del termine prescrizionale?Si, il codice penale disciplina i casi di sospensione, interruzione e dei relativi effetti agli artt. 159, 160 e 161 c.p.La sospensione della prescrizione – che differentemente dall’interruzione produce i propri effetti nei confronti delle sole persone a processo e non di tutti coloro i quali hanno commesso il reato – determina l’arresto del decorso della prescrizione, che riprende il suo corso dal giorno in cui cessa la causa sospensiva.  L’ipotesi sospensiva di maggior interesse – introdotta con la legge 9 gennaio 2019 n. 3 (c.d. legge ‘spazza-corrotti’, anche nota come riforma Bonafede) – riguarda la sospensione della prescrizione dalla pronuncia della sentenza di primo grado sino a che questa non sia divenuta irrevocabile. In altre parole, il termine non decorre più dall’emissione della sentenza di primo grado – indipendentemente che la decisione sia di assoluzione o di condanna – sino alla conclusione del processo. L’innovazione normativa è entrata in vigore il 1° gennaio 2020 e potrà applicarsi esclusivamente con riferimento ai fatti di reato commessi successivamente a questa data. In ragione della rilevanza della riforma, è necessario effettuare un cenno alla normativa previgente risalente alla legge 23 giugno 2017 n. 103 (c.d. riforma Orlando). L’art. 159 c.p. prevedeva la sospensione della prescrizione – per un termine comunque non superiore a un anno e sei mesi – dal giorno indicato per il deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado sino alla pronuncia della decisione del grado di appello (il medesimo meccanismo regolamentava altresì il rapporto tra secondo grado e giudizio di Cassazione). Peraltro, a differenza della norma attualmente vigente, ai fini della sospensione veniva in rilievo esclusivamente la sentenza di condanna. In caso di assoluzione, dunque, il termine prescrizionale continuava a decorrere. Inoltre, qualora all’esito di un grado di giudizio successivo al primo fosse intervenuta una decisione di assoluzione, il periodo di sospensione veniva ‘recuperato’ ai fini del conteggio totale. Quanto all’interruzione della prescrizione, quest’ultima, per via del compimento di alcuni atti giudiziari, determina il prolungamento del termine prescrizionale, che comincia nuovamente a decorrere dal giorno stesso in cui si è verificata la causa interruttiva. In ogni caso, ai sensi dell’art. 161, co. 2 c.p. l’aumento non può essere superiore a un quarto del tempo necessario a prescrivere, salvi i casi di alcuni reati specificamente indicati dalla norma per cui è previsto un aumento maggiore. In concreto: se il reato si prescrive in sei anni e si verifica una causa interruttiva, il nuovo termine prescrizionale sarà di sette anni e sei mesi. Le cause di interruzione della prescrizione sono tassativamente indicate dall’art. 160 c.p.: fra queste, ad esempio, la richiesta di rinvio a giudizio o il decreto che dispone il giudizio e non invece, non essendo espressamente previsto, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. 4 - L’imputato può rinunciare alla prescrizione?Si, ai sensi dell’art. 157, co. 7 c.p., l’imputato può rinunciare alla prescrizione: potrebbe avvenire, ad esempio, nei casi in cui la persona – convinta della propria innocenza – miri a ottenere una pronuncia di piena assoluzione. In tali casi, dunque, il giudice non dichiarerà l’estinzione del reato – sebbene il termine prescrizionale sia già maturato – ma dovrà esprimersi nel merito della vicenda. Il codice penale prevede che la dichiarazione di rinuncia avvenga in modo espresso. Ciò vuol dire che la volontà dell’imputato deve essere estrinsecata in maniera esplicita, non potendosi desumere implicitamente. Si consideri, inoltre, che la rinuncia alla prescrizione è un diritto personalissimo e, pertanto, la relativa dichiarazione deve essere effettuata personalmente dall’imputato o dal difensore munito di apposita procura speciale. Secondo l’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione, la dichiarazione di rinuncia può essere altresì revocata, a condizione però che non sia già intervenuta la decisione del giudice (a titolo esemplificativo Cass. pen., sez. VI, 11 luglio 2012, n. 30104). Deve tuttavia segnalarsi una pronuncia di segno contrario, ad avviso della quale la rinuncia alla prescrizione è irrevocabile (Cass. pen., sez. V, 24 aprile 2008, n. 33344). Editor: avv. Davide Attanasio

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Egregio Avvocato

Se il ladro fugge con l’auto risponde del delitto di furto o rapina?

11 nov. 2024 tempo di lettura 2 minuti

Prima di rispondere al quesito odierno è necessario preliminarmente tracciare una linea di confine tra il delitto di rapina di cui all’art. 628 c.p. ed il delitto di furto di cui all’art. 624 c.p..Ebbene, si tratta di due fattispecie caratterizzate dai medesimi elementi costitutivi, ovvero “sottrazione della res ed impossessamento”, il cui discrimen va individuato nelle modalità della condotta, essendo necessario, ai fini dell’integrazione del delitto di rapina, che la stessa si realizzi mediante violenza o minaccia.In particolare, l’art. 629 c.p. disciplina due ipotesi di rapina: la rapina propria, se la violenza e la minaccia sono poste in essere prima della sottrazione della res, allo scopo di coartare la volontà della persona offesa; e la rapina impropria, quando la condotta violenta o minacciosa viene realizzata successivamente alla sottrazione della res, al fine di scoraggiare la reazione del soggetto passivo ed assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l’impunità.Tornando al quesito odierno, una questione molto dibattuta nelle aule giudiziarie è se la fuga con l’auto da parte del ladro, che tenta di sottrarsi alle forze di polizia, possa integrare gli estremi della violenza impropria e quindi giustificare un mutamento in pejus della fattispecie contestata, ovvero dal reato di furto a quello di rapina impropria.Orbene, secondo la Corte di Cassazione, costituendo la mera fuga una forma di resistenza passiva, affinché possa assumere rilievo penale è necessario che si realizzi attraverso manovre tali da creare una situazione di generale e oggettivo pericolo (Cass 2019/44860).Alla luce di un tale orientamento, molti giuristi e non si sono chiesti se anche la mera violazione del Codice della Strada possa ritenersi sufficiente ad integrare una situazione di oggettivo pericolo. A fugare ogni dubbio è un risalente orientamento giurisprudenziale della Cassazione che, pronunciandosi su un caso di resistenza a p.u., ha chiarito che “il fuggitivo che passa con il rosso, sia pur a forte velocità, non commette il reato di resistenza a p.u,, non essendo sufficiente la mera violazione di una o più norme del codice della strada (Cass. 2002/35448).In definitiva, sarà sempre necessario accertare in concreto se la condotta posta in essere dal reo abbia determinato un effettivo pericolo per l’incolumità di terzi o della persona offesa. In assenza di un tale presupposto, potrà dirsi integrato il meno grave delitto di furto, ex art. 624 c.p..

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