Avv. Prof. Domenico Lamanna Di Salvo
o Studio Legale Lamanna Di Salvo si occupa da anni di problematiche di diritto di famiglia inerenti separazione, divorzio, sottrazione di minori, adozione nazionale e internazionale, affidamento.
Nell'esecuzione degli incarichi affidatici prestiamo particolare attenzione alla tutela dei minori, che sono proprio i soggetti più deboli, i cui diritti - pur sulla carta indiscutibilmente riconosciuti a livello nazionale e internazionale - vengono spesso messi in secondo piano nelle vicende patologiche del rapporto coniugale.
Oggi vogliamo dedicare particolare attenzione all'adozione internazionale, intesa come lo strumento volto a dare una nuova famiglia al minore a cui manchi in via definitiva il sostegno da parte della famiglia di origine e che, pertanto, si trovi in stato di abbandono.
La Legge n° 184/1983 regola anche sia l'adozione nazionale che quella di minori stranieri e residenti all'estero.
I requisiti per l'adozione internazionale sono gli stessi previsti per l'adozione nazionale, e sono previsti dall'art. 6 della legge 184/83 (come modificata dalla legge 149/2001)
I predetti limiti di età possono essere derogati nell’interesse del minore o dei minori nell’ipotesi di adozione di più fratelli.
Tutte le coppie che intendono iniziare un percorso di adozione internazionale devono presentare la dichiarazione di disponibilità al Tribunale dei Minori del circondario in cui risiedono e successivamente richiedere che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione.
Successivamente, i servizi sociali di competenza eseguono una serie di accertamenti sulla cui base il Tribunale pronuncerà un Decreto che attesta l’idoneità o l’inidoneità. Il Tribunale, dopo aver ricevuto le valutazione del servizio sociale, provvederà ad emettere il decreto di idoneità o meno all’adozione internazionale.
Entro un anno dalla pronuncia del decreto di idoneità i richiedenti devono rivolgersi ad un ente autorizzato dalla commissione per le adozioni internazionali il quale metterà in contatto gli adottanti con il minore straniero.
La Commissione, in particolare, provvede a comunicare l’emissione dell’autorizzazione all’ingresso in Italia agli uffici consolari del luogo. Sono tali Uffici Consolari a rilasciare materialmente il visto d’ingresso per adozione.
Il Tribunale per i Minorenni, in seguito, dichiara efficace in Italia il provvedimento di adozione pronunciato all'estero e ne ordina la trascrizione nei registri dello stato civile
Invece, nel caso in cui il provvedimento straniero, anziché disporre direttamente l’adozione, disponga l'affidamento a scopo di adozione, sarà necessario che il Tribunale per i Minorenni dichiari efficace l’affidamento a scopo adottivo in Italia. In tale ultima ipotesi, l’adozione si perfezionerà in Italia all’esito positivo del periodo di affidamento preadottivo e sarà il Tribunale per i Minorenni a decidere con Decreto l’adozione, provvedendo ad ordinarne la trascrizione nei registri dello stato civile.
