Egregio Avvocato
Pubblicato il 15 mar. 2021 · tempo di lettura 4 minuti
Dal 2017 si è cominciato a parlare di Enti del Terzo Settore, ma cosa sono? Gli ETS sono gli enti no profit, ossia gli enti non lucrativi, che - oggi - con l’introduzione del Codice del Terzo Settore possono godere di una nuova disciplina unitaria.
1. Cos’è un ETS?
2. Cos’è accaduto con la riforma del 2017?
3. Quali sono i requisiti richiesti?
4. Norme inattuate e profili operativi
1 - Cos’è un ETS?
L’ Ente del Terzo settore (o anche ETS) non è una nuova tipologia di ente – ovvero un tertium genus – ma è una qualifica. Pertanto, ogni ente privato, ad esempio un’associazione o una fondazione, può, al ricorrere di determinati requisiti, assumere la qualifica di “ETS”.
L’art. 4 del Codice del Terzo Settore definisce, infatti, Enti del Terzo Settore “le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società” che sono state costituite con il fine di perseguire, senza scopo di lucro, “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” attraverso l’esercizio di attività di interesse generale e pubblicistico.
Dunque, gli ETS non sono altro che gli enti “no profit” (o “not for profit”): ad esempio un ente di diritto privato che, pur generando utili, non li distribuisce agli associati o fondatori ma li reimpiega per il raggiungimento dello scopo sociale perseguito (si pensi ad un’associazione che al fine di sensibilizzare la collettività al tema dell’inquinamento ambientale vende magliette e reinveste il ricavato in altre attività associative).
2 - Cos’è accaduto con la riforma del 2017?
Prima della riforma, operata con l’attuazione della Legge Delega n. 106 del 6 giugno 2016, le associazioni, le fondazioni e le altre forme associative a-tipiche che operavano nel Terzo settore potevano assumere diverse qualifiche al fine di accedere ad agevolazioni burocratiche e/o fiscali, come, tra le tante, quella di “organizzazioni non lucrative di utilità sociale” (i.e. ONLUS) oppure di “organizzazioni non governative” (i.e. ONG) o, ancora, di “associazioni di promozione sociale” (i.e. APS), ciascuna regolata da un’apposita legge e disciplina speciale.
È facile intuire come prima della riforma il panorama del Terzo settore apparisse piuttosto frammentato. Il Legislatore ha, quindi, sentito la necessità di promuovere una revisione organica della disciplina: creare un’unica fonte normativa di riferimento che potesse meglio sostenere l’autonoma iniziativa di quei cittadini che concorrono a perseguire il bene comune ed elevare i livelli di cittadinanza attiva e di coesione sociale.
Ebbene, il Decreto Legislativo del 3 luglio 2017 n. 117, in attuazione della predetta Legge Delega, ha introdotto nel nostro ordinamento il Codice del Terzo settore (o anche “CTS”) mediante il quale si sono unificati gran parte degli enti privati no profit sotto l’unica categoria degli ETS, dotati di una disciplina civilistica e fiscale unitaria.
Il CTS contiene la nuova disciplina delle organizzazioni di volontariato (ODV) e delle APS, con conseguente abrogazione delle rispettive leggi di riferimento, ed introduce nuove figure quali gli “enti filantropici” e le “reti associative”, nonché istituisce il RUNTS - Registro unico nazionale del Terzo settore, registro nel quale devono essere iscritti tutti gli Enti del Terzo settore.
3 - Quali sono i requisiti richiesti?
L’assunzione della qualifica di Ente del Terzo settore è facoltativa e dipende dalla sussistenza di tre requisiti, l’ente deve:
4 - Norme inattuate e profili operativi
Benché il CTS sia già in vigore dal 3 agosto 2017, ad oggi, il RUNTS non è stato ancora istituito e dalla sua vigenza dipende l’applicazione di alcune norme, tra le quali la disciplina premiale.
