Differenze: diritto soggettivo e interesse legittimo

Avv. Egregio Avvocato

Egregio Avvocato

Pubblicato il 16 mar. 2022 · tempo di lettura 1 minuti

Differenze: diritto soggettivo e interesse legittimo | Egregio Avvocato

Nel diritto amministrativo odierno la differenza tra diritto soggettivo e interesse legittimo ha assunto una rilevanza fondamentale: nel nostro ordinamento vi è un cd. doppio binario di giurisdizione, cioè si ha una giurisdizione ordinaria o una giurisdizione amministrativa a seconda che il privato richieda la tutela dell’uno o dell’altra situazione giuridica soggettiva.


In particolare, a differenza di quanto avveniva in precedenza, oggi sia il diritto soggettivo sia l’interesse legittimo sono delle situazioni giuridiche meritevoli di essere tutelate, e l’interesse legittimo non deve essere considerato un quid minus rispetto al diritto soggettivo, ma invece una situazione giuridica soggettiva avente pari dignità. Questo è l’esito di una lunga evoluzione giurisprudenziale, che trova fondamento anche nel fatto che l’art. 24 della Costituzione ponga le due situazioni sullo stesso piano. 


Tuttavia, qualche differenza comunque permane. Il diritto soggettivo, infatti, gode di una tutela assoluta e incondizionata, che non può essere in alcun modo sacrificata in favore dell’interesse pubblico. La giurisdizione preordinata alla sua tutela è quella ordinaria, e il giudice ordinario possiede il solo potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo lesivo (artt. 4 e 5 Laac). L’interesse legittimo, invece, gode di una tutela relativa e condizionata: la Pubblica amministrazione ha il potere di sacrificare l’interesse del privato in favore di un interesse pubblico, e quindi legittimamente di non soddisfare la pretesa del privato. A fronte di un interesse legittimo, la giurisdizione si incardina dinanzi al giudice amministrativo, il quale ha dei poteri più incisivi rispetto al giudice ordinario, prima di tutti quello di annullamento del provvedimento.

Condividi:

Articoli che potrebbero interessarti

Beni culturali e alienazione

17 nov. 2021 tempo di lettura 1 minuti

Nel caso in cui un soggetto privato, sia esso persona fisica o persona giuridica privata con scopo lucrativo, sia proprietario di un bene che sia stato dichiarato come bene culturale, ha la libertà di alienarlo. Nell’ordinamento italiano, infatti, vige anche per i beni culturali il principio della libera disponibilità, secondo il quale il proprietario può liberamente disporre del bene stesso.Tuttavia, una volta che è stato concluso il contratto di alienazione tra privati, l’alienante ha l’obbligo di denuntiatio. L’art. 59 del codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42/2004) dispone che nel caso di atti di trasferimento della proprietà o di trasferimento della detenzione dei soli beni mobili vi è l’obbligo di denuncia al Ministero. Tale denuncia deve essere fatta entro 30 giorni dal trasferimento, e la mancata denuncia comporta la commissione di un reato ex art. 173 lett. b) cod. beni culturali. In determinati casi, poi, individuati dall’art. 60, il Ministero ha la facoltà di prelazione e può quindi acquistare i beni culturali alienati al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione. Tale facoltà può essere esercitata dal Ministero entro 60 giorni da quando è stata ricevuta la denuncia, o entro 180 giorni in caso di denuncia tardiva, omessa o incompleta. In pendenza di tale termine, il contratto di alienazione è temporaneamente inefficace ed è vietata la consegna del bene.

Continua a leggere

Scritto da:

Egregio Avvocato

Il Consiglio supremo di difesa

4 mar. 2022 tempo di lettura 1 minuti

Il comando delle Forze armate non costituisce un comando strategico, affidato agli organi tecnici (Capo di Stato maggiore generale) ma consiste nella direzione-politico amministrativa delle forze armate, attribuita al Capo dello Stato in veste di rappresentante della Repubblica nella sua unità.Gli atti compiuti dal Presidente in qualità di Presidente del Consiglio supremo di difesa non richiedono controfirma ministeriale (ex. art. 89 Cost.) perché non sono atti presidenziali, ma atti dell’organo collegiale che egli presiede.Il Consiglio supremo di difesa in particolare costituisce un organo: di rilievo costituzionale, perché previsto dalla Costituzione, ma non partecipe della funzione politica, essendo dotato di solo di attribuzioni proprie del potere esecutivo; collegiale, essendo composto da una pluralità di persone fisiche che concorrono tutte alla formazione degli atti necessari al funzionamento dell’organo e con funzioni consultive e deliberative.Nel 2010, il D.lgs n. 66 del 15 marzo, ha introdotto il Codice dell’ordinamento militare, dedica il Titolo II al Consiglio supremo di difesa specificando la sua struttura e le relative attribuzioni. In particolare, l’art. 2 precisa che il Consiglio esamina i problemi generali politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale, determina i criteri e ne fossa le direttive per l’organizzazione e il coordinamento delle attività che comunque la riguardano.