Condividi:
27 apr. 2023 • tempo di lettura 1 minuti
Uno dei temi più dibattuti da noi avvocati matrimonialisti/divorzisti è, ovviamente, l'affido dei figli minori in seno ad un giudizio di separazione. Dando per scontato che, nella maggior parte dei casi, i Tribunali optano per l'affido condiviso, quid iuris quando uno dei genitori - per i più svariati motivi - decide di spostare la propria residenza all'estero? Il tema è stato di recente analizzato dalla Suprema Corte nella decisione in commento. (Corte di Cassazione - Ordinanza n. 24651/2022, Sez. Prima Civile) L'orientamento qui espresso pare assolutamente condivisibile. Ed invero, il consenso di un genitore al collocamento dei figli presso l'ex coniuge (id est, spesso la madre) non presuppone sic et simpliciter un'implicita autorizzazione al trasferimento all'estero, in quanto tale passo - seppur costituzionalmente garantito, stante la libertà di decidere dove vivere - comporta notevoli limitazioni alla bigenitorialità e all'esercizio di quel diritto/dovere ad essa intrinsecamente connesso. Ne discende che qualsiasi decisione unilaterale di trasferimento all'estero con figli minori è da ritenersi lesivo dei diritti dell'altro genitore, che si vede de facto limitato nell'esercizio delle prerogative genitoriali, e, pertanto, costituisce illecito di sottrazione internazionale di minori, tema che è regolamentato persino a livello internazionale dalla Convenzione internazionale de L'Aia. La decisione degli Ermellini appare impeccabile sotto un profilo logico ed interpretativo e rappresenta sicuramente un piunto fermo nella soluzione di simili controversie.Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo Matrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore
Continua a leggere
Scritto da:
20 feb. 2023 • tempo di lettura 9 minuti
E' noto agli addetti ai lavori nell'ambito del diritto civile un principio di portata generale e recepito anche dal legislatore costituente del 1948 relativo alla cosiddetta tipicità dei diritti reali di godimento, per tali intendendosi tutti quei diritti soggettivi aventi ad oggetto il potere di disposizione e fruizione di un bene determinato.In effetti, la categoria dei diritti reali risulta di recente introduzione ed elaborazione, dato atto che dalle fonti del diritto romano non si rinviene alcun concetto assimilabile a ciò che nell'attuale momento storico va sotto il nome di diritto reale di godimento, comprendente tanto gli iura in re propria (proprietà) quanto gli iura in re alinea (usufrutto, servitù prediali, superficie, ecc.).L'antico diritto romano conosceva infatti le actiones in rem, ossia tutte quelle azioni giudiziarie aventi ad oggetto una res, un bene specifico.La categoria dei diritti reali, invero, comprende una serie di diritti soggettivi dotati dei caratteri della immediatezza, inerenza e assolutezza, che contribuiscono a differenziarli rispetto ai diritti di credito, ossia a tutti quei diritti che taluno (creditore) vanta nei confronti di una altro soggetto (debitore) in ordine all'adempimento di una data prestazione, a carattere patrimoniale o non patrimoniale, rispondente ad un interesse economico del creditore medesimo. Il dato differenziale che contribuisce a contraddistinguere i diritti di credito rispetto ai diritti reali è dato proprio dalla relatività dei primi, intesa nel senso che il creditore può esercitare il suo credito solo nei confronti del rispettivo debitore (o di una pluralità di debitori ove si tratti di obbligazione solidale dal lato passivo), a differenza, per l'appunto, dei diritti reali, notoriamente caraterizzati, come già detto, dall'assolutezza, intesa nel senso che il loro titolare ha potere di esercitare il relativo diritto e di farlo valere nei confronti della generalità dei consociati, rispetto ai quali grava un generale dovere di astensione dal compiere atti che possano interferire o turbare l'esercizio dell'altrui diritto soggettivo.Naturalmente, nell'ambito dei diritti reali, un posto di rilevante importanza non può che essere occupato proprio dal diritto di proprietà, definito dall'art, 832 c.c., come il potere di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo.Invero, la definizione che ne offre il legislatore del 1942, in ordine al diritto reale per eccellenza, non è poi più di tanto dissimile da quella offerta dal codice previgente del 1865, ove si legge, appunto all'art. 436, "La proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti". Ma