Egregio Avvocato
Pubblicato il 3 mag. 2021 · tempo di lettura 7 minuti
Un istituto che trova ampia applicazione nell’ordinamento italiano e che pone conseguenti problemi applicativi è quello della recidiva. L’art. 99 del codice penale prevede la disciplina di tale istituto, sul quale – anche di recente – si è espressa più volte la Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Vediamo insieme gli aspetti più importanti.
1 - Campo di applicazione e natura giuridica della recidiva
L’art. 99 c.p. dispone che chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo.
Da ciò si desume che al fine di poter applicare la recidiva devono sussistere almeno due presupposti:
a. il soggetto deve avere commesso un delitto non colposo, per il quale sia stato già condannato con sentenza passata in giudicato; e questo delitto si chiamerà reato fondante;
b. dopo il passaggio in giudicato della prima condanna, il soggetto deve aver commesso un nuovo delitto non colposo, che si chiamerà reato espressivo. È a questo secondo reato che verrà applicata la recidiva.
Tuttavia, è ormai pacifico in giurisprudenza che non sono sufficienti questi due soli presupposti, e che mai vi potrà essere un automatismo nell’applicazione della recidiva – non può essere conseguenza automatica della mera sussistenza di questi due presupposti. Il giudice, invero, dovrà sempre condurre una valutazione in concreto sul fatto di applicare o meno la recidiva, tale per cui si ritiene che debba sussistere un terzo presupposto:
c. il reato espressivo deve palesare una maggiore consapevolezza e una maggiore pericolosità sociale dell’autore del reato.
Se non vi è questa valutazione, o se comunque il reato espressivo non ha nulla a che vedere con il reato fondante, allora il giudice non potrà applicare la recidiva: in quanto la ricaduta non è sintomatica di una maggiore colpevolezza e non denota il soggetto autore del reato come maggiormente pericoloso.
In merito alla natura giuridica della recidiva, si evidenzia che ad oggi è stata del tutto superata la tesi tradizionale secondo cui veniva classificata quale status. Tale tesi poneva l’accento sul fatto che la legge sembrava riferirsi sempre al recidivo quale soggetto, parlando sempre del “recidivo”.
Oggi la tesi prevalente ritiene che si tratti di una circostanza aggravante del reato, e ciò si desume non solo dall’art. 99 c.p., ma anche da altre disposizioni come l’art. 69 c.p., che disciplina il bilanciamento tra circostanze, e l’art. 70 c.p., che distingue tra circostanze oggettive e soggettive, ed entrambe le disposizioni citano la recidiva.
Da tale classificazione come circostanza aggravante derivano importanti conseguenze, tra le più importanti vi è quella per la quale anche la recidiva deve soggiacere alle normali regole in materia di concorso di circostanze (artt. 63 e ss. c.p.), come sottolineato anche dalle pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Una prima sentenza del 2011 ha evidenziato che l’art. 63 co. 4 c.p. sul concorso tra circostanze ad effetto speciale si applica anche alla recidiva; e una seconda sentenza del 2021 ha ribadito che la recidiva è una circostanza, ed è circostanza ad effetto speciale (tranne che nel comma 1), quindi deve trovare applicazione anche la disciplina ex art. 649 bis c.p. sul regime di procedibilità d’ufficio.
2 - I diversi tipi di recidiva
L’art. 99 c.p. prevede diversi tipi di recidiva.
Il primo comma prevede la recidiva semplice, che sussiste nel momento in cui un soggetto commette un qualsiasi delitto non colposo dopo essere stato giudicato con sentenza passata in giudicato per un precedente delitto non colposo. In questo caso è previsto l’aumento di un terzo della pena.
Il secondo comma prevede la recidiva monoaggravata, che ricorre o quando il reato espressivo (quindi il secondo delitto) è della stessa indole del primo; o è stato commesso entro 5 anni dalla precedente condanna; o, ancora, è stato commesso nel corso dell’esecuzione della pena. A fronte di tale circostanza aggravante il legislatore prevede un aumento della pena fino alla metà.
