Il reato di epidemia e l’emergenza da Covid-19

Avv. Egregio Avvocato

Egregio Avvocato

Pubblicato il 12 mar. 2021 · tempo di lettura 6 minuti

Il reato di epidemia e l’emergenza da Covid-19 | Egregio Avvocato
A causa dell’emergenza da Covid-19 si è sentito parlare spesso del reato di epidemia, previsto dal codice penale nella duplice ‘veste’ di delitto doloso e colposo. Cerchiamo dunque di comprendere gli elementi costitutivi di questa fattispecie e se, con riferimento all’epidemia causata dalla diffusione del virus da Covid-19, vi possano effettivamente essere gli elementi idonei a giustificare una contestazione in sede penale.




  1. Premessa.
  2. Cosa prevede il reato di epidemia dolosa?
  3. (Segue) e quello di epidemia colposa?
  4. Tali fattispecie incriminatrici possono applicarsi in caso di Covid-19?


1 - Premessa.


In materia penale, l’epidemia è disciplinata in due disposizioni differenti del codice penale: vale a dire gli artt. 438 e 452 c.p. Come si dirà, l’elemento oggettivo delle fattispecie incriminatrici è il medesimo; differiscono, invece, in punto di coefficiente psicologico. In un caso (art. 438 c.p.), ai fini dell’integrazione del reato è necessaria la sussistenza del dolo, inteso quale rappresentazione e volizione di tutti gli elementi costitutivi del delitto; nell’altro (art. 452 c.p.), l’elemento soggettivo richiesto è quello della colpa. In quest’ultima ipotesi, dunque, l’evento non è voluto dall’agente, ma si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di disposizioni. 

Il bene giuridico tutelato dalle disposizioni incriminatrici è ovviamente il medesimo: consiste nella tutela dell’incolumità pubblica e, in particolare, nella salvaguardia della salute collettiva. A tal riguardo, secondo l’opinione maggioritaria – avallata anche dalla giurisprudenza di legittimità – la persona offesa del reato è unicamente lo Stato e, per esso, il Ministero della Salute quale organo di vertice dell’esecutivo preposto alla tutela della salute. Si ritiene, infatti, che lo Stato sia l’esclusivo titolare del bene giuridico protetto dalla norma e, pertanto, sarebbe la parte legittimata a costituirsi parte civile nell’ambito di un procedimento penale avente quale capo di imputazione il reato di epidemia.

L’applicazione giurisprudenziale del delitto in questione (sia doloso che colposo) è stata pressoché nulla. Tuttavia, in ragione della ancora attuale emergenza epidemiologica dovuta alla diffusione del virus da Covid-19, può essere opportuno interrogarsi su quali siano gli elementi costitutivi della fattispecie in esame. Non è da escludere, infatti, che nei prossimi tempi gli organi inquirenti si trovino a dover contestare, laddove ne ricorrano i presupposti, il reato di epidemia.


2 - Cosa prevede il reato di epidemia dolosa?


Secondo quanto prescritto dall’art. 438 c.p., il reato può venire in rilievo qualora una persona abbia cagionato un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni

Come prima cosa, è bene sottolineare che ai fini dell’integrazione del delitto non è richiesto il possesso di una particolare qualifica in capo al soggetto attivo: il reato – per via della locuzione ‘chiunque’ – è di natura c.d. comune

Ad avviso della più recente giurisprudenza di legittimità è possibile contestare il delitto di epidemia anche qualora non via sia un’alterità tra persona e germi patogeni, in altri termini nei casi in cui il soggetto attivo diffonda il virus che egli stesso ha precedentemente contratto. La specificazione è necessaria poiché, in passato, si riteneva che l’espressione «mediante la diffusione di germi patogeni» dovesse essere interpretata nel senso di richiedere una separazione fisica tra il diffusore e ciò che viene diffuso (vale a dire il germe patogeno). Chiarissima sul punto una recente pronuncia della Corte di cassazione, ad avviso della quale «la norma non impone una relazione di alterità e non esclude che una diffusione possa aversi pur quando l’agente sia esso stesso il vettore di germi patogeni» (Cass. pen., sez. I, 30 ottobre 2019, n. 48014, vicenda relativa alla trasmissione del virus HIV nell’ambito della quale i giudici hanno escluso la sussistenza del delitto di epidemia). 