Nelle more dell’istituzione del Registro, gli enti già istituiti possono comunque decidere di adeguare i propri statuti alle norme contenute nel CTS, mediante l’ausilio di un notaio, così da ottenere l’iscrizione nel RUNTS una volta istituito.
Peraltro, proprio al fine di agevolare l’inclusione di tutte le realtà no profit all’interno del sistema degli Enti del Terzo settore, il Decreto-legge n. 125 del 7 ottobre 2020 - che aveva previsto la proroga dello stato di emergenza Covid-19 al 31 gennaio 2020 - ha introdotto un ulteriore slittamento del termine al 31 marzo 2021 per l'adeguamento degli statuti di tali enti alle norme del CTS.
Con ciò intendendosi che fino a tale data le ODV, le APS e le ONLUS potranno ancora operare le modifiche statutarie di adeguamento alle norme del Terzo settore con modalità semplificate: in altri termini, posso modificare i propri statuti con le maggioranze previste per le deliberazioni dell'assemblea ordinaria, in deroga alla normativa applicabile e ad eventuali clausole statutarie che impongono quorum costitutivi e deliberativi più elevati.
Per fare un ultimo esempio, le associazioni già costituite possono quindi modificare lo statuto con la presenza di almeno metà degli associati e la maggioranza dei voti espressi ex art. 21, comma 1, c.c., anziché con il quorum costitutivo dei tre quarti degli associati e quorum deliberativo maggiorato che di regola è per le ipotesi di modifiche statutarie ai sensi del comma 2 del predetto articolo 21 c.c.
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Egregio Avvocato
29 giu. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
Uno dei provvedimenti più importanti che deve assumere il Tribunale è quello relativo a quale dei genitori deve essere assegnata l’ex casa familiare nei procedimenti di separazione e divorzio oltre che nei procedimenti in camera di consiglio a tutela dei figli nati fuori del matrimonio.L’assegnazione della casa familiare a uno dei coniugi risponde all’esigenza di far conservare ai figli l’habitat domestico, inteso come il centro degli effetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, al fine di non far gravare sui figli stessi l’ulteriore trauma dello sradicamento dal luogo in cui si svolgeva la loro esistenza.L’articolo 337 sexies c.c. stabilisce che la casa familiare deve essere assegnata tenendo conto prioritariamente conto dell’interesse dei figli indipendentemente dalle condizioni economiche dei genitori.Oggetto di assegnazione è solo quell’immobile che sia stato centro di aggregazione durante la convivenza comprendente anche i beni mobili, gli arredi, le suppellettili e dell’attrezzatura tesi ad assicurare le esigenze della famiglia.Quali sono i presupposti per l’assegnazione della casa coniugale?Il diritto del coniuge assegnatario è opponibile ai terzi?Se la casa coniugale è in locazione il coniuge assegnatario subentra ex lege nel contratto?Quanto avviene l’estinzione del diritto di godimento della casa coniugale?1 – Quali sono i presupposti per l’assegnazione della casa coniugale?Secondo quanto statuito dal codice civile e dalla legge divorzile il godimento della casa familiare è attribuito tenendo conto esclusivamente dell’interesse dei figli.Il Tribunale prima di provvedere all’assegnazione della casa familiare deve verificare che, da un lato sussistano figli minori o maggiorenni non autonomi, in secondo luogo che il collocamento dei figli avvenga in favore di uno dei genitori al quale andrà assegnata la casa ed infine che la casa di cui si chiede l’assegnazione sia quella familiare cioè quella occupata dai genitori prima del provvedimento giudiziale.L’assegnazione della casa familiare comporterà l’assegnazione del mobilio compreso ed il genitore tenuto ad allontanarsi potrà asportare solo i propri effetti personali. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni o quello indicato all’interno dell’accordo di separazione/divorzio, l’avvenuto cambio di residenza o di domicilio. L’assegnazione della casa per provvedimento del giudice comporterà che il genitore beneficiario subentri in tutti i diritti e dovere correlati come il pagamento degli oneri condominiali e simili.In sostanza il genitore assegnatario dovrà corrispondere al condominio le spese di gestione ordinaria, nonché dovrà far fronte a tutte le utenze. Per quanto riguarda gli oneri condominiali straordinari, questi secondo la normativa generale, restano a carico del proprietario. 