Avv. Elisa Calviello
Riferimenti normativi: art. 337 ter c.c., Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, Convenzione di New York del 1989, Convenzione di Strasburgo del 1996.
Sentenza in commento: Tribunale Torre Annunziata, 06/04/2020, (ud. 06/04/2020, dep. 06/04/2020).
Con ricorso depositato il 17.03.2020, ai sensi dell’art. 4 comma 8 legge 898/1970, dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata la ricorrente P.A. chiedeva di “sospendere temporaneamente e sino alla cessazione dell’emergenza sanitaria in essere, le visite tra padre e la figlia minore A., affetta da grave patologia dello spettro autistico, restando assicurata una videochiamata ogni giorno e la possibilità di recuperare le visite perse non appena sarà possibile”.
A fondamento della propria richiesta la ricorrente P.A. evidenziava l’esigenza di tutela della salute della minore e l’esigenza di riduzione del rischio di contagio in virtù delle misure emergenziali previste dalla disciplina statale (d.p.c.m del 09.03.2020) e dall’ordinanza emessa del Presidente della Regione Campania n. 15/2020.
Inoltre la ricorrente P.A. dava atto della sospensione delle attività del Centro Serapide (ove la minore di reca a fare riabilitazione e incontra il padre una volta a settimana) e del Polo per la famiglia preso la IV Municipalità di Napoli ( dove A. incontra il padre una volta a settimana).
Il resistente S.A., costituendosi in giudizio, si opponeva a tale richiesta sottolineando il benefico psico - fisico che la figlia trae dagli incontri con il padre e che lo stesso non esporrebbe mai la figlia A. a nessun pericolo di contagio “limitandosi a prelevare la figlia dal suo domicilio per condurla a casa sua senza alcun rischio”.
Il diritto di visita del convenuto S.A. e la figlia minore A. veniva disciplinato con l’ordinanza del 10.03.2019 prevendo la facoltà per il padre di vedere e tenere con sé la figlia per due volte al mese, a settimana alterne, una volta il sabato ed una volta la domenica, liberamente, per tre ore dalle 15.30 alle 18.30 alla presenza della nonna paterna o di altre persone di fiducia.
Può il diritto di visita del genitore non collocatario essere sospeso per ragioni sanitarie per tutto il periodo emergenziale causato dal Covid 19?
Il Tribunale rigettava la richiesta di sospensione delle visite del padre S.A. con la minore A. avanzata dalla ricorrente P.A. autorizzando il resistente ad effettuare le visite per tutto il periodo emergenziale causato dal Covid 19.
Alla luce dei decreti legge e dei DPCM che si stanno susseguendo al fine di evitare il diffondersi del contagio del Covid 19, il Governo ha avuto modo di chiarire che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti della separazione o divorzio” (cfr. FAQ sul sito del Governo).
Nel caso di specie il Giudice esaminava anche l’ordinanza n. 15 del 13.03.2020 con la quale il Presidente della Regione Campania precisava che sono considerate situazioni di necessità ( che legittimano spostamenti temporanei ed individuali), quelle correlate ad esigenze primarie delle persone.
Il Giudice sulla base dei predetti interventi governativi considerava leciti gli spostamenti finalizzati all’attuazione della frequentazione da parte del figlio minore con il genitore non collocatario.
Il generico riferimento all’emergenza sanitaria non può comprimere il diritto del figlio a godere di congrua frequentazione con entrambi i genitori dove tale frequentazione con il genitore non collocatario è fondamento essenziale all’equilibrio psico – fisico del minore.
È compito dei genitori garantire regolari rapporti genitoriali ai minori al fine trasmettere agli stessi fiducia e serenità anche con riferimento alle relazioni effettive con i propri genitori.
In questo periodo di restrizioni e cautele la decisione adottata dal Tribunale di Torre Annunziata è abbastanza significativa nella parte in cui va a tutelare il diritto alla bi-genitorialità che assume rilievo nell’ordinamento costituzionale interno e nell’orientamento internazionale.