Secondo l’opinione prevalente, inoltre, il fatto tipico del reato qui analizzato coincide, da un lato, con la manifestazione della malattia in un numero considerevole di persone e, dall’altro, nel concreto pericolo che il contagio si diffonda repentinamente – e in un ristretto arco temporale – in un numero indeterminato di persone. Ciò che deve essere verificato processualmente è che l’iniziale trasmissione del virus in un elevato quantitativo di persone sia ricollegabile causalmente alla condotta posta in essere dal soggetto portatore del virus: dimostrazione probatoria, quest’ultima, di non semplice assolvimento. 

In punto di elemento soggettivo, la norma richiede, come anticipato, la sussistenza del dolo (anche nella gradazione del dolo eventuale). In altri termini, è anzitutto necessario che la persona si rappresenti l’eventualità che tramite la sua condotta potrebbe infettare un numero significativo di persone e, conseguentemente, determinare una diffusione indiscriminata e incontrollabile della malattia; una volta rappresentatosi l’evento criminoso, è poi necessario che il comportamento della persona sia volontario. 

Quanto al trattamento sanzionatorio, infine, il legislatore ha previsto la pena dell’ergastolo


3 - (Segue) e quello di epidemia colposa?


La fattispecie colposa, disciplinata come detto dall’art. 452 c.p., differisce dall’ipotesi punita a titolo di dolo, non soltanto per il diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, ma anche per il trattamento sanzionatorio, in quest’ultimo caso decisamente più mite rispetto a quello dell’art. 438 c.p.

A fronte dell’ergastolo previsto per l’epidemia dolosa, l’ipotesi colposa è sanzionata con la reclusione da uno a cinque anni (art. 452, co. 1 lett. b) c.p.). 

Per quanto riguarda l’elemento oggettivo del reato, invece, le considerazioni non possono che essere analoghe a quelle formulate rispondendo alla domanda precedente: la condotta dell’epidemia colposa è infatti descritta per rinvio all’art. 438 c.p.


4 - Tali fattispecie incriminatrici possono applicarsi in caso di Covid-19?


In ragione dell’attuale situazione epidemiologica nazionale e internazionale, riteniamo sussista tuttora la concreta possibilità di contestazione dei reati sopra descritti. Una tale eventualità era stata avallata dallo stesso legislatore, il quale – nel mettere a punto un sistema di sanzioni volto a far rispettare le misure di contenimento adottate durante il primo lockdown del 2020 per fronteggiare la diffusione del virus – aveva fatto esplicito riferimento al delitto di epidemia: in particolare, l’art. 4, co. 6 d.l. 19/2020 prevedeva un’espressa clausola di riserva in favore del reato di cui all’art. 452 c.p., relativa all’ipotesi di violazione della misura della quarantena. 

In virtù di quanto si è detto, è tuttavia necessario specificare che sarà onere del giudice vagliare, caso per caso, la sussistenza di tutti gli elementi sopra descritti. A tal proposito, si ritiene inverosimile che possa essere condannato per epidemia (anche soltanto colposa) chi abbia posto in essere una condotta inidonea, in concreto, a far diffondere il virus in maniera incontrollata. Si pensi, ad esempio, al comportamento di chi – sottoposto a quarantena per via della positività al Covid-19 – sia uscito di casa per recarsi in un posto notoriamente desolato; o anche all’ipotesi della persona positiva che esca in piena notte dalla propria dimora per andare a gettare la spazzatura negli appositi locali condominiali. In tali circostanze, infatti, pare ragionevole ritenere che non sussista in concreto alcun pericolo di trasmissione rapida e incontrollata del virus.


Editor: avv. Davide Attanasio

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26 feb. 2024 tempo di lettura 7 minuti

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Ci sono molte ragioni per questo, oltre a una storia di copertura e a fare in modo di confondere l’obiettivo. La bibbia satanica parla di creare capri espiatori.Chiunque scriva o parli di questi argomenti viene attaccato da psico-bombe che sono portate a credere che lo scrittore o l’oratore faccia parte della cospirazione ed che sia coinvolto nella loro tortura. Coloro che non parlano di queste atrocità e che dovrebbero esserne al corrente, sono i colpevoli.La destabilizzazione della personalità usando questi metodi crea psico-bombe. Questi possono essere riconosciuti nelle persone che commettono massacri. Destabilizzare la personalità anni prima che un assassino programmato o una psico-bomba venga innescata, aiuta a creare il record storico da usare per la “plausibile negabilità”. 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Ciò consente loro di superare i test del poligrafo e simili.Prof. Dr. Giovanni MoscagiuroStudio delle Professioni e Scienze forensi e Criminologia dell'Intelligence ed Investigativa Editori e Giornalisti europei in ambito investigativoemail: studiopenaleassociatovittimein@gmail.comEsperto e Docente in Diritto Penale ,Amministrativo , Tributario , Civile Pubblica Amministrazione , Esperto in Cybercrime , Social Cyber Security , Stalking e Gang Stalking, Cyberstalking, Bullismo e Cyberbullismo, Cybercrime, Social Crime, Donne vittime di violenza, Criminologia Forense, dell'Intelligence e dell'Investigazione, Diritto Militare, Docente in Criminologia e Scienze Forensi, Patrocinatore Stragiudiziale, Mediatore delle liti, Giudice delle Conciliazioni iscritto all'albo del Ministero di Grazia e Giustizia, ausiliario del Giudice, CTU e CTP, Editori e Giornalisti European news Agency