2 - Il diritto del coniuge assegnatario è opponibile ai terzi?A tutela dell’assegnatario la legge prevede espressamente che il provvedimento di assegnazione è suscettibile di trascrizione nell’apposito registro immobiliare della Conservatoria per renderlo opponibile a eventuali terzi che abbiano acquistato la casa dopo la trascrizione.È possibile opporre l’assegnazione anche a chi intende costituire altri diritti reali sulla casa.Ciò significa che i terzi a cui è nota l’esistenza dell’assegnazione, in quanto trascritta, devono attendere la revoca o la cessazione di tale provvedimento per poter entrare in possesso dell’immobile acquistato.È necessario precisare che se l’assegnazione è disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi e né al coniuge non assegnatario che vuole proporre domanda di divisione del bene di cui è proprietario.L’opponibilità è infatti collegata al presupposto che il coniuge assegnatario sia anche affidatario dei figli. 3 - Se la casa coniugale è in locazione il coniuge assegnatario subentra ex lege nel contratto?Nel momento in cui la casa coniugale è in locazione e il contratto è intestato al genitore estromesso oppure ad entrambi i coniugi, in caso di separazione giudiziale (e nel caso di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio) subentra solo il coniuge a cui è assegnata la casa familiare. Per legge il coniuge assegnatario subentra nel contratto di locazione e diventa naturalmente obbligato al pagamento dei canoni e delle relative spese di conduzione.Tale effetto legale si produce anche in capo al convivente di fatto affidatario della prole.4 - Quanto avviene l’estinzione del diritto di godimento della casa coniugale?Le legge indica determinati presupposti, in presenza dei quali, le parti possono chiedere al giudice di revocare l’assegnazione della casa familiare: a) nel momento in cui i figli non convivono più o diventano economicamente indipendenti; b) il coniuge assegnatario non abita più nella casa familiare o cessa di abitarvi stabilmente; c) il coniuge assegnatario inizia una convivenza more uxorio nella casa assegnata o contrae nuovo matrimonio; c) uno dei coniugi cambio la propria residenza o domicilio. Nel momento in cui si verificano uno dei predetti fatti l’assegnazione non viene meno di diritto ma sarà il coniuge interessato chiedere la revoca al Tribunale, il quale dovrà decidere in base alla valutazione nell’interesse primario dei figli minori.Il coniuge interessato alla revoca dell’assegnazione della casa coniugale dovrà presentare ricorso per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio ed avrà l’onore di provare il fatto posto alla base della richiesta di revoca. La prova sarà abbastanza rigorosa nel momento in cui c’è la presenza di figli affidati o conviventi con l’assegnatario, in ogni caso il giudice deve verificare se la revoca contrasti con i preminenti interessi della prole.Editor: Avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
1 feb. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
Sto per acquistare una casa che non ha l’agibilità, cosa devo fare? La sua assenza incide sulla vendita? È molto frequente nella prassi che alcuni immobili, soprattutto di vecchia costruzione, siano privi della c.d. agibilità: la sua assenza non pregiudica la conclusione dell’atto di vendita ma, costituendo presupposto di utilizzabilità dell’immobile stesso, è importante che l’acquirente sia stato correttamente informato e che siano state predisposte le opportune tutele. Cos’è l’AgibilitàL’immobile privo di agibilità è commerciabile?In che modo può essere tutelato l’acquirente? 