Nel caso di specie il Tribunale ha attuato una particolare e delicata operazione di bilanciamento degli interessi in gioco dove i valori di riferimento potenzialmente confliggenti sono rappresentati, da un lato, dal diritto alla bi-genitorialità del minore, e, dall’altro, dal diritto alla salute.
Nel momento in cui cessa la relazione affettiva e quindi la convivenza tra i genitori, il figlio minore, ai sensi dell’articolo 337 ter c.c., ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Il diritto alla bi-genitorialità può essere compresso solo in presenza di oggettive e specifiche ragioni di tutela della salute proprie del caso di specie (per esempio in considerazione della specifica attività lavorativa del genitore, ovvero dalla provenienza da zone “rosse” o da contesti abitativi esposti in misura rilevante al pericolo di contagio, ovvero dall’utilizzo di mezzi di trasporto pubblici per raggiungere il minore).
In un periodo di attuale emergenza sanitaria i minori sono i soggetti più vulnerabili e maggiormente colpiti dalle misure per contenere il contagio Covid – 19.
Basti pensare alla chiusura delle scuole unitamente all’interruzione di tutte quelle attività extra scolastiche che un minore compie quotidianamente oltre al divieto di incontrare parenti ed amici.
È necessario, dunque, in un periodo delicato di restrizioni e cautele, garantire ai minori regolari rapporti genitoriali al fine di trasmettere fiducia e serenità agli stessi.
Sarà compito dei genitori, nell’esercizio della loro responsabilità genitoriale, individuare le misure adeguate alla tutela della salute della prole nel momento in cui viene esercitato il diritto di visita del genitore non collocatorio.
Uno dei doveri del genitore collocatario è proprio quello di favorire il rapporto tra i figli e l’altro genitore evitando di porre in essere comportamenti inspiegabilmente ostruzionisti o limitativi quali ad esempio l’istaurazione di giudizi di modifica delle condizioni di separazione o divorzio in merito ai provvedimenti di affidamento o collocamento dei minori.
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16 set. 2021 • tempo di lettura 3 minuti
Un bene oggetto di pignoramento può essere venduto in una trattativa privata. Questa è la posizione della dottrina e della giurisprudenza prevalenti, le quali ammettono la circolazione dei beni pignorati purché ciò avvenga nel rispetto della disciplina processuale e delle tutele a garanzia dei creditori e dei potenziali acquirenti.1. Cosa si intende per “bene pignorato”?2. Posso vendere un bene pignorato? 3. Quali sono le tutele dei creditori e dell’acquirente? 1 - Cosa si intende per “bene pignorato”?Un “bene pignorato” è un bene, mobile o immobile, sottoposto a pignoramento ai sensi degli artt. 491 e seguenti del Codice di Procedura Civile; quando oggetto sono beni immobili si parla di pignoramento immobiliare. Il pignoramento è l’atto formale con cui si apre la cd. espropriazione forzata, volta a sottrarre la disponibilità di un bene al suo proprietario al fine di tutelare le pretese creditorie. Il debitore, infatti, ai sensi dell’art. 2740 c.c. risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (cd. garanzia patrimoniale generica), pertanto, allorquando il medesimo si rende inadempiente nei confronti del creditore, questi, ha diritto di chiedere all’autorità giudiziaria un provvedimento a garanzia del suo credito. In altri termini, in caso di inadempimento, determinati beni del patrimonio del debitore possono essere espropriati e convertiti in denaro tramite la vendita ai pubblici incanti, o altre procedure, al fine di soddisfare i creditori. Il pignoramento crea, dunque, un vincolo giuridico sui beni del debitore, tanto che l’art. 2913 c.c. stabilisce che gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento “non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione”. 