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La Vittimizzazione secondaria

17 lug. 2023 tempo di lettura 6 minuti

La vittimizzazione secondaria può essere vista in diversi casi, ad esempio nel caso di un'aggressione sessuale. A seconda di come le istituzioni come la polizia o il sistema di giustizia penale e di quanto la vittima sia degna dello status di vittima, le vittime di tali crimini possono affrontare vari livelli di vittimizzazione secondaria. Alcune vittime affermano che la vittimizzazione secondaria che hanno avuto è peggiore del crimine. Ciò può essere dovuto a diversi motivi, tra cui l'interrogatorio, il ricordo di un evento orribile e il dover riviverlo attraverso procedimenti giudiziari. Questo mio articolo tenterà di esaminare la vittimizzazione secondaria, quali fattori (come i fallimenti della polizia) contribuiscono alla vittimizzazione secondaria e utilizzerà un caso contemporaneo per applicare e mostrare come è ancora vista negli ultimi tempi.Il termine vittimizzazione secondaria può essere definito o spiegato come i comportamenti e gli atteggiamenti dei fornitori di servizi sociali che sono visti come colpevolizzanti della vittima. Anche questi servizi sociali sono considerati insensibili, il che può portare le vittime a sentirsi traumatizzate (Campbell & Raja 1999). Il sistema di giustizia penale presuppone inoltre che una vittima sia una presunta vittima fino a quando la causa non viene vinta. Si ritiene inoltre che il sistema incoraggi la rivittimizzazione attraverso interrogatori di polizia, interrogatori e controinterrogatori all'interno di un processo. Durante questi processi c'è la sensazione che la vittima sia in qualche modo responsabile di ciò che le è successo. La vittimizzazione secondaria non è un concetto moderno. Agostino Tassi nel XVII secolo, fu processato per aver stuprato una talentuosa pittrice di nome Artemisia Gentileschi. Il processo fu un processo lento e il giudice ebbe molte difficoltà a decidere a quale parte credere. Gentileschi, la vittima è stata torturata usando viti a testa zigrinata per scoprire se mentiva sulla sua aggressione (Cascone 2018). La vittimizzazione secondaria è presente anche nella Gran Bretagna contemporanea. Recenti ricerche hanno dimostrato che nelle prime fasi di un caso, la vittimizzazione secondaria sembra provenire dalla percezione di una persona che la polizia non sarà comprensiva nei suoi confronti, tuttavia più avanti nel caso, le vittime spesso vedono le comparizioni in tribunale come minacciose o intimidatorie, il che a sua volta porta alla vittimizzazione secondaria. Alcuni studiosi hanno anche scoperto che le vittime che hanno una visione positiva del sistema di giustizia penale e della sua risposta. Il grado di vittimizzazione secondaria può variare a seconda di quanto la persona sia meritevole dello status di vittima. Ad esempio, una vittima ideale è qualcuno o un gruppo di individui che, quando sono vittime di reato, sono i più meritevoli dello status di vittima. Per essere una vittima ideale ci sono alcune caratteristiche. La persona è debole, irreprensibile, nel posto sbagliato al momento sbagliato e non ha alcuna relazione con l'autore del reato (Patel 2015). Una vittima non ideale invece è la meno probabile dello status di vittima e di solito sono le prostitute, i delinquenti, i maschi o coloro che scelgono uno stile di vita “rischioso”. Coloro che sono classificati come vittime ideali hanno meno probabilità di sperimentare la vittimizzazione secondaria, mentre le possibilità aumentano in modo significativo per coloro che sono classificati come non ideali. La vittimizzazione secondaria può anche essere un fattore che contribuisce alla figura oscura che circonda il crimine. Se le persone temono il sistema di giustizia penale, è meno probabile che denuncino il crimine che è stato commesso. Un altro fattore di vittimizzazione secondaria che è anche un fattore della figura oscura è la colpa della vittima. Molte vittime non ideali come le prostitute hanno spesso paura di denunciare nel caso, sono loro le colpevoli del crimine a causa dei loro comportamenti. Esempi di incolpazione delle vittime possono essere visti in casi contemporanei come lo scandalo Rotherham in cui le ragazze sono state descritte come piccole prostitute sporche (Wilson 2015). La vittimizzazione secondaria e la colpa della vittima nei casi di stupro possono essere strettamente correlate poiché alle vittime viene spesso chiesto di ripercorrere ciò che è accaduto la notte in cui è stato commesso il crimine. Per alcuni, rivivere e ripercorrere il delitto e non essere creduti è peggio che quando è stato compiuto. è meno probabile che denuncino il reato commesso.  