vi è di più: tale definizione assimila in un certo senso la nota disposizione contenuta nel Code Civil del 1804 all'art. 544, ove si legge: Il diritto di proprietà è quello che appartiene ad ogni cittadino di godere e disporre a suo piacimento dei suoi beni, dei suoi redditi, del frutto del suo lavoro e della sua operosità.L'elemento differenziale che corre tra il concetto di proprietà assimilato dal legislatore del 1942 e quello fatto proprio dal codice civile del Regno d'Italia del 1865 è dato proprio dalla lettura costituzionale della relativa disposizione di legge generale.E' noto a tutti che l'avvento del regime repubblicano e l'entrata in vigore della Costituzione del 1948 hanno imposto un profondo ripensamento delle norme e delle leggi, sino ad allora vigenti, di matrice fascista, con la necessaria abrogazione dei riferimenti al corporativismo che contraddistingueva il previgente assetto ordinamentale.Cionondimeno, il regime fascista si fondava su una Costituzione antica ed ottriata, a tutti noto come lo Statuto Albertino del 1848, frutto dei moti rivoluzionari che dilagarono in Europa in quel frangente storico. Lo Statuto del 1848 conteneva una accezione quasi sacrale del diritto di proprietà, considerato persino un diritto sacro ed inviolabile.Ad oggi, la Costituzione repubblicana di un secolo dopo approda a tutt'altri lidi, riconoscendo il diritto di proprietà nella Parte I- Titolo III, dedicato ai "Rapporti Economici", ove si legge all'art. 42, c. 2 "La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti".Si esalta dunque la funzione sociale che assolve la proprietà privata, il che non si pone affatto in contrasto con quanto prevede l'art. 832 c.c., che, nel dare la definizione di proprietà, come già visto, stabilisce che il relativo potere di godimento debba essere esercitato entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi statuiti dal legislatore.Per questo motivo, unitamente ai caratteri della imprescrittibilità e dell'assolutezza, la proprietà privata si connota altresì del carattere della elasticità, nel senso che la stessa può essere limitata, o per così dire compressa, in presenza di limiti di godimento fissati dalla legge o dalla volontà dei privati, sia pure nei casi esclusivamente previsti dal legislatore e con le dovute cautele.Una ricaduta senz'altro molto significativa di quanto appena riportato interessa il potere di espropriazione di cui è titolare l'Amministrazione pubblica o l'organo che la rappresenta, nell'esercizio delle relative attribuzioni. L'agere publicum avviene sempre in conformità al dettato normativo (e nel rispetto dei noti canoni di imparizalità e buon andamento ex art. 97, c 2 Cost.), tanto è vero che la stessa P.A. non può che agire per il perseguimento di fini fissati dalla Legge a tutela di interessi collettivi. L'espropriazione si realizza con un provvedimento autoritativo a carattere ablatorio, con cui l'organo della P.A. competente priva il privato del relativo diritto di proprietà su un bene , salva corresponsione di equo indennizzo, generalmente commisurato al valore venale del bene espropriato.Sotto il profilo privatistico, limiti alla proprietà privata possono derivare da un atto di costituzione di diritti reali di godimento su cosa altrui, quali il diritto di usufrutto o di servitù prediale.Concentrandoci sulle seconde, è noto che la servitù altro non è che un peso imposto su un fondo (c.d. servente) per l'utilità che può derivare ad un altro fondo (c.d. dominante) ad esso attiguo ed appartenente a diverso proprietario. La disciplina è contenuta a livello sistematico negli artt. 1027 e ss. c.c., che infatti distinguono almeno due tipi di servitù prediali (da praedium in latino ossia "terreno"): le servitù coattive o legali e le servitù volontarie.Le prime, come è facile intuire, si costituiscono in virtù di un'espressa previsione normativa, come accade per le servitù di elettrodotto o acquedotto e scarico coattivo, ovvero ancora per le servitù di passaggio coattivo di cui agli artt. 1051 e ss. c.c.; al contrario, le cosiddette servitù volontarie si costituiscono per contratto o per testamento e sono da distinguere rispetto ad un terzo modo di costituzione, ossia per destinazione del padre di famiglia, che, insieme a quella per usucapione, rientrano nell'ambito di previsione di cui agli artt. 1061 e 1062 c.c.Ai fini della nostra indagine, a ben vedere, ciò che è opportuno porre in evidenza è la nozione di utilità rinvenibile