2 - Posso vendere un bene pignorato? Si, un bene pignorato può comunque essere oggetto di trattativa tra privati.Infatti, la dottrina prevalente, avallata dall’unanime giurisprudenza, interpreta il predetto articolo 2913 c.c. come un’inefficacia relativa degli atti di alienazione. Gli atti di alienazione eventualmente posti in essere dal debitore non sono nulli ma validi, benché inopponibili ai creditori procedenti fino a che non si estingua la procedura esecutiva.Il debitore può, quindi, alienare i beni pignorati e porre in essere un atto di disposizione di per sé valido, tuttavia, lo stesso non sarà opponibile ai creditori (procedenti o successivamente intervenuti nel procedimento esecutivo) che ben potranno, al termine della procedura, soddisfare le proprie ragioni sui beni alienati – a danno dell’avente causa.3 - Quali sono le tutele dei creditori e dell’acquirente? Se dunque non sono nulli gli atti di alienazione dei beni pignorati, la prassi ha comunque cercato soluzioni operative per consentirne una corretta circolazione. La soluzione è nel coinvolgimento dei creditori alla trattativa privata. Difatti, oltre alla stipula dell’atto direttamente in Tribunale, la prassi adotta lo schema dell’atto sospensivamente condizionato all’estinzione del procedimento. Esso consiste in un primo atto di alienazione del bene, registrato e trascritto, i cui effetti sono sottoposti alla condizione sospensiva dell’estinzione della procedura innanzi al Giudice dell’esecuzione, e un secondo atto, anch’esso da registrarsi ed annotarsi al primo, nel quale si accerta e si dichiara l’avveramento dell’evento dedotto e l’efficace trasferimento della proprietà a favore dell’acquirente. L’estinzione della procedura esecutiva, evento necessario per l’efficacia della vendita, non potrà che realizzarsi con la collaborazione dei creditori istanti o intervenuti, i quali dovranno rinunciare alla stessa verosimilmente a fronte del soddisfacimento del loro debito: ad esempio ricevendo parte del prezzo appositamente depositato in via fiduciaria.Editor: dott.ssa Flavia Carrubba
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Egregio Avvocato
28 ago. 2024 • tempo di lettura 3 minuti
Un tema molto dibattuto nelle aule di Tribunale riguarda l'accordo su specifiche cure mediche per i figli, in caso di contrasto tra i genitori. Il problema si è acuito particolarmente con riguardo ai vaccini COVID, su cui sono nati insanabili contrasti negli anni appena trascorsi.In genere, possiamo affermare che, in caso di contrasto tra genitori in merito alle cure mediche da somministrare al figlio minore, prevale il genitore che predilige la medicina tradizionale prescritta dall’ospedale, rispetto a quello che intende sottoporre la figlia a cure omeopatiche. La vicenda è stata analizzata dal Tribunale di Roma negli anni passati (Trib. Roma, 16.02.2017).In quel caso, il Giudice, constatati gli effetti negativi che si potevano ripercuotere sul minore a causa del conflitto tra i genitori, aveva disposto che lo stesso fosse sottoposto immediatamente alle cure di medicina tradizionale prescritte dall’ospedale, altresì autorizzando il genitore più diligente a prenotare le visite in regime di intramoenia, recandosi agli appuntamenti anche in assenza dell’altro, con suddivisione delle spese in parti uguali; in caso di disaccordo, inoltre, aveva autorizzato uno solo dei due a sottoscrivere i necessari consensi per sottoporre il minore ad accertamenti o a cure disposte dai sanitari dell’ospedale pediatrico presso il quale era stato visitato La decisione del Giudice di prime cure appare basata, essenzialmente, sul diritto alla salute, costituzionalmente garantito dall'Art. 32 Cost, che "rappresenta un diritto di qualunque individuo, indipendentemente dall’età e dalle condizioni personali" (Cass. 18 giugno 2012, n. 9969). Per «diritto alla salute» si intende il diritto del singolo di "trovarsi in una situazione di complessivo benessere fisico e psichico" (quindi, non solo il diritto di ottenere cure in caso di malattia) cosicché, esso salvaguarda situazioni diverse ed eterogenee. Il «diritto alla