L'adozione internazionale

Avv. Egregio Avvocato

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Pubblicato il 7 mar. 2022 · tempo di lettura 5 minuti

L'adozione internazionale | Egregio Avvocato
L'adozione internazionale consiste nell'adozione di un bambino straniero fatta nel suo paese, davanti alle autorità e alle leggi che vi operano. 
Questo tipo di adozione comporta, per il giovane che viene adottato, un cambiamento personale e relazionale più marcato di quello che deve affrontare un minore adottato nel suo stesso Paese e necessita, pertanto, di particolari cautele.


  1. La normativa in materia di adozione internazionale
  2. La procedura


1 - La normativa in materia di adozione internazionale


L’adozione internazionale permette di accogliere nella propria famiglia bambini di altri paesi, con cultura, lingua, tradizioni diverse. 

Per questo, per tutelarne i diritti, la normativa si fa più complessa, ma offre in cambio una più approfondita preparazione ed un migliore sostegno alle coppie che hanno deciso di intraprendere questo percorso.

La Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993 sulla Tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale è il principale strumento messo in campo al fine di tutelare i diritti dei bambini e di chi desidera adottarli.

Il nostro paese ha ratificato la Convenzione con la Legge 31 dicembre 1998 n. 476, le cui norme regolano la procedura di adozione internazionale. La normativa si applica in tre principali situazioni:


  • l’adozione del minore straniero da parte di coniugi italiani;
  • l’adozione del minore straniero da parte di coniugi stranieri residenti in Italia;
  • l’adozione del minore italiano da parte di coniugi residenti all’estero.


2 - La procedura


La dichiarazione di disponibilità

Come prima cosa, la coppia che desideri adottare un bambino straniero deve presentare un’istanza al Tribunale per i minorenni competente in base alla residenza o, se i coniugi sono italiani ma risiedono all’estero, all’ultimo domicilio. 

L’istanza consiste in una dichiarazione di disponibilità all’adozione internazionale, corredata di alcuni allegati volti a dimostrare il possesso dei requisiti di idoneità all’adozione. Tali requisiti, come si anticipava, sono i medesimi che prevede la nostra legge nazionale per le adozioni domestiche: 


  • i coniugi devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni (o aver stabilmente e continuativamente convissuto, prima del matrimonio, per almeno tre anni), non separati nonché idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare;
  • l’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto anni l’età dell’adottato ma non deve superarla di più di quarantacinque anni. 


Il Tribunale per i minorenni valuta la richiesta e, solo se ravvisa la manifesta carenza di questi requisiti, pronuncia immediatamente un decreto di inidoneità; se, invece, non ha nulla da rilevare, entro 15 giorni dalla presentazione della dichiarazione di disponibilità trasmette ai servizi degli Enti locali la documentazione relativa alla coppia.


L'indagine dei servizi territoriali

I servizi degli Enti locali si attivano entro quattro mesi dall'invio della documentazione da parte del Tribunale per i minorenni.

I servizi operano su due fronti: da un lato hanno il ruolo importante di conoscere la coppia e di valutarne le potenzialità genitoriali, raccogliendo informazioni sulla storia personale, familiare e sociale dei coniugi; dall’altro lato, hanno il compito di informare in modo corretto e completo gli adottanti sulle condizioni di vita dei bambini nei paesi di provenienza e sul loro stile di vita, in modo da fornire ogni elemento utile per una più approfondita preparazione all’adozione.

Una volta esaurita questa fase “conoscitiva”, i servizi territoriali hanno il compito di redigere una relazione da inviare al Tribunale, al fine di fornire al giudice gli elementi di valutazione sulla richiesta della coppia.

 

Il decreto di idoneità

Entro due mesi dalla ricezione della relazione dei servizi territoriali, il Tribunale per i minorenni convoca i coniugi e può, se lo ritiene opportuno, disporre ulteriori approfondimenti. 

Il giudice deve decidere, usando come base gli accertamenti compiuti dai servizi territoriali, se rilasciare il decreto di idoneità o se emettere un decreto attestante l'insussistenza dei requisiti all’adozione.

