Egregio Avvocato
Pubblicato il 1 set. 2021 · tempo di lettura 5 minuti
In questo momento storico costellato dalle discussioni inerenti l’approvazione del Disegno di Legge a firma dell’Onorevole Alessandro Zan recante “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, è opportuno esaminare la prima effettiva normativa introdotta nell’ordinamento italiano per il riconoscimento di alcuni diritti per le coppie omosessuali.
1 - L’evoluzione giurisprudenziale in assenza di una normativa di riferimento
La disciplina sulle unioni civili è, ormai, da cinque anni presente all’interno del nostro ordinamento giuridico.
Infatti, la Legge n. 76/2016, recante regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, costituisce certamente il risultato di un lungo iter travagliato, stante l’iniziale reticenza nel riconoscimento giuridico dei cosiddetti nuovi modelli familiari.
Difatti, l’istituto del matrimonio è, per così dire, riservato alle coppie eterosessuali, come espressamente risultante dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 12) e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (art. 16, n. 1), e per come implicitamente confermato dal codice civile italiano che fa riferimento a marito e moglie.
Anche la convivenza more uxorio sino a non molto tempo fa è stata concepita, in dottrina e in giurisprudenza, esclusivamente tra persone di diverso sesso.
L’evoluzione dell’istituto è stata possibile proprio grazie alla giurisprudenza che ha consentito di aprire prospettive per la tutela delle convivenze omosessuali ben prima che intervenisse il legislatore.
Di particolare importanza è la sentenza n. 138 del 15 aprile del 2010, con cui la Corte costituzionale ha chiarito che l’art. 2 della Costituzione dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, stabilendo altresì che per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico e che in tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.
2 - Cosa prevede la c.d. Legge Cirinnà?
Finalmente nel 2016 è entrata in vigore l’auspicato intervento legislativo sul tema.
La Legge n. 76/2016 consta di un unico articolo composto da una pluralità di commi.
Il comma 1 definisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso come specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione.
Ma come è possibile costituire un’unione civile?
Il comma 2 stabilisce che possono costituire un’unione civile due persone maggiorenni dello stesso sesso, mediante una dichiarazione dinanzi ad un ufficiale di stato civile e alla presenza di almeno due testimoni.
Tale disposizione va comunque integrata con quanto dettato dal Decreto Legislativo n. 5/2017 recante norme di adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alla nuova disciplina delle unioni civili, il quale ha introdotto gli articoli 70 bis – 70 quinquesdecies del Decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000. Ne consegue che la costituzione dell’unione civile avvenga mediante l’iscrizione del relativo atto, sottoscritto dalle parti, dai testimoni e dall’ufficiale di stato civile, nel registro delle unioni civili.
Il legislatore, tuttavia, non ha optato per l’introduzione dell’istituto del matrimonio tra persone dello stesso sesso, come avvenuto in passato in alcuni altri Stati, preferendo regolamentare le unioni civili. Ciò è confermato dal mancato richiamo all’articolo 29 della Costituzione, secondo cui la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Con l’istituto del matrimonio, in ogni caso, le unioni civili condividono diverse norme. In primis, le norme che dettano le cause impeditive, quali:
3 - Come sono disciplinati i rapporti personali, patrimoniali e successori?
Sebbene i due istituti non possano essere del tutto equiparati, la Legge Cirinnà opera un forte richiamo alle norme sul matrimonio dettate dal codice civile, per quel che riguarda i rapporti personali, patrimoniali e successori.
In primis, per quanto concerne i rapporti personali tra gli uniti civilmente, il comma 11 dell’unico articolo della Legge 76/2016 ricalca (quasi) fedelmente quanto prevede l’articolo 143 del codice civile, rubricato Diritti e doveri reciproci dei coniugi.
Difatti, con l’unione civile sorgono reciproci obblighi all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione e alla contribuzione ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze. Tuttavia, manca il richiamo all’obbligo di fedeltà e di collaborazione nell’interesse della famiglia.
Per quanto riguarda, in secondo luogo, i rapporti patrimoniali, il comma 13 dell’articolo 1, dopo aver imposto il regime patrimoniale legale – vale a dire quello della comunione – effettua un rinvio puro e semplice alla disciplina codicistica dettata per l’istituto matrimoniale.
Infine, anche dal punto di vista successorio, la disciplina di cui al comma 21 Legge Cirinnà rinvia alle norme del codice civile, in particolare per quel che riguarda l’indegnità, la tutela dei legittimari, la disciplina sulle successioni legittime, la collazione e il patto di famiglia.