un caso, la vittimizzazione secondaria da parte della polizia può essere vista nel caso John Worboys. Worboys era un tassista nero che ha aggredito sessualmente diverse donne per un periodo di tempo. John Worboys ha utilizzato una professione di fiducia per abusare delle donne e nel 2007 una giovane donna ha affermato di essere stata drogata e violentata durante il viaggio di ritorno a casa dopo essere uscita con gli amici. Worboys ha chiesto alla donna se voleva bere con lui per festeggiare un'occasione. La donna ha bevuto, poi si è sentita male e ha avuto le vertigini. I Worboy poi le hanno infilato delle pillole in gola e poi è svenuta e non ha ricordato nulla. Dopo aver avuto dei flashback dell'incidente, ha chiamato il direttore del campus per guardare il filmato delle telecamere a circuito chiuso dei Worboy che scendevano qui al campus. Dopo che il filmato è stato esaminato, le è stato consigliato di contattare immediatamente la polizia. Dopo aver denunciato il delitto alla polizia, il primo difetto è stato che hanno impiegato dalle 4 alle 5 ore per andare al suo indirizzo e intervistarla. La principale vittimizzazione secondaria in questo caso è che la polizia non ha creduto alla vittima. La polizia ha anche riso quando la vittima ha raccontato loro delle sue ferite e ha affermato che doveva essere caduta. Questo è anche un esempio di incolpazione della vittima poiché credevano che fosse responsabile delle proprie ferite. La vittima dice: "Dopo aver denunciato, mi sentivo come se non mi prendessero affatto sul serio" e "L'esperienza di non essere creduta e fallita dalla polizia è stata altrettanto brutta, se non peggiore, dell'essere vittima di Worboys". Un altro modo in cui la vittimizzazione secondaria è vista nel caso è dal sistema giudiziario quando la vittima ha scoperto che le accuse nei confronti di Worboys erano state ritirate attraverso l'IPCC. Il CPS ha sostenuto che non c'erano prove sufficienti per perseguire Worboys anche se il campus aveva telecamere a circuito chiuso di lui che la lasciava la notte dell'attacco. (Il Guardiano 2010). Ciò rende la vittima nuovamente esposta alla vittimizzazione secondaria poiché sentiva di non aver ottenuto giustizia. A causa della caduta di questo caso, la vittima è diventata una vittima invisibile e un altro numero nella figura oscura. A causa della mancanza di polizia, Worboys ha continuato a compiere attacchi multipli contro donne diverse per diversi anni prima di essere perseguito, condannato e incarcerato per un periodo minimo di otto anni nel 2009 per droga e aggressione sessuale di donne passeggeri e anche condannato a una pena indeterminata , il che significa che potrebbe essere tenuto in prigione fintanto che fosse considerato un pericolo per il pubblico (BBC 2018). Worboys sarebbe stato rilasciato al pubblico nel 2018, anche se più vittime si sono fatte avanti e con l'ulteriore pressione del pubblico Worboys è stato tenuto all'interno. Le vittime degli attacchi hanno citato in giudizio la polizia con la convinzione che se avessero svolto le indagini in modo efficace, i Worboy avrebbero potuto essere catturati prima. Hanno ricevuto un compenso di oltre £ 41000. Con oltre 100 vittime solo 12 sono andate in tribunale. Si è sostenuto che ciò fosse dovuto al fatto che gli altri non avevano denunciato il crimine in quel momento e quindi tecnicamente non era fallito dalla polizia (Woman's Hour 2018). In conclusione, la vittimizzazione secondaria è ancora un problema nei casi contemporanei. Si può anche notare che è necessario più lavoro per combattere questo problema per proteggere e ottenere giustizia per le vittime di casi come Worboys. Con questo articolo, ho tentato di spiegare la vittimizzazione secondaria e di applicarla a casi contemporanei, spiegando, anche, come alcune vittime abbiano maggiori probabilità di ricevere lo status di vittima rispetto ad altre a seconda che fossero una vittima ideale o non ideale. 