all'art. 1028 c.c., intesa quale maggiore comodità o amenità che può derivare al fondo dominante.Invero, alla nozione succitata è stata offerta dalla giurisprudenza di legittimità una lettura pressoché estensiva, tanto da ricomprendere qualsivoglia forma di utilitas, purché a carattere reale.Da questo principio si può facilmente giungere ad una soluzione negativa, in ordine all'ammissibilità delle servitù di parcheggio, aventi ad oggetto appunto il diritto del proprietario del fondo dominante di fruire dello spazio riservato al parcheggio delle proprie vetture sulla area del fondo servente.Infatti, la caratteristica fondamentale delle servitù è il loro carattere reale, unitamente all'inerenza dell'utilità al fondo dominante. La realitas, anche definita "predialità", è dunque imprescindibile per la valida costituzione del diritto di servitù, ragion per cui il proprietario del fondo dominante può ricevere un vantaggio esclusivamente attraverso il proprio bene e non già per uno scopo per così dire egoistico o per un utilità personale.Quanto detto, che trova riscontro altresì nella giurisprudenza di legittimità più recente (ex multis Cass. civile, sez. II, 06/11/2014, n. 23708, nonchè Cass. civile, sez. II, 07/03/2013, n. 5769), si pone perfettamente in linea col principio di tipicità dei diritti reali, la cui ratio si rinviene proprio nell'esigenza di impedire che i privati, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, costituiscano limitazioni alla proprietà privata atipiche, ossia non previste o avallate dal legislatore, con ciò inibendo la piena e libera fruizione del diritto di proprietà, la cui garanzia ed il cui riconoscimento trovano espressa sanzione a livello di Legge fondamentale.Si legge chiaramente nella sentenza appena citata della Suprema Corte quanto segue: "Il parcheggio di autovetture costituisce manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, del quale difetta la “realitas”, intesa come inerenza al fondo dominante dell’utilità, così come al fondo servente del peso, mentre la mera “commoditas” di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedano al fondo non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari”.Alla luce di quanto detto, e del carattere conseguentemente irregolare della servitù di parcheggio eventualmente istituita su accordo tra le parti, qualsiasi contratto avente ad oggetto la costituzione di una servitù di tale natura non può che considerarsi fonte, tutt'al più, di un mero rapporto obbligatorio, in virtù del quale l'una parte concede all'altra la possibilità di fruire di una spazio all'interno del proprio terreno, adibito appunto ad area parcheggio, ma giammai può dirsi esistente un rapporto a carattere reale e, per l'effetto, sussistente un vincolo assimilabile ad una servitù di passaggio, per difetto del carattere reale della relativa utilitas al proprietario del fondo dominante.Sempre la Corte di legittimità, con la sentenza del 2014 appena richiamata, specifica che il relativo contratto sarà affetto da nullità assoluta e art. 1418 c.c. per impossibilità dell'oggetto.Successivamente, la stessa S.C. sembra essere caduta in contraddizione, quando con la sent. n. 16698/2017 statuisce: “In tema di servitù, lo schema previsto dall’art. 1027 c.c. non preclude in assoluto la costituzione di servitù avente ad oggetto il parcheggio di un’autovettura su fondo altrui, a condizione che, in base all’esame del titolo e ad una verifica in concreto della situazione di fatto, tale facoltà risulti essere stata attribuita come vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione”.Quello che può sembrare un ribaltamento del principio di diritto espresso nel 2014 altro non è che una puntualizzazione dello stesso, avendo avuto cura la S.C. di specificare che, ai fini della configurabilità della servitù di parcheggio, è necessario valutare la sussistenza dei caratteri fondamenti e strutturali del diritto reale minore e in particolare l’altruità della cosa, l’immediatezza, l’inerenza al fondo servente e al fondo dominante, la specificità dell’utilità riservata.Pertanto, non potremo non chiederci come si contraddistingue un diritto personale da un diritto reale di godimento su cosa altrui, dovendo, per risolvere l'empasse, aver cura della situazione concreta, inserita nella realtà fattuale, unendo a ciò l'esame del titolo su cui il diritto si fonda, con ciò potendo individuare i caratteri ed i requisiti essenziali del diritto di servitù.