1 - Cos’è l’AgibilitàL’art. 24 del Testo Unico sull’Edilizia (D.P.R. 380/2001), recentemente modificato dal legislatore, riconduce l’agibilità di un immobile alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, e alla conformità delle opere eseguite al progetto presentato. Si evince quindi che il fine perseguito dalla normativa sia quello di garantire che i fabbricati possiedano le condizioni minime di sicurezza e salubrità così da tutelare la salute e l’incolumità pubblica. Infatti, ai sensi del successivo art. 26 TUE che richiama a sua volta il Testo Unico delle leggi sanitarie, il Sindaco, sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta del medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.Prima del 2016 l’agibilità veniva attestata dal c.d. certificato di agibilità (e ancora prima di “abitabilità”), oggi è dichiarata per il tramite della Segnalazione Certificata di Agibilità.Entro 15 giorni dall’ultimazione dei lavori, il titolare del titolo abilitativo in forza del quale sono iniziati i lavori, o i suoi eredi o aventi causa, devono presentare tale segnalazione certificata presso lo sportello unico per l’edilizia, corredata della documentazione indicata dal comma 5 dell’art. 24 TUE ed, in particolare, dell'attestazione del direttore dei lavori o di un professionista abilitato che – sotto la propria responsabilità – certifica la sussistenza delle condizioni previste dalla legge. La segnalazione certificata deve essere presentata per i seguenti interventi: nuove costruzioni; ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati.La mancata presentazione comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 77 a 464 euro.2 - L’immobile privo di agibilità è commerciabile?Si, l’immobile privo di agibilità è commerciabile.Infatti, nessuna disposizione proibisce la commerciabilità degli edifici che ne sono privi e nessuna tratta dell’eventuale influenza che l’assenza della stessa possa avere sulla validità dell’atto di trasferimento dell’immobile. Tuttavia, la giurisprudenza considera l’agibilità un requisito essenziale del fabbricato oggetto di compravendita, concernente la possibilità di adibire l’immobile all'uso contrattualmente previsto. La vendita di un fabbricato in mancanza dei requisiti sostanziali di agibilità è ritenuta quindi una vendita aliud pro alio, ossia di una cosa diversa da quella convenuta dalle parti; fattispecie che integra un’ipotesi di inadempimento del venditore a fronte del quale l’acquirente ha il diritto di richiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.Si può quindi affermare che se l’agibilità non incide sulla commerciabilità giuridica di un edificio, tuttavia, costituendone il presupposto di utilizzabilità, incide, sulla sua commerciabilità “economica”. Non può, infatti, non osservarsi che l’acquirente rientra tra i soggetti, specificamente tra “gli aventi causa”, sui quali ai sensi dell’art. 24 TUE ricadrebbe l’obbligo di presentare la segnalazione certificata. In altri termini l’acquirente dell’immobile, in assenza di diversa pattuizione, diverrà il soggetto obbligato alla presentazione e al pagamento delle eventuali spese. Sarà interesse dello stesso quindi definire la situazione, potendosi trovare domani lui a vendere il bene e prestare le garanzie eventualmente richieste.3 - In che modo può essere tutelato l’acquirente? A fronte delle osservazioni sovra esposte ed in particolare degli ultimi approdi della giurisprudenza, al fine di agevolare la circolazione dei beni e garantire certezza nei traffici giuridici, nonché contemperare l’interesse delle parti, risulta opportuno che le stesse siano correttamente informate e, se del caso, raggiungano appositi accordi contrattuali al fine di regolare l’assenza dell’agibilità. Ad esempio, si può ragionevolmente ritenere che tale circostanza possa incidere sul prezzo della vendita: il bene subisce un deprezzamento nella misura in cui sorga l'impossibilità di pieno godimento dello stesso oppure in considerazione delle spese che si renderanno eventualmente necessarie al fine dell'ottenimento dell'agibilità a carico dell’acquirente. Oppure, la parte alienante potrebbe garantire che l’unità immobiliare in oggetto possiede i requisiti di agibilità previsti dalla legge pur non essendo in possesso della relativa certificazione o dichiarane l’assenza e assumersi l’obbligo di provvedere lei stessa alla richiesta. Editor: dott.ssa Flavia Carrubba
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Egregio Avvocato