Il terzo comma disciplina la recidiva pluriaggravata, la quale prevede che ricorrano due o più circostanze del secondo comma; quindi ad es. il reato espressivo sia contemporaneamente della stessa indole del primo e sia stato commesso nei cinque anni dalla precedente condanna. L’aumento di pena in questo caso è della metà.
Il quarto comma prevede la recidiva reiterata, che sussiste nel momento in cui un soggetto già dichiarato recidivo commetta un altro delitto non colposo. In questo caso l’aumento di pena è della metà nel caso di cui al primo comma, e di due terzi negli altri casi.
Infine, il comma 5 prevedeva originariamente una forma di recidiva obbligatoria. Oggi tale ipotesi di obbligatorietà è stata espunta dall’ordinamento, perché considerata incostituzionale dalla Corte in quanto del tutto irragionevole: si applicava a prescindere dal reato fondante, e teneva conto del solo reato espressivo, il quale doveva rientrare in un catalogo del tutto eterogeneo ex art. 407 c.p.p. Nella disciplina attuale l’unica obbligatorietà concerne il quantum di pena, e non anche la valutazione sull’an, quindi la valutazione in merito alla sussistenza o meno della recidiva.
3 - Gli effetti secondari della recidiva
La legge penale ricollega delle conseguenze pregiudizievoli ulteriori al soggetto che è stato dichiarato recidivo. Infatti, non si ha il solo effetto diretto dell’incremento di pena, ma si hanno anche ulteriori effetti, tra cui, una maggiore difficoltà nel riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (art. 62 bis co. 2 bis c.p.); un limite minimo di aumento della pena nel caso di reato continuato commesso dal recidivo reiterato (art. 81 co. 4 c.p.); un allungamento del termine di prescrizione (art. 157 c.p.); una maggiore limitazione in caso di amnistia e indulto (artt. 151 co. 5 e 171 co. 3 c.p.).
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è occupata più volte del campo di applicazione di tali effetti pregiudizievoli ulteriori.
È pacifico che se il giudice non ha proprio applicato la recidiva, perché ha ritenuto che tra reato fondante e reato espressivo non vi era alcun collegamento, allora non si verificherà né l’effetto principale dell’aumento di pena, né gli effetti secondari.
Se, invece, ha applicato la recidiva perché sussiste un collegamento tra i due reati, allora si produrranno anche gli effetti secondari, oltre all’aumento di pena.
Il caso problematico è quello del concorso eterogeneo di circostanze, cioè il caso in cui il fatto di reato è connotato sia da circostanze attenuanti sia da circostanze aggravanti, quali la recidiva. Il giudice dovrà operare il giudizio di bilanciamento previsto dall’art. 69 c.p. alla luce del quale la circostanza aggravante della recidiva potrà essere considerata prevalente, equivalente o subvalente rispetto alle attenuanti.
Nel caso in cui risulti prevalente la recidiva, è pacifico che si produrranno gli effetti secondari oltre all’effetto principale dell’aumento di pena.
Se, invece, la recidiva risulta equivalente rispetto alle attenuanti, una prima tesi ha sostenuto che vi sia stata una elisione della stessa, a fronte della quale è scomparsa, e non essendoci stato un aumento di pena non possono esservi neanche gli effetti secondari. Le Sezioni Unite nel 2010, diversamente, hanno sostenuto che, anche se apparentemente scomparsa, in realtà il giudice ha ritenuto esistente la recidiva, perché altrimenti non avrebbe potuto fare il giudizio di bilanciamento. Quindi anche in caso di equivalenza la recidiva è da ritenersi applicata, e quindi trovano applicazione anche le norme sugli effetti secondari.
Infine, nel caso in cui la recidiva venga ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti, sono state sostenute due tesi. Una prima tesi, accolta dalle Sezioni Unite nel 2021, ritiene che anche in questo caso la recidiva è da ritenersi applicata e di conseguenza anche tutti gli effetti secondari troveranno applicazione. Una seconda tesi, accolta da altre Sezioni Unite nel 2018, ritiene invece che solo nel caso in cui sia espressamente previsto dalla legge anche in caso di subvalenza dovranno applicarsi gli effetti secondari, come avviene per la disciplina della prescrizione (artt. 157 e 161 c.p. che ritengono comunque esistente la recidiva, anche se subvalente), e non invece negli altri casi in cui non esiste una norma specifica.
Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
31 mag. 2021 • tempo di lettura 8 minuti
Uno dei principali baluardi dell’ordinamento italiano è la separazione tra i tre poteri fondamentali: potere legislativo, potere esecutivo e potere giurisdizionale. Al fine di garantire tale separazione, la Costituzione italiana prevede una serie di garanzie che riservano al parlamentare un trattamento speciale nello svolgimento della propria attività legislativa. Si vuole evitare in questo modo una inopportuna ingerenza in relazione all’attività parlamentare, e alla funzione legislativa stessa. Alla luce di tali garanzie, ci si chiede, quindi, se è configurabile il reato di corruzione in capo al soggetto che svolge tale attività parlamentare.Le garanzie costituzionali per il parlamentareIl reato di corruzione e i suoi presuppostiL’evoluzione giurisprudenziale sulla configurabilità del reato di corruzione in capo al parlamentareConclusioni 1 - Le garanzie costituzionali per il parlamentareL’attività parlamentare è espressione di uno dei principali poteri previsti dall’ordinamento, quale il potere legislativo. Proprio per l’importanza che lo stesso riveste, è sempre stata particolarmente sentita l’esigenza di riservare una forte indipendenza e autonomia dagli altri poteri dello Stato, in particolare dal potere esecutivo e dal potere giurisdizionale. È per questo motivo che nella nostra Carta costituzionale ritroviamo molteplici disposizioni che mirano a riconoscere un trattamento speciale al parlamentare, in modo da garantirgli una sfera di immunità grazie alla quale possa perseguire l’interesse dello Stato senza dover dipendere o dare giustificazioni ad altri soggetti. Tra le disposizioni costituzionali più rilevanti in tal senso vi è l’art. 68 Cost., e in particolare il comma 1, che prevede una immunità sostanziale per il parlamentare: i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Non si può, quindi, in alcun modo immaginare una condanna per il parlamentare sulla base dei voti o delle opinioni che ha espresso nel corso della propria attività.Ulteriore disposizione rilevante è quella dell’art. 67 Cost., che vieta il cd. mandato operativo, stabilendo che ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Ciò sta a significare che il parlamentare non risponde e non persegue le sole esigenze dei singoli, ma si impegna invece per la totalità dei cittadini, senza poter accogliere incarichi direttivi specifici.Infine, un’altra disposizione che entra in gioco è quella dell’art. 66 Cost., che prevede l’autodichia delle singole Camere, alla luce della quale ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità – viene così esclusa la giurisdizione sia del giudice ordinario, sia di quello amministrativo, riservando alla Camera stessa la funzione giurisdizionale sui propri membri.Appare evidente che la Costituzione mira ad evitare una qualsiasi ingerenza nell’attività parlamentare, e a garantire al parlamentare stesso una sfera di autonomia e indipendenza, all’interno della quale lo stesso possa operare liberamente. 2 - Il reato di corruzione e i suoi presuppostiOggi le norme sulla corruzione sono contemplate dagli artt. 318 e 319 c.p., la prima è la corruzione per l’esercizio della funzione (cd. corruzione impropria), il secondo è la corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (cd. corruzione propria). Si tratta di un reato plurisoggettivo proprio, cioè un reato che necessariamente vede la partecipazione di più soggetti, i quali vengono entrambi puniti.In particolare l’art. 318 c.p. punisce, da un lato, il pubblico ufficiale che vende la propria funzione e, dall’altro lato, il privato che in cambio gli dà o gli promette denaro o altra utilità. Oggi tale fattispecie viene comunemente denominata come “mercimonio delle funzioni”.Invece, il 319 c.p. punisce quel pubblico ufficiale che promette di adottare un atto contrario ai doveri del suo ufficio, in cambio di denaro o altra utilità da parte del privato, che verrà altrettanto punito.