Una volta rilasciato, il decreto di idoneità viene inviato alla Commissione per le adozioni internazionali e all'ente autorizzato, se è già stato scelto dai coniugi.

 

La ricerca di un ente autorizzato

Entro un anno dal rilascio del decreto di idoneità, la coppia deve iniziare la procedura di adozione internazionale, rivolgendosi ad uno degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali.

In questa fase, che è obbligatoria, la coppia può orientarsi verso un paese tra quelli nei quali l’ente opera. 

Gli enti autorizzati hanno la funzione di seguire i coniugi e svolgere le pratiche necessarie per tutta la procedura. In particolare, si occupano di organizzare degli incontri che hanno lo scopo di informare le coppie sulle procedure dei paesi in cui sono presenti, sulla realtà dell'adozione internazionale e di prepararli, con la collaborazione di psicologi ed altri esperti, al loro futuro ruolo di genitori adottivi.


L'incontro all'estero

In questa fase l'ente autorizzato al quale i coniugi si sono rivolti si fa carico della procedura di adozione nel paese straniero scelto: deve, in particolare, inoltrare all’autorità straniera la richiesta di adozione e aspettare la proposta, da parte di quest’ultima, di incontro con il bambino da adottare.

Una volta ricevuta questa proposta, l’ente autorizzato italiano informa gli aspiranti genitori adottivi e, con il loro consenso, continua ad assisterli svolgendo tutte le pratiche necessarie.

Se gli incontri della coppia con il bambino si concludono con un parere positivo anche da parte delle autorità del paese straniero, l'ente trasmette gli atti e le relazioni sull'abbinamento adottando-adottanti alla Commissione per le adozioni internazionali in Italia, attestando la sussistenza dei requisiti previsti dalla Convenzione de L'Aja all'articolo 4 (fra questi, che l’adozione corrisponda al superiore interesse del minore e che i genitori siano stati correttamente informati).

Se invece gli incontri non si concludono positivamente, l'ente ne prende atto e ne informa la Commissione italiana, precisando anche i motivi in base ai quali l'abbinamento non si è rivelato rispondente all'interesse del minore. 

 

Il rientro in Italia e la conclusione della procedura

Una volta ricevuta dall'ente autorizzato la documentazione sull'incontro avvenuto all'estero e sul consenso a questo prestato dai coniugi, la Commissione per le adozioni internazionali autorizza l'ingresso e la permanenza del minore adottato in Italia, dopo aver certificato che l'adozione sia conforme alle disposizione della Convenzione de L'Aja.

A questo punto, il Tribunale per i minorenni ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile: con la trascrizione il minore diventa definitivamente un cittadino italiano e un membro a tutti gli effetti della famiglia che lo ha adottato.


Editor: dott.ssa Elena Pullano

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Il principio di autodeterminazione al trattamento sanitario