4 - È possibile sciogliere un’unione civile?
La risposta è certamente affermativa.
Ai sensi del comma 22, l’unione civile tra persone dello stesso sesso, infatti, come il matrimonio, si scioglie ope legis nell’ipotesi in cui sia dichiarata la morte presunta di una delle parti. Il successivo comma 23 fa, poi, espresso rinvio alla Legge n. 898/1970, recante la disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio (c.d. Legge sul divorzio).
Ipotesi particolare è prevista dal comma 24, secondo cui l’unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell’unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione.
Va, infine, ricordato che il procedimento di scioglimento dell’unione civile è regolato mediante il rinvio alla procedura del divorzio.
Editor: avv. Marco Mezzi
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Egregio Avvocato
16 mar. 2022 • tempo di lettura 2 minuti
L'infedeltà di uno o di entrambi i coniugi è, forse, la più conosciuta vexata quaestio del nostro Ordinamento in tema di diritto di famiglia. Con l'introduzione dell'istituto del divorzio nel nostro Ordinamento, il Legislatore ha scelto come parametro decisorio il concetto di "addebito", intendendosi con questo termine la valutazione in capo al Giudice a chi fosse attribuibile il fallimento della comune vita coniugale. Già dall'indomani della riforma, la Giurisprudenza si è dovuta confrontare proprio con il tradimento coniugale quale causa di addebito della separazione. Comunemente, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una grave violazione, che, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, è generalmente sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile. Tuttavia, recentissime pronunce della Cassazione hanno evidenziato la necessità di un nesso di causalità tra infedeltà e crisi coniugale: in altre parole, attraverso una rigorosa valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, bisogna escludere senza possibilità di dubbio alcuno la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. In questo caso, infatti, l'infedeltà sarebbe solo il risultato (e non la causa) di una frattura tra i coniugi che ha avuto origine in un momento precedente. Il concetto di fedeltà coniugale va comunque inteso in senso lato, non solamente collegato al'aspetto sessuale: infatti, può ben accadere che una relazione anche senza risvolti sessuali possa assumere connotazioni intime tali da renderla incompatibile con gli obblighi nascenti dal matrimonio. Secondo la moderna interpretazione giurisprudenziale, infatti, l'infedeltà - qualunque forma essa abbia - rappresenta una lesione di un diritto dell'altro coniuge, ovverosia il diritto alla dignità e all'onore del partner tradito,che, come tali, rappresentano un bene tutelato dal nostro Ordinamento. Proprio per questo, l'aspetto sessuale del tradimento passa, oggi, in secondo piano: una relazione extra coniugale esternata per mezzo di social network è, indipendentemente dal mero rapporto fisico, indice non solo di un disinteresse da parte del soggetto agente ma rappresenta anche una lesione dell'onore e della dignità del coniuge "tradito" (ex plurimis, Cass. 1136/2020). Alla luce di quanto detto, è pertanto opportuno, in caso di infedeltà coniugale, confrontarsi subito con un professionista esperto della materia, evitando soluzioni "fai da te" che, per assurdo, potrebbero persino avere spiacevoli conseguenze per via della violazione di diritti alla privacy. Per quanto triste possa essere il fallimento di un matrimonio, è opportuno non perdere la calma, trovando la soluzione migliore per tutelare i propri interessi ed il proprio onore. Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo Matrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore
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27 nov. 2024 • tempo di lettura 3 minuti
Spesso si sente parlare di affidamento paritetico, ma non a tutti è ben chiaro il significato e la portata di un tale concetto. Oggi vogliamo approfondire tale problematica alla luce di recenti statuizioni giurisprudenziali.Preliminarmente, occorre chiedersi se, da un punto di vista giurisprudenziale e, soprattutto, umano sia possibile permettere ad un minore di vivere alternativamente col padre e con la madre. La Giurisprudenza appare profondamente divisa sul punto: alcuni Tribunali sembrano accordarla "laddove ve ne siano le condizioni di fattibilità e, quindi, tenendo sempre in considerazione le caratteristiche del caso concreto (quali l’età del minore, gli impegni lavorativi di ciascuno dei genitori, la disponibilità di un’abitazione dignitosa per la crescita dei figli, ecc...)” (Trib. Catanzaro, 28 /02/ 2019 n. 443). Al riguardo, si osserva che il collocamento del minore presso entrambi i genitori, in modo paritetico, rispetta il principio della