È pacificamente considerato come reato a doppio schema, o reato a consumazione prolungata, in quanto il reato in sé si perfeziona già con il solo accordo tra il pubblico ufficiale e il privato, ma poi si consuma in un secondo momento, e cioè quando vi è l’ultima dazione di denaro o altra utilità da parte del privato.Presupposto fondamentale è che uno dei due soggetti sia un pubblico ufficiale. Ci si chiede, quindi, se il parlamentare possa essere considerato come pubblico ufficiale, poiché se non può essere considerato tale, in nessun modo si potrà ritenere integrato il reato di corruzione. La nozione viene fornita dall’art. 357 c.p., secondo cui sono pubblici ufficiali tutti coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Appare quindi ormai pacifico che anche il parlamentare possa essere considerato quale pubblico ufficiale: dal momento che l’art. 357 c.p. fa espresso riferimento alla attività legislativa, si ritiene che senza dubbio possa rientrare nella definizione anche il parlamentare. Peraltro, si ritiene che debba essere considerato tale anche quando svolge funzioni diverse (come attività di indirizzo e controllo), non potendo sostenere che sia pubblico ufficiale solo in relazione a certi atti specifici, e non ad altri. Infine, si pone l’accento sull’art. 322 bis n.1, che estende le norme sulla corruzione anche al parlamentare europeo, considerandolo quindi pubblico ufficiale. Sarebbe irrazionale considerare pubblico ufficiale il parlamentare europeo, e non invece quello nazionale.3 - L’evoluzione giurisprudenziale sulla configurabilità del reato di corruzione in capo al parlamentareIl problema si pone quando il parlamentare si accorda con un privato: l’accordo prevede che da un lato il privato promette al parlamentare denaro o altra utilità, e dall’altro lato il parlamentare promette al privato di porre in essere un determinato atto del suo ufficio (es. votare in un certo modo).Nonostante la possibilità di considerare il parlamentare quale pubblico ufficiale, nel corso della evoluzione giurisprudenziale non è stata affatto scontata la configurabilità del reato di corruzione in capo allo stesso.Secondo una prima tesi, infatti, non è possibile applicare le norme sulla corruzione in relazione all’attività parlamentare: se si consentisse al giudice penale di valutare la liceità degli accordi, si permetterebbe allo stesso di sindacare sia l’attività stessa, sia il voto del singolo parlamentare. In questo modo verrebbe del tutto violato l’art. 68 Cost., che prevede la sfera di immunità per i voti dati; non verrebbe in alcun modo garantita l’autonomia e la indipendenza che la Carta costituzionale considera indispensabile per l’esercizio dell’attività parlamentare stessa. Peraltro, è stato evidenziato che la funzione svolta dal parlamentare sia per antonomasia una attività di compromesso, alla luce della quale inevitabilmente si arriva a degli accordi per poter operare. Ciò rende particolarmente difficile individuare una linea di confine tra quel che è lecito e ciò che non lo è, attribuendo al giudice penale un eccessivo potere di giudizio, del tutto arbitrario.Una differente tesi, invece, che appare oggi prevalente in giurisprudenza, ritiene che a date condizioni si possono applicare le norme sulla corruzione anche all’attività del parlamentare.Infatti, è vero che la Costituzione prevede una serie di garanzie a tutela dell’attività legislativa e a tutela del parlamentare, ma tali garanzie non sono affatto previste al fine di permettere al singolo di vendere la propria funzione: tali garanzie non possono in alcun modo legittimare un asservimento della carica o della funzione a fini privati. Una lettura di tal genere, infatti, finirebbe per tradire la ragion d’essere delle stesse garanzie, che devono operare solo se riguardano uno svolgimento lecito dell’attività parlamentare. L’art. 68 Cost., infatti, non prevede una immunità totale e assoluta, che possa consentire un eccessivo privilegio al parlamentare, ma si pone solo a tutela della attività legislativa legittimamente svolta. Peraltro, sarebbe irrazionale applicare le norme sulla corruzione al parlamentare europeo, come previsto dall’art. 322 bis n. 1 c.p., e non anche al parlamentare nazionale.Ulteriore argomento invocato dalla recente giurisprudenza è anche quello secondo cui la stessa Corte costituzionale, nel corso di una questione attinente ad un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ha evidenziato che se un fatto coinvolge anche dei