4 ott. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
Il diritto di accesso agli atti amministrativi, in ossequio al principio di trasparenza dell’azione pubblica, consente ai cittadini di ottenere una informazione qualificata, di accedere ai documenti amministrativi e conoscere, nei limiti precisati dalla legge, lo stato dei procedimenti amministrativi che li riguardano, seguendo le fasi attraverso cui l’attività amministrativa si articola. Vediamo come tale diritto è riconosciuto e tutelato nel nostro ordinamento.Che cosa si intende per “diritto di accesso agli atti amministrativi”?Le tre tipologie di accesso codificate dal legislatore: cenniL’accesso procedimentale 3.1. Presupposti 3.2. Limiti 3.3. Procedimento1 - Che cosa si intende per “diritto di accesso agli atti amministrativi”?Il diritto di accesso è uno strumento che consente la partecipazione dei cittadini all’azione amministrativa, permettendo loro di esercitare un controllo sull’agire pubblico. Si tratta di un istituto che affonda le proprie radici nel principio di trasparenza della Pubblica Amministrazione. Per trasparenza, in particolare, si intende l’accessibilità dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini e di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. La trasparenza, pertanto, concorre a attuare i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse. Come principio ha un fondamento espresso in ambito sovranazionale: l’art. 15 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE affermano, infatti, che “Qualsiasi cittadino dell'Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell'Unione, a prescindere dal loro supporto (…)”. Il TFUE, inoltre, impone agli Stati di garantire la trasparenza dei propri lavori e di definire nel proprio regolamento interno disposizioni specifiche riguardanti l'accesso ai propri documenti.Vediamo allora come l’ordinamento italiano ha disciplinato il diritto di accesso.2 - Le tipologie di accesso agli atti amministrativi codificate dal legislatore: cenniIl nostro ordinamento conosce tre diverse tipologie di diritto di accesso agli atti amministrativi, rispondenti a esigenze diverse e caratterizzate da presupposti differenti:accesso procedimentale: consente a chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale di accedere ad un documento e di estrarne copia. Può essere esercitato solo nell’ambito di un procedimento amministrativo, cioè quella particolare procedura che culmina con l’adozione di un provvedimento amministrativo;accesso civico: nella sua forma “semplice” consente a chiunque, a prescindere da un interesse diretto, concreto e attuale, di prendere visione dei dati, delle informazioni e dei documenti per cui sussiste un obbligo di pubblicazione in capo alla p.a.; nella sua forma “generalizzata”, invece, consente a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle amministrazioni pubbliche, ulteriori rispetto a quelli per i quali vige un obbligo di pubblicazione.In questo contributo ci concentreremo sull’accesso procedimentale e approfondiremo, prossimamente, le altre due tipologie di accesso.3 - Accesso procedimentaleL’accesso procedimentale è disciplinato dalla l. 241/1990 e dal d.p.r. 184/2006: ai sensi dell’art. 10 della l. 241/1990 consiste nel diritto di “prendere visione degli atti del procedimento”. Questa tipologia di accesso, pertanto, può esercitarsi soltanto nell’ambito di un procedimento amministrativo.3.1 - PresuppostiCome abbiamo anticipato, i soggetti legittimati ad esercitare il diritto di accesso sono, ai sensi dell’art. 22 della l. 241/1990 tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Pertanto, la facoltà di accedere ai documenti detenuti dalla p.a. non è attribuita a chiunque ma unicamente ai soggetti titolari di una posizione differenziata e collegata al documento di cui si chiede l’ostensione.I soggetti passivi del diritto di accesso, cioè coloro nei confronti dei quali il diritto si esercita, sono le pubbliche amministrazioni, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici e i gestori di pubblici servizi, nonché i privati limitatamente alla loro attività di pubblico interesse. Oggetto del diritto di accesso sono i “documenti amministrativi”, nel senso precisato dall’art. 22 della l. 241/1990. Si tratta di una definizione ampia, che comprende atti non solo scritti su supporto cartaceo ma anche in formato digitale; non soltanto i provvedimenti finali ma anche gli atti interni o endoprocedimentali; non solo gli atti amministrativi ma anche gli atti formati dai privati che confluiscono nel procedimento, come pareri legali o progetti tecnici. 