salute» rientra tra i c.d. «diritti inviolabili», primari ed assoluti dell’individuo (art. 2 Cost.) e rappresenta espressione del principio di dignità umana e di uguaglianza ex art. 3 Cost. nell’interesse, non solo del singolo, ma anche della collettività, ad evitare la diffusione di epidemie e di malattie contagiose (Corte Cost. 20 novembre 2000, n. 509). Tanto premesso, tale diritto deve essere senza ombra di dubbio riconosciuto anche in capo ai minori, i cui interessi, a maggior ragione, devono essere garantiti in considerazione della loro vulnerabilità e debolezza. Ed invero, la Convenzione ONU sui “Diritti dell’Infanzia”, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 35 dell’11 giugno 1991), all’art. 24, prevede che gli Stati aderenti debbano riconoscere «il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione», nonché, debbano garantire «che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi», al fine di assicurare «a tutti i minori l’assistenza medica e le cure sanitarie necessarie, con particolare attenzione per lo sviluppo delle cure sanitarie primarie». Tanto premesso, occorre combinare quanto su detto con i limiti e le problematiche derivanti dalla In tale quadro, diventa poi particolarmente rilevante la questione della responsabilità genitoriale, al fine di appurare quale sia la discrezionalità dei genitori relativamente alle cure mediche da somministrare al figlio minore. Ebbene, il potere di autorizzare trattamenti sanitari nei confronti dei figli minori viene collegato all’articolo 30 della Costituzione, secondo cui è «diritto e dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli». Ove però il diritto-dovere dei genitori non venga esercitato nell’interesse del minore o, come nel caso de quo, qualora sorga contrasto tra i titolari della «responsabilità genitoriale», è senz’altro possibile l’intervento dell’Autorità giudiziaria la quale, valutate le circostanze concrete, può adottare provvedimenti in merito e, eventualmente, autorizzare anche uno solo dei genitori ad adottare scelte autonomamente dall’altro genitore, ove ciò soddisfi il primario interesse del figlio minore (Cost. 27 marzo 1992, n. 132).La decisione del Tribunale capitolino appare, pertanto, pienamente condivisibile e deve essere indicata come riferimento da seguire in vicende simili. L'esperienza del COVID ha, in effetti, indicato la sensibilità di moltissimi Giudici italiani verso le conclusioni su esposte, che perfettamente sposano il principio del child's best interest sposato dal nostro Ordinamento.Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo Matrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore
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28 ott. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
La vaccinazione anti – Covid è stata estesa anche ai minori di 18 anni, in iva non obbligatoria. La scelta di vaccinare il minorenne viene presa da entrambi i genitori, poiché trattandosi di una questione inerente la salute del minore, non può essere presa autonomamente da quest'ultimo, né da un genitore solo. Tale principio vale per i genitori coniugati, conviventi, separati e divorziati. Nel caso i genitori non ci siano, invece, la scelta ricadrà sul tutore del minore.Si è assistito in questo periodo di emergenza pandemica, a situazioni di contrasto tra genitori e figli per la somministrazione del vaccino a quest’ultimi.La figura del minore viene necessariamente coinvolta nella dinamica familiare in quanto la somministrazione del vaccino incide sulla salute e vita sociale dello stesso.Eventuali contrasti tra i genitori, in merito alla somministrazione dei vaccini (obbligatori e non) ai figli minori, devono essere risolti dal Tribunale, in un'ottica di tutela dell’interesse del minore e della collettività.1 – Il contrasto tra i genitori sulla somministrazione del vaccino al figlio minore2 – Il minore dev’essere ascoltato dal Giudice nel procedimento che lo coinvolge?3 – Qual è il procedimento da istaurare