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Il testimone nel processo penale: obblighi e responsabilità

28 gen. 2021 tempo di lettura 7 minuti

Nel processo penale italiano grande rilevanza probatoria viene data alle dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del dibattimento, in quanto reale espressione del principio del contraddittorio, dell’oralità e dell’immediatezza. Ma quali sono gli obblighi cui è soggetto il cittadino chiamato a testimoniare? Quali sono le responsabilità e le conseguenze cui può andare incontro? Sono previste delle ipotesi di non punibilità?Chi è il testimone?Quali sono gli obblighi del testimone? Quali sono le conseguenze in caso di violazione degli obblighi? In quali casi il testimone che dichiara il falso potrebbe andare esente da pena?1 - Chi è il testimone?Il testimone è un soggetto avente un ruolo fondamentale nel processo penale italiano, ed in particolare nella fase del dibattimento. Il principio cardine del processo penale, infatti, è il principio del contraddittorio, con i corollari principi dell’oralità e dell’immediatezza, alla luce dei quali il giudice penale deve formare il proprio convincimento (di assoluzione o di condanna) mediante delle prove che si formino nel processo stesso, e non mediante delle prove cd. precostituite. La testimonianza, e quindi il ruolo del testimone, rispecchia pienamente questa esigenza di oralità ed immediatezza, in quanto le dichiarazioni vengono rese non solo davanti al giudice che sarà poi chiamato a decidere, ma dinanzi alle parti processuali, cioè il PM, l’imputato e il difensore di quest’ultimo, i quali potranno rivolgere delle domande al dichiarante. L’esame del testimone, invero, avviene nel contesto del cd. “esame incrociato”, ove le domande verranno poste prima dalla parte che ha chiesto la presenza di quel soggetto come testimone (esame), poi dall’altra parte (controesame), a fronte del quale la prima parte potrà nuovamente porre altre domande (riesame), ed infine eventualmente anche dal giudice.Il testimone, dunque, è un soggetto informato dei fatti, che viene chiamato nel corso del dibattimento per rendere delle dichiarazioni inerenti al fatto di reato, oggetto del processo.2 - Quali sono gli obblighi del testimone?Il cittadino chiamato a testimoniare in un processo penale riceve un atto denominato “citazione testi”, di regola notificato con raccomandata se citato dai difensori dell’imputato o mediante ufficiale giudiziario se citato dal PM. In tale atto vengono indicati l’ora, il giorno e il luogo nel quale presentarsi, oltre che l’indicazione del procedimento penale per il quale è richiesta la dichiarazione testimoniale.L’art. 198 c.p.p. sancisce che il testimone ha l’obbligodi presentarsi dinanzi al giudice;di attenersi alle prescrizioni date dal giudice stesso per le esigenze processuali;di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte.Il cittadino, dunque, non ha la mera facoltà di presentarsi a testimoniare, ma – se chiamato – ha l’obbligo di presentarsi e rendere testimonianza, anche nel caso in cui precedentemente abbia già reso delle dichiarazioni sui medesimi fatti dinanzi ad altre autorità, come le Forze di Polizia. Il giudice, infatti, non è a conoscenza delle precedenti dichiarazioni eventualmente rese.Una volta presente in udienza, il cittadino verrà chiamato a sedersi al banco dei testimoni, dovrà qualificarsi fornendo le proprie generalità e dovrà impegnarsi nell’assunzione del proprio ruolo mediante la lettura a voce alta di una formula sacramentale, che verrà indicata dal giudice. Appare opportuno evidenziare che nell’ordinamento italiano questo impegno solenne non viene assunto mediante giuramento sulla Bibbia, alla luce della laicità dello Stato italiano, ma viene assunto invece mediante la lettura di una precisa formula volta a rendere consapevole il cittadino dell’importanza del ruolo assunto. Solo dopo la lettura di tale formula, e l’avvertimento da parte del giudice delle eventuali conseguenze cui il testimone può andare incontro, avranno inizio le domande, alle quali il testimone sarà obbligato a rispondere secondo verità.3 - Quali sono le conseguenze in caso di violazione degli obblighi?Il legislatore penale italiano, proprio alla luce del ruolo rilevante giocato dal testimone all’interno del processo, ha previsto delle conseguenze particolarmente incidenti per il soggetto che violi gli obblighi previsti dall’art. 198 c.p.p.In primo luogo, nel caso in cui il cittadino regolarmente chiamato a testimoniare non si presenti senza addurre un legittimo impedimento, o qualora l'impedimento addotto non sia ritenuto legittimo, il giudice potrà disporre il cd. accompagnamento coattivo: viene disposta un’ulteriore udienza alla quale il testimone dovrà essere accompagnato coattivamente dalle Forze dell’Ordine. Il giudice potrà, altresì, condannare il testimone al pagamento di una somma da €51 a €516 a favore della cassa delle ammende, nonché al pagamento delle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa, ai sensi