beni che non fanno parte della vita parlamentare e che non è adeguatamente disciplinato dai regolamenti parlamentari con proporzionate sanzioni o adeguati rimedi, allora ben si può ricorrere all’ordinamento generale. La Corte costituzionale, in particolare, ha fornito una serie di esempi, e tra gli altri ha fatto riferimento proprio al reato di corruzione.4 - ConclusioniSi ritiene, quindi, che alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale il parlamentare possa essere imputato e successivamente condannato per il reato di corruzione. Si evidenzia che secondo la tesi maggioritaria è possibile configurare solo il reato di corruzione cd. impropria, previsto dall’art. 318 c.p. Attualmente, infatti, tale disposizione punisce il generale asservimento della funzione, senza far riferimento ad uno specifico atto – al contrario di quanto avviene per l’art. 319 c.p. (corruzione propria). Nel caso dell’art. 318 c.p. non si pone alcun problema in merito al sindacato del giudice penale sull’atto posto in essere dal parlamentare, e quindi non vi è il rischio di violare l’art. 68 Cost., proprio perché il reato di corruzione impropria non fa alcun riferimento all’atto specifico.Esiste, tuttavia, anche una diversa tesi ancor più estrema, secondo cui è possibile configurare in capo al parlamentare anche il reato di corruzione propria, art. 319 c.p. Invero, se il parlamentare vende il proprio voto, è evidente che questa condotta non potrà mai giustificare l’applicazione della immunità costituzionale, che altrimenti diverrebbe un privilegio. Secondo tale tesi, infatti, le garanzie previste dalla Costituzione mai potrebbero arrivare a giustificare una condotta tale, e si rischierebbe altrimenti di tradire la ratio delle garanzie stesse, volte a consentire una corretta attività legislativa.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
21 lug. 2023 • tempo di lettura 5 minuti
Lo stalking organizzato è un sistema di “guerra non convenzionale/psicologica“, di persecuzione e di tortura che ha come scopo l’eliminazione di un obbiettivo, di solito attivisti politici non controllati, ricercatori delle cospirazioni, gente che si oppone all’immigrazione e al globalismo, spie, gente che tenta di denunciare gravi crimini e abusi perpetrati da parte di grandi aziende o organizzazioni statali eccetera. Lo stalking organizzato è secondo me un metodo per portare avanti la dittatura del nuovo ordine mondiale.Lo stalking organizzato è un programma simile al programma COINTELPRO dell’FBI in cui l’FBI prendeva di mira, sabotava, screditava ed eliminava attivisti politici in diversi modi e si infiltrava in organizzazioni politiche. È anche simile – una combinazione tra i due programmi – al progetto MKULTRA della CIA, visto che alcune vittime prese di mira (Targeted Individuals) vengono attaccate con armi elettroniche (armi ad energia diretta e controllo mentale) e usate come cavie umane per testarle.Lo stalking organizzato si potrebbe definire anche come un nuovo “Phoenix Program” su scala globale, un programma in cui la CIA in Vietnam selezionava obbiettivi civili che venivano messi in delle liste per poi venire neutralizzati/eliminati.Lo stalking organizzato è anche molto simile alla tecnica “Zersetzung” che veniva usata dalla STASI, la polizia segreta della Germania dell’est durante il comunismo, in cui 1 cittadino su 6 lavorava come collaboratore non ufficiale per i servizi segreti.“Una guerra silenziosa si sta verificando nelle città di tutto il mondo. Viene coperta dai media, dalla psichiatria, dalle organizzazioni non governative (ONG) e dai politici. Ora che l’élite finanziaria ha finito di usare le forze armate americane e i loro alleati per conquistare nazioni con l’obbiettivo del totale dominio mondiale, stanno neutralizzando individui e gruppi di individui che vivono tra le popolazioni civili che ancora resistono. Per lo scopo hanno reclutato gran parte della popolazione civile per perseguitare coloro che sono stati identificati come nemici. Le “forze di sicurezza” stanno conducendo operazioni psicologiche (PsyOps) contro civili e torturandoli con armi ad energia diretta. L’intera operazione è al servizio di un gruppo di ricchi psicopatici che governano la nostra società, come parte di una