per ottenere il consenso alla vaccinazione anti – covid?1 – Il contrasto tra i genitori sulla somministrazione del vaccino al figlio minoreLa questione della somministrazione del vaccino anti – covid ai minori di 18 anni agita i pensieri di tanti genitori.L’argomento è delicato in quanto alle ragioni scientifiche si aggiungono quelle etiche, in un clima caratterizzato da sospetti, paure, informazioni spesso incontrollate e contraddittorie, dove orientarsi e fidarsi diventa un esercizio abbastanza complesso.I Tribunali di tutta Italia, in questo contesto di emergenza pandemica, sono chiamati a dirimere i contrasti nati tra i genitori sulla somministrazione del vaccino anti–covid ai figli minori. Infatti, si sono registrati numerosi casi in cui uno dei due genitori è contrario alla somministrazione del vaccino e di conseguenza ha negato il necessario consenso.Tale ipotesi si è verificata sia tra genitori separati o divorziati con affido condiviso del figlio minore ma anche tra genitori non separati o divorziati dove è stato necessario l’intervento del Tribunale al fine di autorizzare la somministrazione del vaccino al minore di anni 18. La tesi prevalente, accolta dai Tribunali investiti della questione, ritiene che i programmi vaccinali siano posti a tutela dell’incolumità sanitaria non solo individuale ma anche comunitaria e, per questo, devono essere autorizzati.In particolare, il Tribunale di Milano, a seguito di ricorso ex art. 709 - ter c.p.c, con decreto del 2 settembre 2021, ha autorizzato il padre del minore alla somministrazione del vaccino anti – covid, in autonomia e senza il necessario consenso della madre che invece si era opposta alla vaccinazione della figlia minore.Nel caso in esame, il Tribunale ha stabilito che l’interesse del minore, nelle questioni inerenti la salute, deve essere perseguito anche contro la posizione dei genitori. Per questo motivo, nel procedimento in esame, è stato emesso un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale, nei confronti della madre, ammonendola, ex art. 709 c.p.c, a non ostacolare il percorso vaccinale della figlia.Ed ancora, il Tribunale di Vercelli, con una recentissima decisione, ha autorizzato la somministrazione del vaccino ad una ragazza quasi diciassettenne, prendendo atto del consenso da quest'ultima manifestato a fronte del rifiuto opposto dalla madre. 2 – Il minore dev’essere ascoltato dal Giudice nel procedimento che lo coinvolge?L’audizione del minore rappresenta un adempimento obbligatorio in tutti quei procedimenti in cui il giudice deve decidere in ordine a situazioni di diretto interesse del figlio.In una controversia abbastanza delicata come quella della somministrazione del vaccino anti – covid la volontà del minore dev’essere presa in considerazione dapprima dai genitori in contrasto tra loro e poi dal giudice nell’eventuale giudizio che lo coinvolge.Nel caso sopra citato che ha coinvolto il Tribunale di Vercelli si è proceduto con l’ascolto della minore (quasi diciassettenne), la quale ha espresso la volontà di essere vaccinata per poter partecipare liberamente alle attività scolastiche ed extra scolastiche.Anche il Tribunale di Monza, con decreto del 22 luglio 2021, ha proceduto all’ascolto di un minore di quindici anni, il quale ha espresso la volontà di essere vaccinato per poter partecipare, in modo più spensierato, alle attività scolastiche e sportive stante il diniego del padre al consenso necessario.In entrambi i casi citati, i giudici di merito hanno valorizzato la manifestazione di volontà dei minori, espressa in modo chiaro e sorretta da forti motivazioni di ritorno alla normalità della vita sociale, scolastica e sportiva. 