dell'art. 133 c.p.p.In secondo luogo, una conseguenza ancor più grave è prevista nel caso di violazione dell’ulteriore obbligo: se il testimone nel corso del proprio esame non rispetta e viola l’obbligo di dire la verità commette un fatto penalmente rilevante, quale il reato di falsa testimonianza. L’art. 372 c.p. prevede, invero, la pena della reclusione dai due ai sei anni per chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, realizzi una delle seguenti condotte:affermare il falsonegare il verotacere, in tutto o in parte, in merito a ciò che sa sui fatti sui quali è interrogato.In particolare, il reato di falsa testimonianza è un cd. reato proprio, in quanto – nonostante la disposizione legislativa faccia riferimento a “chiunque” – il reato può essere commesso solo da quel soggetto che abbia assunto la qualità di testimone; qualità che si assume nel momento in cui viene disposta la citazione dei testimoni.Il reato di falsa testimonianza si pone a tutela del bene giuridico dell’Amministrazione della giustizia ed è procedibile d’ufficio: non è richiesta la presentazione della querela, ma il giudice al termine del dibattimento potrà automaticamente trasmettere gli atti al PM affinché si proceda per l’accertamento della falsa testimonianza.Ulteriore caratteristica del reato di falsa testimonianza è quella di essere un cd. reato di pericolo. Affinché vi sia la condotta penalmente rilevante, è sufficiente che la dichiarazione sia pertinente all’oggetto del giudizio e suscettibile di incidere, seppur in astratto, sulla decisione giudiziaria; non è richiesto che in concreto il giudice sia stato influenzato o che in concreto abbia preso una decisione ingiusta. 4 - In quali casi il testimone che dichiara il falso potrebbe andare esente da pena?Una prima ipotesi si verifica nel caso in cui il testimone rilasci delle dichiarazioni false o reticenti, che però siano manifestamente inverosimili o riguardino circostanze del tutto irrilevanti ai fini del giudizio. Pur essendo un reato di pericolo, è necessario che vi sia compatibilità con il principio di offensività: la giurisprudenza ritiene che se la dichiarazione non ha nemmeno creato il pericolo della induzione in errore del giudice, e quindi non si è creato neanche un pericolo per l’amministrazione della giustizia, allora il soggetto non sarà punibile per assenza di offesa in concreto. L’art. 384 c.p. prevede due ulteriori ipotesi di non punibilità. Al primo comma dispone che non è punibile chi abbia commesso una falsa testimonianza al fine di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore. Secondo tale disposizione, quindi, il soggetto che si trovi costretto ad affermare il falso, negare il vero o tacere quanto sa in merito ai fatti di reato, al fine di evitare una lesione della propria libertà o dell’onore, non può essere punito per falsa testimonianza. Ciò risponde al principio secondo cui nessuno può essere obbligato ad auto-accusarsi ed a rilasciare dichiarazioni sulla propria responsabilità. L’art. 384 c.p., inoltre, prevede che il soggetto vada esente da pena non solo quando voglia salvare sé stesso, ma anche un prossimo congiunto. Ci si è chiesti se tale locuzione ricomprenda anche il convivente more uxorio: il legislatore penale, invero, ha preso una posizione precisa in merito alle parti di un’unione civile, inserendoli nella definizione di “prossimi congiunti” ai sensi dell’art. 307 c.p. (e per i quali è quindi senza dubbio applicabile l’art. 384 c.p.), non prendendo invece in considerazione il convivente di fatto. Se una lettura estensiva della disposizione sembra doverosa alla luce di una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, una diversa ricostruzione ritiene non potersi interpretare estensivamente la disposizione, avendo il legislatore implicitamente preso una decisione negativa in merito. Una diversa scelta legislativa è stata fatta in merito al reato di maltrattamenti, sul quale puoi leggere qui.Si evidenzia, infine, che l’art. 384 co. 1 c.p. non potrà essere applicato a quel prossimo congiunto che sia stato avvisato della facoltà di astenersi, e abbia deciso di rinunciare a tale facoltà così da rendere testimonianza. Invero, al prossimo congiunto è generalmente riconosciuta la facoltà di astenersi in un processo a carico di un proprio familiare, facoltà della quale deve essere ritualmente informato. Ma se il soggetto, una volta informato, decide comunque di rendere testimonianza, e di non avvalersi della facoltà di astensione, allora dovrà rispettare tutti gli obblighi previsti per il testimone dall’art. 198 c.p.p., non potendo invocare l’art. 384 c.p. nel caso in cui violi l’obbligo di dire la verità. Solo se il prossimo congiunto non venga ritualmente avvisato della facoltà di astenersi, e durante la testimonianza dichiari il falso, non potrà essere punito, ma ai sensi del comma 2 dell’art. 384 c.p., e quindi per violazione di una legge processuale. Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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La recidiva