3.2 - LimitiL’art. 24 l. 241/1990 prevede, poi, alcune ipotesi di esclusione dal diritto di accesso. In primo luogo, non sono suscettibili di essere conosciuti dai cittadini: i documenti coperti da segreto di Stato;i documenti oggetto di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge; i procedimenti tributari; l'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione; i procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi. È previsto, inoltre, un generale divieto dell’accesso che sia finalizzato ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. 3.3 - ProcedimentoPer poter accedere a un documento amministrativo, l’interessato deve presentare un’istanza di accesso all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. Tale richiesta deve essere motivata, deve contenere l’indicazione degli estremi del documento e deve far constatare l’identità del richiedente. L’istanza può essere presentata fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere.L’istanza può essere di due tipologie, a seconda delle peculiarità del caso concreto:qualora, in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di controinteressati (soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio del diritto di accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza), l’accesso è informale: può essere esercitato mediante richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione, che esamina immediatamente e senza formalità la richiesta e la accoglie mediante esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra modalità idonea;qualora, invece, risulti, alla stregua delle informazioni esistenti, l'esistenza di controinteressati ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell'interesse ovvero sull'accessibilità del documento, l’accesso è formale: l’istante dovrà formalizzare l’istanza utilizzando l'apposito modulo (chiamato “Richiesta di accesso agli atti”) da presentare all'ufficio che detiene l'atto o allo Sportello Unico Servizi. A seguito della domanda di accesso, si aprono quattro possibili scenari:l’amministrazione accoglie l’istanza: in questo caso il privato può esercitare il diritto di accesso mediante esame gratuito ed estrazione di copia del documento, quest’ultima subordinata al rimborso del costo di riproduzione; l’esame è effettuato direttamente dal richiedente o da persona da lui incaricata. L’amministrazione può anche accogliere parzialmente l’istanza, limitando la portata dell’accesso solo ad alcune parti del documento: in questo caso deve espressamente motivare la propria scelta;l’amministrazione differisce l’accesso: in questo caso l’amministrazione deve motivare le ragioni per cui ritiene opportuno differire l’accesso. La legge prevede, inoltre, che l’accesso non può essere negato laddove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento;l’amministrazione nega l’accesso: il rifiuto può avvenire quando siano carenti i requisiti di legittimazione del richiedente e di relativa motivazione o quando gli atti richiesti siano sottratti all’accesso; in tal caso c’è un obbligo di motivazione;l’amministrazione rimane inerte: ai sensi dell’art. 25 co. 4 l. 241/1990, trascorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta questa si intende respinta (c.d. “silenzio-rigetto”).Contro il diniego o il differimento dell’accesso, il richiedente può presentare un ricorso giurisdizionale al giudice competente o un ricorso amministrativo al difensore civico (per gli atti degli enti territoriali) o alla Commissione nazionale per l’accesso (per gli atti delle amministrazioni statali).Il ricorso deve essere notificato agli eventuali controinteressati e deve essere presentato nel termine di trenta giorni dalla piena conoscenza del provvedimento impugnato o dalla formazione del silenzio rigetto sulla richiesta d'accesso. Nel termine di quindici giorni dall'avvenuta comunicazione i controinteressati possono presentare le loro controdeduzioni. Editor: dott.ssa Elena Pullano