bigenitorialità e tiene conto in via prioritaria delle esigenze della figlia (Tribunale Roma sez. I, 26/03/2019, n.6447).Recentemente, il Tribunale di Palermo, con una storica sentenza (Trib. Palermo, 26/01/2024) ha dato un'interpretazione particolare ed interessante, stabilendo che “l’articolo 337 ter del codice civile non si riferisce esclusivamente all’affidamento legale condiviso ma anche alla custodia fisica condivisa, lasciando quindi propendere per la preferibilità del collocamento paritetico” ed accogliendo in tal modo le richieste formulate dallo stesso minore capace di discernimento. La decisione ha fatto molto discutere non solo perché per la prima volta, in Sicilia i giudici hanno riconosciuto l’affidamento paritario, ma anche e soprattutto perché la decisione è stata motivata con un'interpretazione estensiva dell'art. 337 c.c., aprendo e porte ad un dibattito dottrinario e giurisprudenziale che non accennerà a placarsi nei mesi a venire.Parimenti, però, alcuni Giudici di merito hanno rilevato che " la proposta di doppio domicilio presso le abitazioni dei genitori con un regime di frequentazione paritario ed alternato non corrisponde all’esigenza di serenità dei minori assicurata dalla sicurezza di avere un ambiente di vita stabile e duraturo che solo la permanenza presso la casa familiare dove i minori hanno vissuto finora può garantire.” (Tribunale Velletri sez. I, 06/05/2020, n.680) In altre parole, l'affido paritetico "non appare confacente all’interesse supremo dei minori ad avere un unico e stabile domicilio.” (Tribunale Velletri sez. I, 06/05/2020, n.680). Recentemente, la Suprema Corte (Cass. 24 febbraio 2023, N. 5738) ha sottolineato che "le statuizioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, non possono fondarsi su una ratio implicita o essere desunto per relationem come effetto automaticamentediscendente da altre disposizioni giudiziali quali quella sul diritto di visita paritetico, richiedendouna specifica ed autonoma valutazione dell’interesse del minore in relazione alla sua adozione e al suo contenuto prescrittivo". Questo è, appunto, ciò che noi abbiamo sempre sostenuto sia nelle aule di Tribunale che nei dibattiti dottrinari cui siamo intervenuti. In altre parole, solo in casi concreti e specifici l'affido paritetico può essere disposto e, in ogni caso, a condizione che esso soddisfi i reali interessi del minore, e non, invece, il desiderio degli ex partner. Resta da vedere se questo orientamento di parte della Giurisprudenza di merito e di legittimità verrà condiviso unanimemente. L'affido condiviso, poi, comporta anche interessanti conseguenze in merito all'assegno di mantenimento. Di questo, però, ce ne occuperemo in altra sede.
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22 nov. 2021 • tempo di lettura 5 minuti
La promessa di matrimonio, in assenza di una definizione legislativa, si identifica nel c.d. fidanzamento ufficiale ed è qualificabile come la dichiarazione reciproca di due soggetti di sesso diverso di volersi frequentare con il serio intento di sposarsi.Il codice civile dedica alla promessa di matrimonio tre soli articoli 79 – 81 dai quali si evince che la promessa di matrimonio non è un contratto e non costituisce un vincolo giuridico tra le parti in quanto non obbliga il promittente né a contrarre matrimonio né a eseguire ciò che è stato convenuto in caso di mancato adempimento della promessa.L’ordinamento giuridico tutela la libertà matrimoniale ma comunque prende in considerazione la situazione di chi ha sostenuto spese ed assunto obblighi a causa della promessa di matrimonio ponendo a carico del promittente determinate conseguenze.La forma della promessaLa rottura della promessaLo scambio dei doni fatti in occasione della promessa e la restituzione degli stessi in caso di rotturaIl risarcimento del danno come conseguenza della rottura della promessa1 – La forma della promessaQuanto alla forma della promessa, la legge individua due specifiche fattispecie: quella solenne e quella semplice.La promessa è solenne (c.d. sponsali) se fatta: a) con un impegno assunto vicendevolmente da persone di maggiore età, o da soggetti minori emancipati ammessi a contrarre matrimonio; b) per atto pubblico o scrittura privata autenticata oppure se risulta dalla richiesta di pubblicazione del matrimonio.In caso di rottura della promessa solenne, si generano determinati effetti patrimoniali come la restituzione dei doni e il risarcimento del danno.La promessa, invece, è semplice quando è qualificabile come mero fatto sociale priva dei requisiti di forma e di capacità con la quale si manifesta la volontà di unirsi in matrimonio, in caso di rottura è ammessa solo la restituzione dei doni. 2 – La rottura della promessaIl nostro ordinamento tutela e protegge al massimo livello la libertà