3 mag. 2021 tempo di lettura 7 minuti

Un istituto che trova ampia applicazione nell’ordinamento italiano e che pone conseguenti problemi applicativi è quello della recidiva. L’art. 99 del codice penale prevede la disciplina di tale istituto, sul quale – anche di recente – si è espressa più volte la Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Vediamo insieme gli aspetti più importanti.Campo di applicazione e natura giuridica della recidivaI diversi tipi di recidivaI cd. effetti secondari della recidiva1 - Campo di applicazione e natura giuridica della recidivaL’art. 99 c.p. dispone che chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. Da ciò si desume che al fine di poter applicare la recidiva devono sussistere almeno due presupposti:a. il soggetto deve avere commesso un delitto non colposo, per il quale sia stato già condannato con sentenza passata in giudicato; e questo delitto si chiamerà reato fondante;b. dopo il passaggio in giudicato della prima condanna, il soggetto deve aver commesso un nuovo delitto non colposo, che si chiamerà reato espressivo. È a questo secondo reato che verrà applicata la recidiva. Tuttavia, è ormai pacifico in giurisprudenza che non sono sufficienti questi due soli presupposti, e che mai vi potrà essere un automatismo nell’applicazione della recidiva – non può essere conseguenza automatica della mera sussistenza di questi due presupposti. Il giudice, invero, dovrà sempre condurre una valutazione in concreto sul fatto di applicare o meno la recidiva, tale per cui si ritiene che debba sussistere un terzo presupposto:c. il reato espressivo deve palesare una maggiore consapevolezza e una maggiore pericolosità sociale dell’autore del reato.Se non vi è questa valutazione, o se comunque il reato espressivo non ha nulla a che vedere con il reato fondante, allora il giudice non potrà applicare la recidiva: in quanto la ricaduta non è sintomatica di una maggiore colpevolezza e non denota il soggetto autore del reato come maggiormente pericoloso.In merito alla natura giuridica della recidiva, si evidenzia che ad oggi è stata del tutto superata la tesi tradizionale secondo cui veniva classificata quale status. Tale tesi poneva l’accento sul fatto che la legge sembrava riferirsi sempre al recidivo quale soggetto, parlando sempre del “recidivo”.Oggi la tesi prevalente ritiene che si tratti di una circostanza aggravante del reato, e ciò si desume non solo dall’art. 99 c.p., ma anche da altre disposizioni come l’art. 69 c.p., che disciplina il bilanciamento tra circostanze, e l’art. 70 c.p., che distingue tra circostanze oggettive e soggettive, ed entrambe le disposizioni citano la recidiva.Da tale classificazione come circostanza aggravante derivano importanti conseguenze, tra le più importanti vi è quella per la quale anche la recidiva deve soggiacere alle normali regole in materia di concorso di circostanze (artt. 63 e ss. c.p.), come sottolineato anche dalle pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Una prima sentenza del 2011 ha evidenziato che l’art. 63 co. 4 c.p. sul concorso tra circostanze ad effetto speciale si applica anche alla recidiva; e una seconda sentenza del 2021 ha ribadito che la recidiva è una circostanza, ed è circostanza ad effetto speciale (tranne che nel comma 1), quindi deve trovare applicazione anche la disciplina ex art. 649 bis c.p. sul regime di procedibilità d’ufficio.2 - I diversi tipi di recidivaL’art. 99 c.p. prevede diversi tipi di recidiva.Il primo comma prevede la recidiva semplice, che sussiste nel momento in cui un soggetto commette un qualsiasi delitto non colposo dopo essere stato giudicato con sentenza passata in giudicato per un precedente delitto non colposo. In questo caso è previsto l’aumento di un terzo della pena.Il secondo comma prevede la recidiva monoaggravata, che ricorre o quando il reato espressivo (quindi il secondo delitto) è della stessa indole del primo; o è stato commesso entro 5 anni dalla precedente condanna; o, ancora, è stato commesso nel corso dell’esecuzione della pena. A fronte di tale circostanza aggravante il legislatore prevede un aumento della pena fino alla metà.Il terzo comma disciplina la recidiva pluriaggravata, la quale prevede che ricorrano due o più circostanze del secondo comma; quindi ad es. il reato espressivo