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16 set. 2021 • tempo di lettura 3 minuti
Un bene oggetto di pignoramento può essere venduto in una trattativa privata. Questa è la posizione della dottrina e della giurisprudenza prevalenti, le quali ammettono la circolazione dei beni pignorati purché ciò avvenga nel rispetto della disciplina processuale e delle tutele a garanzia dei creditori e dei potenziali acquirenti.1. Cosa si intende per “bene pignorato”?2. Posso vendere un bene pignorato? 3. Quali sono le tutele dei creditori e dell’acquirente? 1 - Cosa si intende per “bene pignorato”?Un “bene pignorato” è un bene, mobile o immobile, sottoposto a pignoramento ai sensi degli artt. 491 e seguenti del Codice di Procedura Civile; quando oggetto sono beni immobili si parla di pignoramento immobiliare. Il pignoramento è l’atto formale con cui si apre la cd. espropriazione forzata, volta a sottrarre la disponibilità di un bene al suo proprietario al fine di tutelare le pretese creditorie. Il debitore, infatti, ai sensi dell’art. 2740 c.c. risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (cd. garanzia patrimoniale generica), pertanto, allorquando il medesimo si rende inadempiente nei confronti del creditore, questi, ha diritto di chiedere all’autorità giudiziaria un provvedimento a garanzia del suo credito. In altri termini, in caso di inadempimento, determinati beni del patrimonio del debitore possono essere espropriati e convertiti in denaro tramite la vendita ai pubblici incanti, o altre procedure, al fine di soddisfare i creditori. Il pignoramento crea, dunque, un vincolo giuridico sui beni del debitore, tanto che l’art. 2913 c.c. stabilisce che gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento “non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione”. 2 - Posso vendere un bene pignorato? Si, un bene pignorato può comunque essere oggetto di trattativa tra privati.Infatti, la dottrina prevalente, avallata dall’unanime giurisprudenza, interpreta il predetto articolo 2913 c.c. come un’inefficacia relativa degli atti di alienazione. Gli atti di alienazione eventualmente posti in essere dal debitore non sono nulli ma validi, benché inopponibili ai creditori procedenti fino a che non si estingua la procedura esecutiva.Il debitore può, quindi, alienare i beni pignorati e porre in essere un atto di disposizione di per sé valido, tuttavia, lo stesso non sarà opponibile ai creditori (procedenti o successivamente intervenuti nel procedimento esecutivo) che ben potranno, al termine della procedura, soddisfare le proprie ragioni sui beni alienati – a danno dell’avente causa.3 - Quali sono le tutele dei creditori e dell’acquirente? Se dunque non sono nulli gli atti di alienazione dei beni pignorati, la prassi ha comunque cercato soluzioni operative per consentirne una corretta circolazione. La soluzione è nel coinvolgimento dei creditori alla trattativa privata. Difatti, oltre alla stipula dell’atto direttamente in Tribunale, la prassi adotta lo schema dell’atto sospensivamente condizionato all’estinzione del procedimento. Esso consiste in un primo atto di alienazione del bene, registrato e trascritto, i cui effetti sono sottoposti alla condizione sospensiva dell’estinzione della procedura innanzi al Giudice dell’esecuzione, e un secondo atto, anch’esso da registrarsi ed annotarsi al primo, nel quale si accerta e si dichiara l’avveramento dell’evento dedotto e l’efficace trasferimento della proprietà a favore dell’acquirente. L’estinzione della procedura esecutiva, evento necessario per l’efficacia della vendita, non potrà che realizzarsi con la collaborazione dei creditori istanti o intervenuti, i quali dovranno rinunciare alla stessa verosimilmente a fronte del soddisfacimento del loro debito: ad esempio ricevendo parte del prezzo appositamente depositato in via fiduciaria.Editor: dott.ssa Flavia Carrubba
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