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Quando si parla di consenso alle cure del paziente, s’intende una manifestazione di volontà con connotati e modalità precise e fissate dalla legge. La violazione del consenso da parte del medico si realizza sia nel caso di assoluta mancanza di consenso, come anche in presenza di vizi nel procedimento di acquisizione dello stesso. Il processo informativo, infatti, è il requisito fondamentale e strumentale alla garanzia della libera e consapevole approvazione del paziente alla proposta terapeutica, il quale può anche incontrare dei limiti, seppur sempre fissati dalla legge.Esempio concreto di ciò è quanto accaduto a Modena in occasione del ricovero di un bambino con un grave problema cardiaco, il quale, secondo i genitori, poteva essere operato dalla struttura sanitaria solo a condizione che fosse adoperato sangue da persone non vaccinate contro il coronavirus, nel caso in cui si fosse resa necessaria una trasfusione. La situazione che ne è scaturita offre l’opportunità di una riflessione sul sottile equilibrio che si viene a creare tra il diritto, costituzionalmente garantito, della libertà di autodeterminarsi nei vari trattamenti sanitari e il rifiuto da parte del titolare o da chi ne fa le veci dal quale ne può scaturire il pericolo per l’incolumità delle persone coinvolte.La riflessione che ci apprestiamo a proporre richiede inizialmente un’analisi degli aspetti normativi salienti che risultano propedeutici alle conclusioni proposte.Cosa s’intende per consenso al trattamentoQuali sono gli obblighi informativi a carico del medico?Specificità e personalizzazione dell’informazione da richiedereIl caso del bambino di Modena, fino a che punto può spingersi il principio di autodeterminazione?1 - Cosa s’intende per consenso al trattamento.A monte della prestazione del consenso vi è il processo informativo. Infatti, in una relazione terapeutica improntata al principio di parità tra le parti risulta determinante adottare meccanismi voltia contrastare le cc.dd. asimmetrie informative, intese come le differenze conoscitive tra medico e paziente, le quali raffigurano una turbativa della libertà decisionale di quest’ultimo. La comunicazione ed il dialogo, lo scambio di informazioni tra il medico ed il paziente, dunque, è condizione preliminare, necessaria ed ineliminabile affinché la scelta terapeutica sia consapevole e il diritto all’autodeterminazione sia effettivamente garantito.Infatti il paziente subisce una lesione del suo diritto di autodeterminarsi anche quando, pur in presenza di consenso, questo non sia stato preceduto da una adeguata e completa informazione sanitaria. Il presupposto fondamentale dell’informazione, quale elemento necessario per una corretta formazione della volontà del paziente, è stata riconosciuta negli ultimi decenni. In particolar modo ricordiamo la presa di posizione del Comitato Nazionale per la Bioetica che, nel 1992, ha affermato che il diritto all’informazione deve essere finalizzato a porre il paziente in grado di autodeterminarsi e di poter prendere decisioni consapevoli in ambito sanitario.Da qui, anche a seguito dei molteplici interventi di dottrina e giurisprudenza, si è giunti successivamente alla nuova normativa dettata dalla L. n. 219/2017 che presenta le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, in cui gli obblighi informativi a carico del medico sono stati regolati in maniera dettagliata con un’analisi completa della disciplina stessa.2 - Quali sono gli obblighi informativi a carico del medico?Il processo informativo che utile e valido volto all’acquisizione del consenso del paziente, prevede molteplici punti da affrontare, laddove quello più importante è quello relativo all’oggetto e quindi il contenuto dell’informazione. L’operatore sanitario, infatti, deve procedere al compimento di più obblighi informativi allo scopo di rendere edotto il paziente sulle sue condizioni di salute.In primo luogo, vi è la diagnosi. Questa consta dell’individuazione della malattia, di tutte le caratteristiche della stessa, anche in merito alla localizzazione e alla natura e rappresenta il primo momento, fondamentale dell’informazione al paziente, il quale ha il pieno diritto di conoscere il proprio stato di salute. A seguito della diagnosi vi è la prognosi e in questo caso l’operazione da effettuare per il sanitario è differente perché si tratta del giudizio di previsione probabilistico circa il decorso e l’esito della malattia. Questo giudizio risulta fondamentale in quanto, permette di mettere il paziente al corrente dell’andamento della propria malattia, permettendogli di scegliere in modo informato sulla propria scelta terapeutica con cognizione di causa. Tra la diagnosi e della prognosi potrebbe esserci l’accertamento diagnostico che il medico intende porre in atto. Infatti in questa fase il medico deve indicare al paziente l’intervento che egli ritiene più opportuno da realizzare, configurando la reale proposta terapeutica a cui seguirà il possibile assenso o dissenso del paziente.Altro presupposto centrale dell’accertamento diagnostico è quello relativo al fatto che il medico deve informare il paziente relativamente ai i