Continua a leggere
Scritto da:
3 gen. 2023 • tempo di lettura 2 minuti
Le cronache hollywoodiane portano spesso all'attenzione dei lettori di rotocalchi rosa i cosiddetti "accordi prematrimoniali" di attrici e attori famosi. Trattasi di un vero e proprio accordo minuzioso volto a regolare “a tavolino” le sorti del proprio matrimonio. Va precisato che tali accordi non sono obbligatori, ma, una volta sottoscritti, assumono natura vincolante. Ed invero, le parti, una volta sottoscritto l'accordo prematrimoniale, dovranno necessariamente attenervisi. In caso di divorzio, poi, il giudice, preso atto dell'esistenza di tali accordi nel patto prematrimoniale, pronuncia lo scioglimento del matrimonio esattamente a quelle condizioni concordate. Tale sistema, che ha sicuramente una sua enorme efficacia pratica, è tipico di molti paesi anglosassoni (in primis, appunto, gli Stati Uniti d'America) e ha potuto facilmente trovare applicazione data la sostanziale mancanza di un regime patrimoniale di riferimento. Tanto premesso, ci si chiede se un tale accordo possa avere una qualsivoglia valenza giuridica in Italia. La risposta è fin troppo scontata: gli accordi pre - matrimoniali in Italia sono nulli: non esiste una legge che li regolamenti e il codice civile li esclude espressamente. Ma è proprio così? In realtà, tali patti possono avere in sede processuale un peso probatorio non indifferente. Il giudice italiano, chiamato a pronunciarsi sulla separazione e sul divorzio, non potrà completamente ignorare quanto i coniugi avevano espressamente dichiarato e concordato. Invero, tali accordi rappresentano una fotografia di vita familiare cristallizzata scattata “in tempi di pace”, sull'onda di quel sentimento di amore e devozione reciproca che dovrebbe rappresentare la base di ogni unione matrimoniale. Il loro contenuto, pertanto, appare scevro dai rancori e dalle acredini che caratterizzano ogni scioglimento di un matrimonio e, pertanto, appaiono essere più oggettivi, ragion per cui possono davvero costituire un indizio di prova che il Giudice può utilizzare per prendere le proprie decisioni. In conclusione, anche nel momento in cui i coniugi appaiono trasportati dall'ardore e dalla passione di una futura vita insieme, non bisognerebbe trascurare di prevenire possibili situazioni avverse, pianificando con il proprio legale una possibile strategia di uscita nell'ipotesi di una separazione e/o di un divorzio. Rimane, ovviamente, auspicabile che il legislatore possa in tempi rapidi introdurre questo utilissimo strumento nel nostro diritto, che indubbiamente risolverebbe molti aspetti del contenzioso familiare.Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo Matrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore
Continua a leggere
Scritto da:
14 nov. 2021 • tempo di lettura 1 minuti
Nel caso di merce acquistata durante i saldi, il consumatore ha diritto al cambio in tre casi:sempre, nel caso di bene “difettoso”, cioè affetto da vizi di fabbricazione, per effetto della garanzia prevista dal Codice del Consumo, che dura due anni ma richiede una denuncia entro 60 giorni dall’acquisto;se il commerciante l’ha promesso volontariamente ed alle condizioni da questi precisate;sempre, in caso di acquisti online, entro 14 giorni dalla consegna del bene.Se il cambio non è possibile (ad es. perché non ci sono più beni disponibili), il consumatore ha diritto alla riparazione gratuita del bene difettoso, alla riduzione del prezzo o ad un buono da utilizzare per altri acquisti.
Continua a leggere
Scritto da:
Egregio Avvocato
Non ci sono commenti