Continua a leggere

Scritto da:

Egregio Avvocato

Il referendum abrogativo

31 gen. 2022 tempo di lettura 2 minuti

Il referendum abrogativo è uno degli strumenti principali di democrazia diretta, il quale consente al corpo elettorale di incidere direttamente sull’ordinamento giuridico attraverso l’abrogazione di leggi o atti con forza di legge dello Stato, oppure di singole disposizioni in esse contenute. È una forma di legislazione negativa: serve solo a togliere, abrogare, le disposizioni di legge e non anche ad aggiungerne di nuove; tuttavia è ben possibile che mediante la eliminazione di singole parole si vada a manipolare il testo normativo e, di conseguenza, a creare nuove norme.Il procedimento è disciplinato dalla legge n. 352/1970. Il referendum può essere proposto da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali, che depositano le richieste presso la cancelleria della Cassazione tra il 1 gennaio e il 30 settembre di ciascun anno; non possono essere depositate richieste nell’anno precedente la scadenza ordinaria della legislatura e nei sei mesi successivi alla convocazione dei comizi elettorali. Presso la Cassazione si costituisce l’Ufficio centrale per il referendum che esamina le richieste per giudicarne la conformità alla legge, ed entro il 31 ottobre può rilevare le eventuali irregolarità. Tale fase deve concludersi entro il 15 dicembre, con una decisione definitiva di tale Ufficio. I quesiti dichiarati legittimi vengono trasmessi alla Corte costituzionale per il giudizio di ammissibilità, il quale deve essere deciso con sentenza pubblicata entro il 10 febbraio successivo. Se la Corte dichiara ammissibile il referendum, il Presidente della Repubblica deve fissare il giorno della votazione tra il 15 aprile e il 15 giugno.Affinché il referendum sia valido è necessario il raggiungimento di un cd. quorum strutturale, ovvero che si rechino alle urne la metà più uno degli aventi diritto al voto; e di un cd. quorum funzionale, cioè che i “si” superino i “no”. Ove ciò avvenga, spetta al presidente della Repubblica con proprio decreto proclamare l’avvenuta abrogazione.

Continua a leggere

Scritto da:

Egregio Avvocato

Cosa è la comunione legale tra i coniugi?

14 nov. 2021 tempo di lettura 1 minuti

La comunione legale tra i coniugi è uno dei regimi patrimoniali della famiglia, cioè l’insieme delle regole che governa la titolarità dei beni nel corso del matrimonio, individuando quali debbano considerarsi di proprietà di uno solo dei coniugi e quali, invece, di entrambi.Nel caso di comunione legale, la legge prevede che, di regola e salvo alcune categorie di beni escluse dal codice civile, gli acquisti realizzati durante il matrimonio debbano considerarsi appartenenti alla comunione legale, a cui entrambi i coniugi partecipano in pari misura.A partire dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, la comunione legale è il regime “ordinario”, che si applica nei casi in cui i coniugi non scelgano espressamente un regime diverso – come quello della separazione dei beni o di una comunione convenzionale.Tale impostazione era ispirata a diverse ragioni, inclusa quella di tutelare il c.d. coniuge debole, cioè quello che non percepisce un proprio reddito o ne percepisce uno inferiore, (situazione molto ricorrente ai tempi della riforma) e garantire una perequazione delle risorse familiari, realizzate grazie all’impegno profuso da entrambi i coniugi, ancorché attraverso attività diverse. Resta comunque sempre possibile optare per un regime diverso, anche nel corso del matrimonio, stipulando una convenzione da annotare a margine dell’atto di matrimonio.

Continua a leggere

Scritto da:

Egregio Avvocato

Commenti

Non ci sono commenti

Egregio Avvocato® 2025 | Massimo Zerbini CF ZRBMSM53A17L390J