benefici e i rischi derivanti dall’intervento indicato. In questo caso il medico prospetterà un eventuale risultato dell’accertamento fatto, comunicando le probabilità di successo o di fallimento dell’intervento, nonché le eventuali e concomitanti ulteriori conseguenze derivanti dall’intervento.Ma l’ulteriore domanda è quella in merito ai rischi che deve presentare il medico rispetto all’intervento programmato o da eseguire. Ciò sicuramente dipende dal tipo di intervento, dall’invasività dello stesso ma anche dalla complessità o normalità del caso prospettato.In genere, si ritiene che quanto più l’intervento sia complesso o rilevante dal punto di visto dell’integrità psico-fisica del paziente, tanto più il medico dovrà rendere un quadro dei rischi più completo possibile, rappresentando al soggetto cui si richiede il consenso anche le eventuali complicanze, gli effetti collaterali e le problematiche che possono intervenire sul post-intervento, anche quelle più isolate ed insolite. Da quanto detto ne può discendere il rifiuto del paziente e quindi il dissenso. Il paziente ha il pieno diritto di autodeterminarsi e quindi anche di rifiutare le singole o tutte le cure prospettate e queste sue decisioni devono essere ben ponderate e quindi il medico dovrà prospettare in modo completo ed esaustivo le possibili conseguenze del rifiuto.Proprio per tal motivo il medico non si dovrà limitare nel fornire le informazioni, proponendo soltanto una singola cura e le possibili conseguenze della stessa, ma dovrà fornire varie e diverse cure prospettabili per il caso concreto, se esistenti. Dunque, l’informazione al trattamento comprenderà tutte le diverse valutazioni mediche con gli i rischi e benefici che ne derivano. In ogni caso, anche se il paziente ha inizialmente dichiarato il proprio consenso all’operazione sanitaria prospettata dal medico, potrà, in qualsiasi momento, revocare il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, come accade per la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, quindi anche in caso di interventi salva-vita.3 - Specificità e personalizzazione dell’informazione da richiedereDopo aver prospettato il contenuto dell’informazione medica, si deve sottolineare come non sia possibile determinare in via generale e astratta il puntuale e identico contenuto dei doveri informativi, tale da poter formare e creare un regime informativo valevole sempre ed in qualsiasi tipo di circostanza per ogni tipo di intervento medico. Infatti, non è possibile avere un unico livello di informazione, in quanto l’informazione assume connotati diversi e cangianti a seconda del tipo di intervento che si prospetta.Vi sono notevoli differenze perché nel caso in cui si sia in presenza di un semplice accertamento diagnostico o di una ordinaria visita medica, l’oggetto dell’informazione sarà basico e routinario, in quanto la situazione fattuale non presenta problemi relativi al calcolo rischi e benefici del trattamento o quello della rappresentazione di diagnosi e prognosi. Così come anche nel caso in cui si sia in presenza di accertamenti quotidiani, a seguito di una cura già prospettata e avviata dal paziente con il medico curante. In questo caso, trattandosi di una prestazione sanitaria ripetitività, ma anche eseguita su una pluralità di altri pazienti, nel caso in cui siano anche significativamente poco incidenti sulle condizioni psico-fisiche del paziente, in merito anche agli eventuali rischi ricadenti sullo stesso, l’attività d’informazione al trattamento richiederà un’attività meno intensa e specifica.A contrario, nel caso in cui il trattamento e le informazioni da rendere dovessero andare oltre la terapia, realizzando scopi diversi da quello della semplice guarigione dallo stato patologico, l’informazione allora avrà caratteri ancora sempre più specifici, dovendo completarsi ed integrarsi con contenuti atti a rendere l’informativa utile e completa. Per quanto riguarda le modalità dell’informazione, fondamentale è il linguaggio usato dal medico.Si ritiene che il linguaggio debba essere quanto più chiaro possibile, rispetto anche al livello culturale e la conoscenza e comprensione del paziente.Il medico deve fornire al paziente le conoscenze atte ed in grado di permettergli di percepire e accettare con piena consapevolezza le cure alle quali sottoporsi.Il dialogo non si deve arrestare al solo contenuto delle informazioni date dal medico ma si deve analizzare con cura il dialogo fra le parti. Ciò, quindi, implica che l’informazione non sia univoca ma deve consistere in una cooperazione fra le parti, quindi, in una conversazione fra le parti. Il paziente deve avere la possibilità di esprimere i suoi dubbi e le sue incertezze, al fine di poter ottenere maggiori informazioni sul proprio trattamento. È necessario che l’informazione sia anche personalizzata. Questa, infatti, dovrà essere regolata e proporzionata alla particolare situazione del paziente, risulta fondamentale che il medico conosca le condizioni del paziente, la sua situazione personale, familiare, lavorativa e relazionale, ma anche le sue esigenze e aspettative terapeutiche. L’informazione dovrà essere sempre onesta e veritiera, il medico deve utilizzare un linguaggio non traumatizzante e quindi usare sempre la massima sincerità e accortezza e, in caso di prognosi infausta, lasciare spazio, ove possibile, ad un margine di speranza per il paziente, in modo che quest’ultimo si possa autodeterminare in modo chiaro e libero da condizionamenti esterni. 