rivoluzione mondiale creata per portare avanti una dittatura mondiale conosciuta come il Nuovo Ordine Mondiale.” – New world War: Revolutionary Methods for Political Control by Mark M. RichLo stalking organizzato è un operazione civile-militare (CMO) illegale/criminale (mettiamo che abbiano una qualche legge o ordine esecutivo che li permette di portare avanti queste operazioni, questa gente hanno truffato in massa e mentito per ottenere tali leggi anticostituzionali/criminali e quindi sono illegali sotto ogni aspetto come l’operazione stessa) portata avanti da una coalizione internazionale formata da lavoratori, aziende, civili, militari, agenti segreti, forze di polizia, organizzazioni non governative (NGO) e organizzazioni intergovernative (IGO). I metodi e le tattiche principali usate da questa forza multinazionale per neutralizzare/distruggere obbiettivi civili sono le “operazioni psicologiche” (PsyOps) e le “armi non letali“.“C’è un protocollo di base usato in ogni nazione della NATO con il quale cominciano le operazioni di stalking organizzato.Iniziano con la sorveglianza illegale degli obiettivi, il monitoraggio della loro vita privata e violando il loro domicilio. Questo viene fatto in modo da profilare i tratti della loro personalità.‘C’è un protocollo di base con il quale gli stalkers iniziano’, afferma McKinney, ‘ma l’individuo bersaglio (Targeted Individual) contribuisce alla modifica.’Dr. Munzert parla fondamentalmente dello stesso modello che descrive come una “strategia a doppio taglio”.‘Una parte consiste nell’attaccare le vittime con armi a microonde (armi ad energia diretta)’ e l’altra parte della strategia, dice, ‘è quella di cercare di fare passare gli individui bersaglio come pazzi.’” – The Hidden Evil Mark M. Rich“Lo stalking organizzato è una forma di terrorismo utilizzato nei confronti di un individuo in cui si tenta di ridurre la qualità della vita di una persona e fare in modo che: abbia un esaurimento nervoso, venga incarcerata, istituzionalizzata, subisca costantemente dolore mentale, emotivo o fisico, diventi un senza tetto e finisca con il suicidarsi. Il tutto viene fatto usando accuse ben orchestrate, bugie, diffamazioni, false indagini, intimidazioni, minacce dirette o subliminali, vandalismo, furti, sabotaggi, torture, umiliazioni, terrorismo psicologico e molestie in generale. È un sistema in cui molti agiscono contro un individuo nella comunità venendo coordinati da un organizzatore che recluta gente per partecipare nella sistematica persecuzione di un individuo e per terrorizzarlo.”La maggior parte degli “stalkers” – dipende dai livelli – non sanno di cosa si tratti veramente, pensano che sia una forma di mobbing organizzato al di fuori del posto di lavoro e vengono usati per sensibilizzare la vittima a nuovi inneschi e torturarla. O viene detto loro che l’obbiettivo preso di mira (Targeted Individual) è un individuo pericoloso o potenzialmente pericoloso e che deve per un qualche motivo essere controllato. No, al contrario di quello che molti pensano lo stalking organizzato non ha niente a che fare con il mobbing, punire/controllare criminali o con il “normale” stalking in cui un uomo – o donna – molesta e perseguita la sua ex. Nello stalking organizzato è l’intero stato, l’imprenditoria privata eccetera che ti fa stalking non degli individui che agiscono di propria iniziativa.Alcune delle tattiche più usate nello stalking organizzato sono: le campagne diffamatore, campagne di rumore, campagne di sensibilizzazione (PNL), mirroring, operazioni psicologiche (PsyOps), Gaslighting, Street Theater e altro.Tattica di stalking organizzato – Campagne di rumoreQuesta tattica consiste nel molestare costantemente la vittima con rumori, generare rumori con trapani e altri macchinari, sbattere intenzionalmente porte e tutto il resto. Serve chiaramente per tenere la vittima in uno stato di stanchezza e confusionale e per sensibilizzare la vittima a dei suoni per la tortura e le persecuzioni.Tattica di stalking organizzato – Campagne di sensibilizzazione PNLQuesta tattica consiste nel sensibilizzare – con la ripetizione – la vittima a gesti, oggetti, parole, suoni, simboli per torturarla e perseguitarla. Serve per fare sapere alla vittima che viene seguita