Egregio Avvocato
Pubblicato il 17 giu. 2021 · tempo di lettura 3 minuti
L’articolo 156 c.c. al sesto comma ha introdotto una delle maggiori tutele in favore del coniuge o del genitore avente diritto al pagamento del mantenimento per sé o per i figli.
Infatti, se il coniuge obbligato non paga o ritarda il pagamento dell’assegno di mantenimento, il coniuge beneficiario può chiedere al Tribunale di ordinare a terzi il pagamento, anche periodico, delle somme di denaro in favore del coniuge obbligato e, che, una parte di tali somme siano versate direttamente all’altro coniuge (c.d. ordine di pagamento diretto).
1 – Quali sono i presupposti per ottenere l’emissione dell’ordine a terzi?
Il coniuge interessato può chiedere l’ordine di distrazione delle somme quando si verifica: a) il mancato adempimento dell’obbligo di versare l’assegno, ovvero b) un ritardo nel pagamento dell’assegno.
Anche il non puntuale adempimento dell’obbligo di mantenimento (come un ritardo di pochi giorni rispetto alla scadenza imposta) legittima la richiesta e l’emanazione dell’ordine, se il comportamento provoca fondati dubbi sulla tempestività dei futuri pagamenti.
La richiesta al giudice presuppone ovviamente la dimostrazione di un inadempimento: quindi il magistrato necessiterà della dimostrazione del ritardo nonostante l’intimazione.
Chi chiede l’ordine dovrà, dunque, allegare prova dell’esistenza del diritto all’assegno e produrre un’intimazione o un precetto di pagamento o un tentativo di pignoramento, o qualsiasi altro atto finalizzato a mettere in mora il debitore.
Processualmente l’istanza può essere effettuata sia nel corso del procedimento, con ricorso separato, oppure concluso il giudizio di merito utilizzando il rito della Camera di Consiglio e quindi chiedendo l’emissione di un decreto.
L’ordine di pagamento diretto emesso dal Giudice Istruttore in corso di causa non è autonomamente reclamabile in Corte d’Appello ex art. 708 comma 4 c.p.c.
Viceversa l’ordine di pagamento diretto ex art. 156 comma 6 c.c. emesso in giudizio autonomo è reclamabile in Corte d’Appello con le forme del procedimento in camera di consiglio.
2 - Chi sono i terzi a cui si rivolge l’ordine di pagamento diretto?
Il Giudice potrà ordinare il pagamento diretto a favore dell'avente diritto l'assegno di: a) stipendi, indennità, somme comunque dovute dal datore di lavoro; b) trattamenti pensionistici; c) canoni di locazione; d) ogni altra somma comunque dovuta dal terzo al soggetto tenuto al pagamento dell'assegno anche diversa dal credito da retribuzione.
Il terzo non è parte del procedimento, non deve essere citato all’udienza e non ha neppure facoltà di intervento, in senso tecnico, nel procedimento.
Tuttavia, il terzo ha la facoltà di comunicare al Giudice l’insussistenza di alcun suo rapporto con l’obbligato principale, in modo tale da permettere al creditore di avanzare una nuova istanza di pagamento diretto con l’indicazione precisa del corretto destinatario dell’ordine.
Nell’ipotesi in cui il terzo attesti falsamente al Giudice l’insussistenza del suo debito nei confronti dell’obbligato principale, il creditore avrà facoltà di agire nei suoi confronti con l’ordinaria azione di accertamento positivo e il conseguente risarcimento del danno.
3 - È possibile modificare o revocare l’ordine di pagamento diretto?
L'ordine di pagamento, sia se emesso in corso di causa o in un procedimento autonomo, può essere modificato o revocato in qualsiasi momento, in presenza di giustificati motivi sopravvenuti.
Il soggetto onorato al pagamento dell’assegno di mantenimento potrà avanzare richiesta di revoca o modifica dell’ordine di pagamento diretto ed il Giudice dovrà rivalutare complessivamente la situazione.