4 - Il caso del bambino di Modena, fino a che punto può spingersi il principio di autodeterminazione?Il caso avvenuto a Modena, nel febbraio del 2022, ha avuto notevole risalto mediatico in tutta Italia. Trattasi del caso di un bambino di due anni, ricoverato all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, il quale necessitava con urgenza di un intervento chirurgico al cuore che a causa delle resistenze dei genitori, i quali si sono dichiarati contro alla trasfusione del sangue al piccolo da parte di donatori vaccinati al virus covid-19, ha comportato il serio rischio di poter procurare danni ingenti alla salute del bambino se non addirittura, condurlo alla morte.In questo caso si è di fronte allo scontro di due diritti fondamentali all’interno dell’ordinamento italiano. Da un lato, il diritto alla salute, diritto costituzionalmente garantito ex. art. 32; il cui portatore primario è il bambino di due anni che come documentato dai vertici medici dell’ospedale, necessità dell’intervento chirurgico programmato, e che lo stesso “non sia rinviabile"; occorrendo "procedere con urgenza al ricovero e all’intervento". Dall’altro lato, invece, vi è il diritto alla libera autodeterminazione al trattamento, unitamente al diritto alla libera professione della propria religione, in quanto oltre al timore del “sangue infetto”, come definito dai genitori del bambino, venivano addotte anche motivazioni religiose, le quali contrastano con l’eventuale donazione di sangue da parte di soggetti vaccinati. Tali motivazioni religiose si rinvengono sul presupposto per cui i genitori non accettano che al piccolo venga somministrato sangue di persone vaccinate con sieri che utilizzerebbero in fase sperimentale e/o di produzione cellule umane ricavate da feti abortiti volontariamente.A seguito della notizia ricevuta dall’ospedale, la Procura per i minorenni aveva presentato ricorso. Il tribunale oltre a sospendere in via provvisoria la potestà genitoriale alla madre e al padre, ha nominato curatore speciale la direttrice del policlinico.In questo caso, si è proceduto, come avviene normalmente in questi casi, ad un bilanciamento di interessi tra diritti costituzionalmente tutelati come quello alla salute da un lato e quello all’autodeterminazione e religioso dall’altro e tocca all’interprete, in questo caso il giudice, valutare nel caso concreto, quale interesse sia preminente a seguito del bilanciamento effettuato.Il giudice tutelare di Modena, sentite le ragioni del policlinico Sant'Orsola sulla necessità dell'intervento e sulla sicurezza del sangue, non risultando alcuna diversa ragione per temere, in caso di trasfusione di sangue da parte di soggetti vaccinati, ha ritenuto opportuno, tutelando in prima battuta la salute del bambino, dare l’assenso per il procedersi dell’operazione e della trasfusione del sangue.Nel caso in esame, l’interprete ha valutato sulla base di una serie di fattori, tra cui l’interesse preminente del minore, l’urgenza del trattamento terapeutico e l’infondatezza scientifica delle motivazioni avanzate dai genitori del minore che, valutate nel loro insieme, hanno permesso di legittimare la correttezza del trattamento sanitario ma allo stesso tempo, l’insussistenza delle rimostranze effettuate dai genitori.Più in generale, si può affermare che in caso di paziente in età adulta, il principio dell'autodeterminazione è decisivo in virtù dell’art. 32 della Costituzione, la quale impone che: "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".Per quanto riguarda i minori l'approccio è diverso. Nonostante in passato si fosse trovato un accordo in merito alla "Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati", che nel caso in cui non ci fosse stata una circostanza di urgenza e in uno stato di necessità, doveva essere una commissione di medici, tra i quali rappresentativi della professione religiosa in contrasto con il trattamento, a valutare il caso concreto, a considerare se esistessero possibilità di autotrasfusione o di tecniche medico-chirurgiche alternative e, infine, a decidere a maggioranza. La proposta, però, non è stata accolta, da parte della commissione redigente la norma.In ogni caso, oltre all’urgenza che caratterizzava la situazione in esame, la quale ha dato una spinta ulteriore per autorizzare l’ospedale, in caso di conflitto irrisolto tra genitori e autorità sanitarie si affida la decisione alla Procura presso il Tribunale dei minorenni. Questa, sospendendo temporaneamente la responsabilità genitoriale, dispone un provvedimento basato in via esclusiva su criteri medico-scientifici. Si può affermare che quanto è avvenuto per la vicenda del bambino di Modena, rientra nel corretto uso dei poteri del giudice relativamente al bilanciamento degli interessi e diritti costituzionalmente garantiti, come quello all’autodeterminazione e al trattamento sanitario.Editor: dott. Giuseppe Sferrazzo