ovunque mostrando il simbolo, la parola eccetera a cui è stata sensibilizzata. Gli stalkers cercano di sensibilizzare la vittima a più parole, oggetti, scene eccetera possibile così da torturarla molto di più ma senza dare nell’occhio perché una volta è un numero, una volta è un gesto e così via. Questi oggetti, gesti, suoni eccetera vengono poi associati a emozioni di tipo negativo come la rabbia, l’impotenza e la paura diventando così degli inneschi PNL (NLP Triggers) che evocano appunto emozioni di tipo negativo. Gli stalkers usano eventi che occorrono anche normalmente e ne aumentano la frequenza.Gli stalkers nascondono gran parte delle loro molestie usando una semplice formula.Da quello che ho potuto constatare le formule base sono:La frequenza: descrive quanto spesso un evento accada. Riguarda anche il numero di atti durante un singolo evento.Durata: riguarda la lunghezza di un singolo evento. Riguarda anche la natura delle molestie che sono continue e non finiscono mai.Intensità: l’amplificazione degli atti come fare rumore, la vista, l’affollamento, eccetera all’interno di un evento.
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22 lug. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
La l. 23 giugno 2017, n.103, ha introdotto, all’art. 162-ter c.p., una particolare causa estintiva del reato, grazie alla quale l’imputato ha la possibilità di ottenere l’estinzione del reato riparando interamente il danno cagionato dal reato e elidendo, ove possibile, le conseguenza dannose o pericolose dello stesso.RatioAmbito di applicazioneCome avviene la riparazione del danno?Procedimento 1 - RatioAi sensi dell’art. 162-ter c.p., nei reati perseguibili a querela, il giudice dichiara l’estinzione del reato quando l'imputato ha riparato interamente il danno con le restituzioni o il risarcimento e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato.La ratio della norma risponde all'esigenza di deflazionare il carico giudiziario, offrendo all'imputato uno strumento per conseguire l'estinzione del reato. L’integrale riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e l’eventuale eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato costituiscono condotte riparatorie che, generalmente, inducono il querelante a rimettere la querela, con conseguente estinzione del reato ai sensi dell’art. 152 c.p.: secondo questa norma, “nei delitti punibili a querela della persona offesa, la remissione estingue il reato”.La novità sostanziale introdotta con l'art. 162-ter c.p. sta allora nel fatto che, anche qualora la persona offesa non rimetta la querela, il giudice dichiara comunque estinto il reato quando ritenga che il danno da esso cagionato sia stato interamente riparato dall'imputato.2 - Ambito di applicazioneSecondo quanto disposto dall’art. 162-ter c.p., l’estinzione del reato per condotte riparatorie può operare solo in relazione a reati procedibili a querela di parte.Due ulteriori limitazioni.In primo luogo, deve trattarsi di reati in cui la querela è soggetta a rimessione, cioè “revocabile” da parte della persona offesa. Risulta escluso, ad esempio, il delitto di violenza sessuale, in relazione al quale l’art. 609-septies c.p. stabilisce che “la querela proposta è irrevocabile”.In secondo luogo, a mente dell’u. co. dell’art. 162-ter c.p., introdotto nel 2017, non può essere estinto a seguito di condotte riparatorie il delitto di atti persecutori (c.d. “stalking”) di cui all’art. 612-bis c.p.3 - Come avviene la riparazione del danno?La riparazione del danno cagionato può avvenire in due modi:risarcimento: consiste nel versamento di una somma di denaro equivalente al pregiudizio causato alla persona offesa;restituzioni: consistono nella reintegrazione dello stato di fatto preesistente alla commissione del reato.Inoltre, l’imputato deve, ove possibile, eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato.Se il giudice riconosce che l’imputato abbia riparato interamente il danno cagionato, dichiara l’estinzione del reato anche in mancanza di una formale rimessione di querela da parte della persona offesa.L’art. 162-ter c.p. prevede, inoltre, che il risarcimento del danno possa essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale (cioè l'offerta effettiva della