È pacifico che il semplice adempimento successivo della parte onerata (o la sua disponibilità all’adempimento) non è ragione sufficiente alla revoca della misura.
L’ordine di pagamento diretto può anche essere parzialmente modificato sempre in presenza di giustificati motivi sopravvenuti.
In corso di causa per la revoca e/o modifica è competente esclusivamente il Giudice Istruttore.
4 - È possibile proporre in appello l’istanza di emissione dell’ordine a terzi?
In tema di assegno di mantenimento a seguito di separazione personale, la richiesta di emissione dell’ordine a terzi può essere proposta per la prima volta anche nel corso del giudizio di secondo grado, trovando nel caso applicazione il principio del rebus sic stantibus.
Dovrà essere comunque rispettato il principio del contraddittorio a garanzia del diritto di difesa del coniuge obbligato in sede di accertamento della sua inadempienza.
Editor: avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
7 mar. 2022 • tempo di lettura 5 minuti
L'adozione internazionale consiste nell'adozione di un bambino straniero fatta nel suo paese, davanti alle autorità e alle leggi che vi operano. Questo tipo di adozione comporta, per il giovane che viene adottato, un cambiamento personale e relazionale più marcato di quello che deve affrontare un minore adottato nel suo stesso Paese e necessita, pertanto, di particolari cautele.La normativa in materia di adozione internazionaleLa procedura1 - La normativa in materia di adozione internazionaleL’adozione internazionale permette di accogliere nella propria famiglia bambini di altri paesi, con cultura, lingua, tradizioni diverse. Per questo, per tutelarne i diritti, la normativa si fa più complessa, ma offre in cambio una più approfondita preparazione ed un migliore sostegno alle coppie che hanno deciso di intraprendere questo percorso.La Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993 sulla Tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale è il principale strumento messo in campo al fine di tutelare i diritti dei bambini e di chi desidera adottarli.Il nostro paese ha ratificato la Convenzione con la Legge 31 dicembre 1998 n. 476, le cui norme regolano la procedura di adozione internazionale. La normativa si applica in tre principali situazioni:l’adozione del minore straniero da parte di coniugi italiani;l’adozione del minore straniero da parte di coniugi stranieri residenti in Italia;l’adozione del minore italiano da parte di coniugi residenti all’estero.2 - La proceduraLa dichiarazione di disponibilitàCome prima cosa, la coppia che desideri adottare un bambino straniero deve presentare un’istanza al Tribunale per i minorenni competente in base alla residenza o, se i coniugi sono italiani ma risiedono all’estero, all’ultimo domicilio. L’istanza consiste in una dichiarazione di disponibilità all’adozione internazionale, corredata di alcuni allegati volti a dimostrare il possesso dei requisiti di idoneità all’adozione. Tali requisiti, come si anticipava, sono i medesimi che prevede la nostra legge nazionale per le adozioni domestiche: i coniugi devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni (o aver stabilmente e continuativamente convissuto, prima del matrimonio, per almeno tre anni), non separati nonché idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare;l’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto anni l’età dell’adottato ma non deve superarla di più di quarantacinque anni. Il Tribunale per i minorenni valuta la richiesta e, solo se ravvisa la manifesta carenza di questi requisiti, pronuncia immediatamente un decreto di inidoneità; se, invece, non ha nulla da rilevare, entro 15 giorni dalla presentazione della dichiarazione di disponibilità trasmette ai servizi degli Enti locali la documentazione relativa alla coppia.L'indagine dei servizi territorialiI servizi degli Enti locali si attivano entro quattro mesi dall'invio della documentazione da parte del Tribunale per i minorenni.I servizi operano su due