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Il contratto di intermediazione finanziaria e il caso della nullità selettiva

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Il contratto di intermediazione finanziaria è quel contratto che permette di investire il proprio denaro per mezzo di strumenti finanziari, avvalendosi degli esperti di una banca o di una società di intermediazione. Una banca o un intermediario finanziario, infatti, deve obbligatoriamente proporre un contratto al proprio cliente così da iniziare a proporre soluzioni di investimento. È evidente, dunque, che si tratta di un contratto diffuso in particolare tra i soggetti investitori, ma che al contempo è stato oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali date le sue peculiarità.Natura giuridica e disciplina del contratto di intermediazione finanziaria Tutela del soggetto debole, il cd. outsiderIl contratto monofirmaIl problema della nullità selettiva1 - Natura giuridica e disciplina del contratto di intermediazione finanziariaIl contratto di intermediazione finanziaria è il contratto intercorrente tra intermediario e cliente, finalizzato ad effettuare investimenti nel mercato finanziario. È anche definito come “contratto-quadro”, proprio perché è quello che consente di concludere altri contratti di investimento specifici, sottoposti al primo.Tale peculiare struttura ha posto un primo problema riguardante proprio la natura giuridica da riconoscere al contratto in esame. Secondo una prima ricostruzione si tratta di un contratto cornice, cioè un contratto normativo volto a disciplinare i successivi contratti di investimento. Il contratto quadro, infatti, regola preventivamente il contenuto e le condizioni alle quali saranno effettuati i successivi singoli investimenti, che a loro volta saranno altri negozi giuridici, altri contratti.Tale ricostruzione consente di valorizzare l’autonomia decisionale del cliente: i singoli investimenti, avendo natura contrattuale, rientrano nella categoria dei negozi giuridici; categoria che valorizza le scelte autonome delle parti.Secondo una tesi minoritaria, invece, il contratto quadro è assimilabile al mandato; mentre i singoli ordini di investimento sarebbero atti di esecuzione del mandato, e non contratti. Si perde, dunque, il valore dell’autonomia decisionale dei clienti.Sembra prevalente la prima ricostruzione, tanto che la giurisprudenza ammette la risoluzione dei singoli ordini di investimento, e aggiunge anche che la risoluzione del singolo contratto di investimento non si estende agli altri. La disciplina del contratto quadro si trova nel TUF (d. lgs. n. 58/98), e questa richiede la forma scritta solo per il contratto quadro; non è richiesta per i singoli contratti di investimento in quanto sarebbe incompatibile con l’esigenza di speditezza dei traffici.Dalla normativa secondaria, in particolare dal regolamento della Consob, si desumono poi una serie di obblighi informativi in capo all’intermediario nei confronti del cliente: anche questo confermerebbe la natura negoziale dei singoli ordini di investimento. Inoltre, si dice anche che il contratto quadro è un contratto indeterminato e non fa riferimento ai singoli specifici strumenti finanziari. Anche per questo motivo si preferisce ricostruire la natura degli ordini finanziari in termini negoziali.Il collegamento negoziale si ritiene sussista solo tra il contratto quadro (a monte) e il singolo contratto di investimento (a valle), non invece anche tra i singoli contratti di investimento – l’uno è autonomo dall’altro. Si aggiunge che gli ordini di investimento, costituendo dei singoli contratti, possono essere inquadrati all’interno del contratto di vendita o in altri casi di mandato. In ogni caso, risolto un singolo contratto a valle di investimento, la risoluzione di questo non si estende agli altri.2 - Tutela del soggetto debole, il cd. outsiderNel caso di contratto di intermediazione finanziaria si ha da un lato l’investitore e dall’altro lato il cliente (es. assicurazione e assicurato; banca