prestazione), formulata dall'imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.Nei casi fino ad ora esaminati, l’imputato deve provvedere entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.Tuttavia, l’art. 162-ter co. 2 c.p. consente all’imputato di dimostrare di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine massimo di cui sopra. In questo caso, l'imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine (che non superi i sei mesi), per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento: il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito per il pagamento.Durante tale periodo di sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso.4 - ProcedimentoL’istanza di estinzione del reato per condotte riparatorie può essere presentata dall’imputato personalmente o tramite il proprio difensore al giudice che procede.Se l'imputato ha già riparato interamente il danno, chiederà al giudice di riconoscerlo e dichiarare estinto il reato; se ha fatto offerta reale di risarcimento, non accettata dalla persona offesa, chiederà che il giudice anzitutto riconosca la congruità della somma offerta. Il pagamento deve avvenire, come già si è detto, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.Una volta ricevuta la richiesta dell’imputato, il giudice sente le parti e la persona offesa ma, anche se quest'ultima si oppone, egli potrà comunque ritenere la tempestività e congruità della condotta riparatoria e, di conseguenza, dichiarare estinto il reato. Quando, invece, la riparazione non è ancora avvenuta, se l'imputato dimostra di non aver potuto adempiere in tempo per fatto a lui non addebitabile, potrà chiedere al giudice la fissazione di un termine per provvedere al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento. In questo caso, il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo (per un massimo di sei mesi) e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni.All'esito positivo delle condotte riparatorie, il giudice dichiara l'estinzione del reato: l’imputato andrà esente da pene, principali o accessorie, dagli effetti penali e dalle misure di sicurezza, ad eccezione della confisca obbligatoria ex art. 240 co. 2 c.p.Editor: dott.ssa Elena Pullano
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Egregio Avvocato
17 mar. 2024 • tempo di lettura 2 minuti
Il riconoscimento dell’indennizzo per l’ingiusta detenzioneAi fini del riconoscimento dell’indennizzo, può anche prescindersi dalla sussistenza di un "errore giudiziario", venendo in considerazione soltanto l’antinomia "strutturale" tra custodia e assoluzione, o quella "funzionale" tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi "ingiusta", in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto (Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013). Va, poi, ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante - e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014). Inoltre, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo alla insorgenza del diritto azionato ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quel grave quadro indiziante un suo coinvolgimento negli illeciti oggetto d’indagine. Ai medesimi fini, il giudice deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019). In altri termini, vi è completa autonomia tra il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione.Prof. Dr. Giovanni MoscagiuroStudio delle Professioni e Scienze forensi e Criminologia dell'Intelligence ed Investigativa Editori e Giornalisti europei in ambito investigativoemail: studiopenaleassociatovittimein@gmail.comEsperto e Docente in Diritto Penale ,Amministrativo , Tributario , Civile Pubblica Amministrazione , Esperto in Cybercrime , Social Cyber Security , Stalking e Gang Stalking, Cyberstalking, Bullismo e Cyberbullismo, Cybercrime, Social Crime, Donne vittime di violenza, Criminologia Forense, dell'Intelligence e dell'Investigazione, Diritto Militare, Docente in Criminologia e Scienze Forensi, Patrocinatore Stragiudiziale, Mediatore delle liti, Giudice delle Conciliazioni iscritto all'albo del Ministero di Grazia e Giustizia, ausiliario del Giudice, CTU e CTP, Editori e Giornalisti European news Agency
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