3 – Qual è il procedimento da istaurare per ottenere il consenso alla vaccinazione anti – covid?Nel caso di genitori separati, qualora questi non riescano a risolvere il conflitto in famiglia, la via obbligata è quella del ricorso ex art. 709 ter c.p.c. e sarà competente il giudice della separazione.Nel caso di genitori non separati, invece, la competenza è attribuita al Tribunale per i minorenni che verrà adito mediante ricorso ex articolo 336 c.c.Il giudice, qualora lo ritenga opportuno, può decidere di avvalersi della competenza tecnica di un medico pediatra o di un esperto in materia vaccinale (ad esempio un virologo o un immunologo). In particolare, al consulente sarà chiesto di pronunciarsi sulla opportunità, nel caso specifico, ad effettuare il vaccino.In caso di conflitto tra genitori, separati o meno, sarà comunque necessario quindi che sia l’Autorità Giudiziaria a dirimere la controversia e a sostituirsi nell’esercizio della responsabilità genitoriale.Editor: Avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
25 nov. 2021 • tempo di lettura 5 minuti
Con il DL 132/2014 conv. in L. 162/2014 è stato introdotto lo strumento della convenzione assistita davanti gli avvocati come strumento facoltativo per la risoluzione della crisi coniugale senza la necessità di ricorrere al giudice.I coniugi con tale strumento possono separarsi consensualmente o chiedere un divorzio congiunto, possono anche modificare le condizioni di separazione o divorzio anche in presenza di figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap gravi o non autosufficienti economicamente.Lo scopo della negoziazione assistita è quello di ridurre il contenzioso giudiziario sottraendo una parte dei procedimenti relativi alla crisi della famiglia e da ultimo, tale procedura si applica anche allo scioglimento dell’unione civile.Come e quando si può chiedere la negoziazione assistita?Invio alla procedura di negoziazione: adesione o rifiuto all’invitoSvolgimento della negoziazione: mancato accordo o accordo tra le parti Trasmissione dell’accordo al P.M e all’Ufficiale di Stato di civile ed effetti dell’accordo1 – Come e quando si può chiedere la negoziazione assistita?I coniugi (o ex coniugi) con la negoziazione assistita possono raggiungere una soluzione consensuale nelle seguenti materie: a) separazione personale consensuale; b)divorzio congiunto; c) modifica delle condizioni di separazione o divorzio; d) scioglimento dell’unione civile; e) modifica delle condizioni dello scioglimento dell’unione civile. La procedura può essere svolta in qualunque momento e non è condizione di procedibilità della domanda per la risoluzione della crisi familiare dinanzi al giudice. Ciascuno dei coniugi deve farsi assistere almeno da un avvocato durante tutta la procedura ed il requisito della presenza di due avvocati (uno per parte) non è soddisfatto se i due avvocati fanno parte dello stesso studio.Gli avvocati durate la procedura devono svolgere le seguenti attività: a) tentare una conciliazione dei coniugi, tale incombenza nelle procedure giudiziali è affidata al Presidente del tribunale; b) informare le parti dell’importanza per il figlio minore di trascorrere tempi adeguati con ciascun genitore. L’avvocato ha diritto al compenso per la prestazione resa durante la procedura, anche in assenza di accordi, sulla base dei parametri forensi, il compenso è dovuto anche se l’assistito possiede i requisiti di accesso al gratuito patrocinio.2 – Invio alla procedura di negoziazione: adesione o rifiuto all’invitoUno dei due coniugi, tramite il proprio avvocato, invita l’altro a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, ossia un accordo con cui le parti, entro un lasso temporale predeterminato, vanno a ricercare una soluzione concordata relativa alla loro separazione, divorzio o alla modifica delle condizioni di separazione o divorzio.L’avvocato deve comunicare l’invito mediante raccomandata a/r anche se la legge non detta modalità precise pertanto, pertanto, l’invito può avvenire anche tramite manifestazioni reciproche di disponibilità verbali.L’invito, sottoscritto dal coniuge, deve contenere: a) la descrizione dell’oggetto della controversia; b) l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro 30 giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice per decidere sulle spese di giustizia.Entro 30 giorni dalla ricezione dell’invito, l’altro coniuge può: aderire, rifiutare o non rispondere, dove la mancata risposta equivale a rifiuto.Nel momento in cui l’altro coniuge aderisce all’invito, con l’assistenza dei rispettivi avvocati, le parti con la convenzione assistita si obbligano a cooperare in buona fede per raggiungere un accordo sulla separazione, divorzio o modifica delle relative condizioni. 