e cliente). Il soggetto debole è detto outsider, compie quell’atto per uno scopo che può anche essere professionale ma è estraneo alla specifica professione svolta. È un soggetto diverso dal cd consumatore; ma in ogni caso si ritiene che permanga la distinzione tra cd. secondo e terzo contratto. Nel caso del contratto di intermediazione finanziaria, ove quindi si ha un soggetto debole cd. outsider (e non il consumatore) si rientra comunque nel secondo contratto. Alcune garanzie del consumatore vengono estese anche al cliente outsider, perché in entrambi i casi vi è un problema di asimmetria informativa. Invece nel terzo contratto (tra impresa debole e impresa forte) non vi è asimmetria informativa, ma invece una asimmetria economica: l’impresa debole è informata, ma conclude il contratto perché non ha alternative soddisfacenti nel mercato.Tra le garanzie che sono riconosciute anche al cliente outsider di sicuro vi è la cd. nullità di protezione, cioè la nullità a legittimità relativa. Solo il soggetto debole, in questo caso il cliente, può farla valere. Persino quando si tratta di rilevazione d’ufficio, il giudice può solo limitarsi a rilevarla ma non  può dichiararla: deve informare le parti della possibile nullità, e il consumatore può opporsi a che venga dichiarata.3 - Il contratto monofirmaL’art. 23 TUF prescrive che il contratto di intermediazione finanziaria rivesta forma scritta e prevede anche che una copia dello stesso venga consegnata al cliente. Nei casi di inosservanza, il contratto è nullo; come già visto, la nullità è una nullità di protezione e infatti il terzo comma dell’art. 23 prevede che la nullità possa essere fatta valere solo dal cliente.Potrebbe accadere che nella stipulazione del contratto non vi sia la firma del soggetto intermediario, quindi del cd. soggetto forte (la banca, ad esempio), ma sia presente solo la firma del cliente.Ci si è chiesti se in questo caso il soggetto outsider possa far valere la nullità del contratto di intermediazione finanziaria, o meno.Il problema, in particolare, si è posto perché in questo modo si potrebbe avere un utilizzo abusivo dello strumento di nullità di protezione da parte del cliente: potrebbe stipulare il contratto quadro, valutare l’andamento delle operazioni di investimento, e solo in un secondo momento, nel caso in cui le operazioni siano andate male, sollevare la nullità del contratto per assenza di forma perché manca la sottoscrizione dell’intermediario.È intervenuta la giurisprudenza della Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 898/2018), la quale ha evidenziato quale fosse la ratio della nullità per assenza di forma prevista dall’art. 23 TUF: trattasi di nullità per difetto di forma posta nell'interesse esclusivo del cliente, intesa ad assicurare a quest'ultimo, da parte dell'intermediario, la piena indicazione degli specifici servizi forniti, della durata e delle modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni, della periodicità, contenuti e documentazione da fornire in sede di rendicontazione ed altro come specificamente indicato. Come già visto, è l'investitore che è soggetto debole e quindi necessita di conoscere e di potere verificare nel corso del rapporto il rispetto delle modalità di esecuzione e le regole che riguardano la vigenza del contratto.Se questa è la ratio, ne deriva che è irrilevante la sottoscrizione dell’intermediario sul contratto quadro, quando questo è stato firmato dall'investitore (soggetto debole) ed una copia gli è stata pure consegnata. La forma in questo caso è una forma funzionale ad informare il cliente: si tratta di forma contenuto, veicolo di alcune informazioni. Se lo scopo della forma è quello di far conoscere queste informazioni sul contenuto del contratto alla parte debole, il fatto che sia presente o meno la sottoscrizione dell’intermediario è del tutto irrilevante. Questa nullità viene equiparata a quella prevista dall’art. 156 c.p.c. – la nullità non può essere pronunciata se l’atto ha comunque raggiunto lo scopo (e quindi quella di