fronti: da un lato hanno il ruolo importante di conoscere la coppia e di valutarne le potenzialità genitoriali, raccogliendo informazioni sulla storia personale, familiare e sociale dei coniugi; dall’altro lato, hanno il compito di informare in modo corretto e completo gli adottanti sulle condizioni di vita dei bambini nei paesi di provenienza e sul loro stile di vita, in modo da fornire ogni elemento utile per una più approfondita preparazione all’adozione.Una volta esaurita questa fase “conoscitiva”, i servizi territoriali hanno il compito di redigere una relazione da inviare al Tribunale, al fine di fornire al giudice gli elementi di valutazione sulla richiesta della coppia. Il decreto di idoneitàEntro due mesi dalla ricezione della relazione dei servizi territoriali, il Tribunale per i minorenni convoca i coniugi e può, se lo ritiene opportuno, disporre ulteriori approfondimenti. Il giudice deve decidere, usando come base gli accertamenti compiuti dai servizi territoriali, se rilasciare il decreto di idoneità o se emettere un decreto attestante l'insussistenza dei requisiti all’adozione.Una volta rilasciato, il decreto di idoneità viene inviato alla Commissione per le adozioni internazionali e all'ente autorizzato, se è già stato scelto dai coniugi. La ricerca di un ente autorizzatoEntro un anno dal rilascio del decreto di idoneità, la coppia deve iniziare la procedura di adozione internazionale, rivolgendosi ad uno degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali.In questa fase, che è obbligatoria, la coppia può orientarsi verso un paese tra quelli nei quali l’ente opera. Gli enti autorizzati hanno la funzione di seguire i coniugi e svolgere le pratiche necessarie per tutta la procedura. In particolare, si occupano di organizzare degli incontri che hanno lo scopo di informare le coppie sulle procedure dei paesi in cui sono presenti, sulla realtà dell'adozione internazionale e di prepararli, con la collaborazione di psicologi ed altri esperti, al loro futuro ruolo di genitori adottivi.L'incontro all'esteroIn questa fase l'ente autorizzato al quale i coniugi si sono rivolti si fa carico della procedura di adozione nel paese straniero scelto: deve, in particolare, inoltrare all’autorità straniera la richiesta di adozione e aspettare la proposta, da parte di quest’ultima, di incontro con il bambino da adottare.Una volta ricevuta questa proposta, l’ente autorizzato italiano informa gli aspiranti genitori adottivi e, con il loro consenso, continua ad assisterli svolgendo tutte le pratiche necessarie.Se gli incontri della coppia con il bambino si concludono con un parere positivo anche da parte delle autorità del paese straniero, l'ente trasmette gli atti e le relazioni sull'abbinamento adottando-adottanti alla Commissione per le adozioni internazionali in Italia, attestando la sussistenza dei requisiti previsti dalla Convenzione de L'Aja all'articolo 4 (fra questi, che l’adozione corrisponda al superiore interesse del minore e che i genitori siano stati correttamente informati).Se invece gli incontri non si concludono positivamente, l'ente ne prende atto e ne informa la Commissione italiana, precisando anche i motivi in base ai quali l'abbinamento non si è rivelato rispondente all'interesse del minore. Il rientro in Italia e la conclusione della proceduraUna volta ricevuta dall'ente autorizzato la documentazione sull'incontro avvenuto all'estero e sul consenso a questo prestato dai coniugi, la Commissione per le adozioni internazionali autorizza l'ingresso e la permanenza del minore adottato in Italia, dopo aver certificato che l'adozione sia conforme alle disposizione della Convenzione de L'Aja.A questo punto, il Tribunale per i minorenni ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile: con la trascrizione il minore diventa definitivamente un cittadino italiano e un membro a tutti gli effetti della famiglia che lo ha adottato.Editor: dott.ssa Elena Pullano
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Egregio Avvocato