matrimoniale motivo per il quale il promittente, sino al momento della celebrazione, può decidere di non voler contrarre matrimonio.Il recesso senza giustificato motivo non è assoggettato ai principi generali in tema di responsabilità civile, al fine di non esercitare alcuna pressione, neppure indiretta, sul promittente nel caso il legame sia diventato non più voluto.Tuttavia tale recesso senza un giustificato motivo produce il venir meno della parola data e dell’affidamento creato nel promissario proprio in virtù della solennità della promessa.Si verifica, dunque, una violazione delle regole di correttezza e auto responsabilità motivo per il qualedalla rottura della promessa possono derivare particolari effetti patrimoniali a carico di colui che infrange la promessa di un’obbligazione ex lege, il quale sarà tenuto a rimborsare alla controparte quanto meno l’importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio, oltre la restituzione dei doni e il risarcimento del danno. Ad esempio sono risarcibili le spese provate dalla nubenda relative sia dell’abito da sposa e sia degli arredi e dei lavori di ristrutturazione effettuati nella casa del futuro sposo, scelta quale casa coniugale.3 - Lo scambio dei doni fatti in occasione della promessa e la restituzione degli stessi in caso di rotturaCon la promessa di matrimonio spesso i futuri sposi si scambiano dei doni i c.d. doni prenuziali, considerati dalla tesi prevalente delle donazioni soggette ai requisiti di sostanza e di forma previsti dalla legge.Sono esempi di doni prenuziali il finanziamento e le opere di ristrutturazione di un immobile da destinare a futura residenza familiare, l’anello, anche se di notevole valore, regalato dal fidanzato alla fidanzata e le somme elargite per ristrutturare l’immobile del futuro coniuge, da adibire a casa coniugale. Dai doni prenuziali è necessario distinguere le donazioni obnuziali, fatte in vista del futuro matrimonio, che si perfezionano solo con la celebrazione delle nozze, senza bisogno di accettazione.Come innanzi detto, dalla rottura della promessa possono derivare particolari effetti patrimoniali come la restituzione dei doni.Nel momento in cui il matrimonio non viene contratto, il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa (art. 80 c.c.) senza che rilevino le cause del mancato matrimonio.La restituzione è ammessa in relazione a qualsiasi tipo di promessa di matrimonio (solenne o semplice) sia tra persone capaci, sia tra minori non autorizzati.La domanda di restituzione dei doni può essere presentata da ciascuno dei promittenti e deve essere accolta a prescindere dalle cause della rottura.Tale domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro un anno dalla rottura della promessa o dal giorno della morte di uno dei promittenti. 4 - Il risarcimento del danno come conseguenza della rottura della promessaIn caso di inadempimento della promessa solenne, il promittente è tenuto a risarcire il danno se rifiuta di contrarre matrimonio o se il suo comportamento colposo giustifica il rifiuto dell’altro a celebrare le nozze (art. 81 c.c.).Il risarcimento del danno, in questo caso, si qualifica come una particolare forma di riparazione collegata direttamente dalla legge alla rottura del fidanzamento senza giustificato motivo che va a tutelare l’affidamento incolpevole di una parte nella promessa infranta.La domanda è proponibile entro il termine di decadenza di un anno dalla rottura della promessa e la prova del decorso del tempo è a carico di chi eccepisce l’estinzione del diritto della controparte.Inoltre, chi chiede il risarcimento deve provare il nesso di casualità esistente tra le spese sostenute o le obbligazioni assunte e il futuro matrimonio. Il danno risarcibile è quello causato all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa della promessa, pertanto, le spese risarcibili sono solo quelle successive alla promessa solenne e non quelle anteriori.Editor: avv. Elisa Calviello
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8 feb. 2025 • tempo di lettura 1 minuti
Con l’Ordinanza n. 7757 del 08.04.2020 la Sezione III Civile della Suprema Corte di Cassazione ha confermato che, in materia di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo della stampa, la verità dei fatti narrati, legittimante il diritto di cronaca e di critica, non è scalfita da inesattezze secondarie o marginali che non siano in grado di alterare la portata informativa dell’articolo rispetto al soggetto al quale sono riferibili. Il giudizio sulla rilevanza giuridica di tali inesattezze, ossia sulla loro idoneità a diffamare, non costituisce accertamento in fatto ma giudizio di valore.Articolo pubblicato su Nuove Frontiere Diritto (ISSN 2240-726X). Clicca qui per leggere l'articolo
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