informare).Parte della dottrina ha criticato questa ricostruzione evidenziando che se si parla di forma scritta, la declinazione elementare della forma scritta è quella della scrittura privata (art. 2702 cc), la quale si caratterizza per il fatto che le sottoscrizioni di entrambi i contraenti siano formate per iscritto, altrimenti non si ha forma scritto. La dottrina ritiene che in realtà si poteva arrivare alla medesima soluzione facendo riferimento non tanto ad una forma dell’atto, quanto invece ad un obbligo di informazione per iscritto sul contenuto contrattuale. La sottoscrizione del cliente viene richiesta perché vale quale prova dell’avvenuta accettazione e consegna del contratto ex art. 23 TUF: se l’intermediario è obbligato a informare il cliente, l’assenza della sua firma non è causa di nullità, perché il compito dell’intermediario finanziario è solo quello di informare il cliente.4 - Il problema della nullità selettivaÈ il caso in cui il soggetto cliente abbia stipulato il contratto quadro, abbia fatto poi più operazioni di investimento, e infine decida di far valere la nullità del contratto quadro solo per alcuni dei contratti di investimento; ad esito quindi della valutazione dell’andamento delle varie operazioni.Gli interessi che vengono in rilievo sono, da un lato, la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e, dall’altro lato, la tutela del risparmio (art. 47 Cost.).Secondo parte della dottrina è possibile ammettere tale nullità selettiva: l’art. 23 TUF prevede che la nullità è di protezione e quindi il cliente non solo può scegliere se far valere o meno la nullità, ma anche se avvalersi della nullità in relazione a tutti o solo ad alcuni strumenti.Ci si è chiesti, quindi, se la banca possa in via riconvenzionale far valere la nullità in generale, e quindi di tutti i contratti di investimento.In merito sono state sostenute due tesi:secondo una prima tesi, non è data tale possibilità alla banca, perché altrimenti non sarebbe più una nullità di protezione e a legittimazione relativa. Permettere alla banca di far valere la nullità in generale sarebbe del tutto elusivo rispetto alla disciplina delle nullità di protezione. La banca, piuttosto, potrebbe chiedere la compensazione delle somme spettanti al cliente a fronte della nullità dei contratti di investimento considerati nulli e delle somme ricevute. Potrebbe chiedere tale compensazione solo per quegli specifici contratti nulli, quindi verso i quali il cliente ha fatto valere la nullità di protezione.A sostegno di tale tesi si evidenzia anche che se così non fosse il cliente non farebbe mai valere la nullità di protezione. Infatti, se dovesse farla valere nei confronti di tutti gli strumenti di investimento la farebbe valere solo quando tutti i contratti di investimento vanno male; altrimenti sarebbe svantaggioso per lui.Inoltre, la nullità ha anche una funzione deterrente perché vuole evitare che l’investitore finanziario possa nel futuro con altri clienti non ottemperare ai requisiti di forma richiesti (art. 47 Cost.)Secondo una diversa tesi, è vero che la banca non può in via riconvenzionale far valere la nullità di tutti i contratti di investimento, perché altrimenti verrebbe eluso l’art. 23 TUF nella parte in cui prevede la legittimazione relativa, ma vi è un altro rimedio che discende dai principi generali a favore della banca: se il cliente estende la nullità soltanto ad alcuni ordini di investimento, la banca potrà eccepire l’exceptio doli, cioè il rimedio di carattere generale avverso l’esercizio abusivo di un diritto, cui segue la sterilizzazione dell’azione altrui.Si ritiene che vi sia un abuso del diritto da parte del cliente nei casi in cui vi è malafede: per esempio, quando il cliente ha consentito all’apporre una firma falsa e poi si è lamentato della stessa. Non è possibile dire che vi è un abuso ogni qualvolta il cliente sceglie di estendere la nullità ai soli contratti andati male. Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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