10 dic. 2021 • tempo di lettura 2 minuti
Recentemente, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite (32198/2021) ha deciso di porre fine alla vexata quaestio sull´assegno divorzile in presenza di una nuova convivenza more uxorio. Con malcelata sorpresa degli addetti ai lavori, La SS. UU. fanno un´inversione di marcia rispettto ad un orientamento che sembrava oramai consolidato e relativo ad una scelta di vita di un ex coniuge, che intraprende una nuova relazione more uxorio. Gli Ermellini, nella decisione de quo, partono dalla considerazione che l´assegno divorzile si basa su una componente assistenziale e da una compensativa. A fronte di tale doppia natura vi é la necessità di chi corrisponde all'esigenza dell'ex coniuge di non vedersi limitato il suo progetto di vita futura dall'obbligo di versare per sempre l'assegno a chi ha formato una nuova famiglia di fatto e, dall´altro, le fin troppo dubbie necessitá di chi ha contribuito alla fortune della famiglia nel corso del matrimonio. La sentenza de quo vuole bilanciare gli interessi in gioco, cancellando con un colpo di spugna i progressi fatti nel corso degli anni al fine di salvaguardare chi, con il proprio lavoro o con le ricchezze della propria famiglia di origine, aveva costruito le proprie fortune. Oggi, la nuova famiglia di fatto non esclude il diritto all'assegno di divorzio per il coniuge economicamente più debole e privo di mezzi adeguati: ció cancella ogni sorta di automatismo tra nuova convivenza e perdita dell'assegno in favore del coniuge economicamente più debole, sottolineando che il nuovo percorso di vita intrapreso con una terza persona, che sia accertato giudizialmente, incide sì sul diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, sulla sua revisione o sulla sua quantificazione, ma non ne determina necessariamente la perdita integrale. Il coniuge economicamente più debole può, infatti conservare il diritto esclusivamente in funzione compensativa e non assistenziale, a condizione di fornire une serie di prove, quali ad esempio contributo offerto alla comunione familiare, eventuali rinunce, occasioni lavorative e di crescita professionale durante il matrimonio nell'interesse della famiglia, l'apporto dato alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge, e via discorrendo. La soluzione scelta puó commentarsi solo in un modo: summum ius, summa iniuria. La nuova struttura dell´assegno divorzile scelta dalla Suprema Corte creerá - ne siamo piú che sicuri - nuovi contenziosi, ulteriori occasioni di risentimento, ulteriore alterco tra le parti e, pertanto, nuovo potenziale substrato per i reati endo - familiari. Infine tale decisione stimulerá nuove forme di povertà e spingerà i piú abbienti ad occultare le proprie ricchezze, impoverendo cosí di fatto il Paese che, da oggi in poi, sará ostaggio di una visione distorta del matrimonio. Prof. Avv. Domenico Lamanna Di SalvoMatrimonialista - Divorzista
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19 dic. 2020 • tempo di lettura 8 minuti
Adottando il DPCM del 3 dicembre 2020 e il Decreto Legge 172/2020, il Governo ha varato nuove misure di contenimento per fronteggiare il rischio di una diffusione capillare del virus durante le feste natalizie. Quali sono le attività effettivamente permesse? Sono previste delle sanzioni in caso di violazione?Qual è l’impostazione del D.P.C.M. del 3 dicembre 2020 e del Decreto Legge 172/2020? Quali sono le misure sempre vigenti?Quali sono le misure specifiche in relazione ai singoli giorni?Cosa succede in caso di violazione delle misure?1 - Qual è l’impostazione del D.P.C.M. del 3 dicembre 2020 e del Decreto Legge 172/2020?Per ricostruire l’attuale quadro delle misure governative è necessario considerare i due testi di legge adottati dal Governo nel mese di dicembre.Il DPCM del 3 dicembre 2020 ha introdotto nuove misure limitative degli spostamenti e delle attività socio-economiche per il contenimento della diffusione del Covid-19.Esso manteneva il modello della