sia contemporaneamente della stessa indole del primo e sia stato commesso nei cinque anni dalla precedente condanna. L’aumento di pena in questo caso è della metà.Il quarto comma prevede la recidiva reiterata, che sussiste nel momento in cui un soggetto già dichiarato recidivo commetta un altro delitto non colposo. In questo caso l’aumento di pena è della metà nel caso di cui al primo comma, e di due terzi negli altri casi.Infine, il comma 5 prevedeva originariamente una forma di recidiva obbligatoria. Oggi tale ipotesi di obbligatorietà è stata espunta dall’ordinamento, perché considerata incostituzionale dalla Corte in quanto del tutto irragionevole: si applicava a prescindere dal reato fondante, e teneva conto del solo reato espressivo, il quale doveva rientrare in un catalogo del tutto eterogeneo ex art. 407 c.p.p. Nella disciplina attuale l’unica obbligatorietà concerne il quantum di pena, e non anche la valutazione sull’an, quindi la valutazione in merito alla sussistenza o meno della recidiva.3 - Gli effetti secondari della recidivaLa legge penale ricollega delle conseguenze pregiudizievoli ulteriori al soggetto che è stato dichiarato recidivo. Infatti, non si ha il solo effetto diretto dell’incremento di pena, ma si hanno anche ulteriori effetti, tra cui, una maggiore difficoltà nel riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (art. 62 bis co. 2 bis c.p.); un limite minimo di aumento della pena nel caso di reato continuato commesso dal recidivo reiterato (art. 81 co. 4 c.p.); un allungamento del termine di prescrizione (art. 157 c.p.); una maggiore limitazione in caso di amnistia e indulto (artt. 151 co. 5 e 171 co. 3 c.p.).La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è occupata più volte del campo di applicazione di tali effetti pregiudizievoli ulteriori. È pacifico che se il giudice non ha proprio applicato la recidiva, perché ha ritenuto che tra reato fondante e reato espressivo non vi era alcun collegamento, allora non si verificherà né l’effetto principale dell’aumento di pena, né gli effetti secondari.Se, invece, ha applicato la recidiva perché sussiste un collegamento tra i due reati, allora si produrranno anche gli effetti secondari, oltre all’aumento di pena. Il caso problematico è quello del concorso eterogeneo di circostanze, cioè il caso in cui il fatto di reato è connotato sia da circostanze attenuanti sia da circostanze aggravanti, quali la recidiva. Il giudice dovrà operare il giudizio di bilanciamento previsto dall’art. 69 c.p. alla luce del quale la circostanza aggravante della recidiva potrà essere considerata prevalente, equivalente o subvalente rispetto alle attenuanti.Nel caso in cui risulti prevalente la recidiva, è pacifico che si produrranno gli effetti secondari oltre all’effetto principale dell’aumento di pena.Se, invece, la recidiva risulta equivalente rispetto alle attenuanti, una prima tesi ha sostenuto che vi sia stata una elisione della stessa, a fronte della quale è scomparsa, e non essendoci stato un aumento di pena non possono esservi neanche gli effetti secondari. Le Sezioni Unite nel 2010, diversamente, hanno sostenuto che, anche se apparentemente scomparsa, in realtà il giudice ha ritenuto esistente la recidiva, perché altrimenti non avrebbe potuto fare il giudizio di bilanciamento. Quindi anche in caso di equivalenza la recidiva è da ritenersi applicata, e quindi trovano applicazione anche le norme sugli effetti secondari.Infine, nel caso in cui la recidiva venga ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti, sono state sostenute due tesi. Una prima tesi, accolta dalle Sezioni Unite nel 2021, ritiene che anche in questo caso la recidiva è da ritenersi applicata e di conseguenza anche tutti gli effetti secondari troveranno applicazione. Una seconda tesi, accolta da altre Sezioni Unite nel 2018, ritiene invece che solo nel caso in cui sia espressamente previsto dalla legge anche in caso di subvalenza dovranno applicarsi gli effetti secondari, come avviene per la disciplina della prescrizione (artt. 157 e 161 c.p. che ritengono comunque esistente la recidiva, anche se subvalente), e non invece negli altri casi in cui non esiste una norma specifica.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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