3 - Svolgimento della negoziazione: mancato accordo o accordo tra le parti La convenzione deve avere forma scritta a pena di nullità e deve contenere: a) l’oggetto della controversia; b) il termine per svolgere la procedura non inferiore ad un mese e non superiore a 3 mesi, salvo proroga concordata tra le parti di ulteriori trenta giorni.A questo punto gli avvocati iniziano la negoziazione per il periodo di tempo massimo indicato nella convenzione e devono cooperare secondo criteri di lealtà e buona fede.Tutte le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite durante la negoziazione non possono essere utilizzare nel successivo giudizio che abbia, anche in parte, lo stesso oggetto. Se i coniugi non raggiungono un accordo, gli avvocati vanno a redigere e certificare una dichiarazione di mancato accordo e la parte interessata, se lo ritiene, può agire in giudizio.Se, invece, viene raggiunto l’accordo gli avvocati vanno a redigere un apposito verbale con il seguente contenuto: a) danno atto di aver tentato la conciliazione; b) danno atto di aver informato i coniugi con figli minorenni dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con entrambi i genitori; c) i coniugi manifestano il loro consenso a separarsi o divorziare; d) nel momento in cui ci sono figli minori o incapaci, portatori di handicap o non economicamente autosufficienti, i coniugi devono definire devo disciplinare e definire i relativi rapporti personali e patrimoniali al fine di consentire al P.M. un adeguato controllo di tali disposizioni; e) può prevedere un assegno di mantenimento o di divorzio a favore del coniuge economicamente più debole oltre a quello per i figli.L’accordo dev’essere datato e deve contenere la sottoscrizione delle parti e degli avvocati che vanno a certificare sia la data che la firma dei rispetti assistiti oltre che la conformità del contenuto dell’accordo all’ordine pubblico e norme imperative.4 - Trasmissione dell’accordo al P.M e all’Ufficiale di Stato di civile Gli avvocati devono trasmettere l’accordo di negoziazione assistita e la documentazione richiesta al procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente.In assenza di criteri di competenza dettati dalla legge, si applicano nella pratica le regole generali in materia di competenza territoriale dettate in materia di separazione e divorzio.Quanto alle modalità di trasmissione dell’accordo è consentito il deposito cartaceo a mani o con raccomandata a/r ma è possibile anche l’invio tramite casella Pec.La trasmissione dell’accordo deve avvenire entro 10 giorni dalla sottoscrizione soprattutto se i coniugi hanno figli minori o maggiorenni da tutelare.Il P.M. effettua le opportune verifiche ed emette: a) un nullaosta nel momento in cui i coniugi non hanno figli minori o se i figli non hanno bisogno di tutela; b) un’autorizzazione quando i coniugi hanno figli minori o figli bisogni di tutela da parte del P.M. Ottenuto il nullaosta o l’autorizzazione del P.M. almeno uno degli avvocati che hanno sottoscritto l’atto devono trasmettere una copia autentica dell’accordo all’Ufficiale di Stato civile del comune devo il matrimonio è stato iscritto o trascritto, entro il termine di 10 giorni.L’Ufficiale di Stato civile esegue le seguenti operazioni: a) trascrive l’accordo nei registri degli atti di matrimonio o negli archivi informatici; b) annota l’accordi nell’atto di matrimonio; c) annota l’accordo sull’atto di nascita di ciascun coniuge.Editor: Avv. Elisa Calviello
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