divisione del territorio nazionale in tre aree, individuate facendo riferimento ai colori giallo, arancione e rosso, prevedendo misure proporzionali al livello di rischio di riferimento.Venivano inoltre disposte regole ulteriori ed omogenee su tutta la penisola per evitare rischi di spostamenti e assembramenti pericolosi.Il Decreto Legge del 18 dicembre 2020 n. 172 utilizza, invece, la logica dei gradi di rischio per differenziare le limitazioni previste nei giorni del periodo festivo, al fine di variare le limitazioni in funzione del pericolo previsto. Queste vanno ad affiancarsi a quelle del DPCM del 3 dicembre non espressamente derogate.2 - Quali sono le misure sempre vigenti? Attraverso una lettura combinata dei due decreti indicati, in via estremamente semplificata, possono classificarsi le misure previste in relazione ai giorni del periodo di festa. In generale, nell’intero periodo dal 21 dicembre al 6 gennaio:divieto per gli spostamenti tra Regioni diverse e da/per le Province autonome di Trento e Bolzano, anche per raggiungere le seconde case, dal 21 dicembre al 6 gennaio;vietato spostarsi dalle ore 22 alle ore 5, ogni giorno e dalle ore 22 alle ore 7 del mattino del primo gennaio. È invece fortemente raccomandato, per la restante parte della giornata, di non spostarsi;è prevista la chiusura di bar e ristoranti; è possibile solo l’asporto, dalle ore 5 alle ore 22, mentre la consegna a domicilio è sempre consentita;gli alberghi rimangono aperti in tutta Italia, ma sono vietati veglioni e cene il 31 sera: i ristoranti degli alberghi chiuderanno alle 18, dopo sarà possibile solo il servizio in camera;le celebrazioni religiose sono possibili ma nel rispetto del coprifuoco delle 22 (con conseguente anticipazione delle messe serali);sono chiusi gli impianti per sciatori amatoriali, dal 4 dicembre e fino al 6 gennaio; e sospese le crociere (in partenza, scalo o arrivo in porti italiani) dal 21 dicembre al 6 gennaio;è obbligatorio, per gli italiani che rientrano da turismo all’estero e stranieri in arrivo in Italia tra il 21 dicembre e 6 gennaio, sottoporsi alla quarantena (i.e. sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all'isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni presso l'abitazione o la dimora indicata).3 - Quali sono le misure specifiche in relazione ai singoli giorni?Più specificamente, nei giorni del 24, 25, 26, 27, 31 dicembre e 1, 2, 3, 5, 6 gennaio 2021, è prevista l’applicazione delle misure relative alle “aree rosse”. Di conseguenza è consentito:sempre, anche nelle ore notturne, spostarsi per esigenze lavorative, necessità o per motivi di salute, munendosi di autocertificazione nella quale si indica il motivo stesso. Nei casi di necessità rientra anche: la possibilità di prestare assistenza a persone non autosufficienti, il rientro nel Comune in cui si ha la residenza, il domicilio o in cui si abita con continuità o periodicità. Ciò permetterà, ad esempio, il ricongiungimento di coppie che sono lontane per motivi di lavoro ma che convivono con una certa frequenza nella medesima abitazione;la visita ad amici o parenti, spostandosi al massimo in due persone e una volta sola nell’arco della giornata, dalle ore 5 alle ore 22 (nel conteggio sono esclusi i figli minori di 14 anni, le persone con disabilità e i conviventi non autosufficienti);svolgere l’attività motoria nei pressi della propria abitazione e l’attività sportiva all’aperto ma solo in forma individuale.Rimangono aperti: supermercati, negozi di beni alimentari e prima necessità, farmacie e parafarmacie, edicole, tabaccherie, lavanderie, parrucchieri e barbieri.Sono invece chiusi: negozi, centri estetici.Nei giorni 28, 29, 30 dicembre 2020 e 4 gennaio 2021, è prevista invece l’applicazione delle misure, meno gravi, relative alle “aree arancioni”. Di conseguenza, oltre a quanto già consentito negli altri giorni:è consentito anche spostarsi dai piccoli Comuni (fino a 5mila abitanti) in un raggio di 30km - ma senza poter andare nei Comuni capoluoghi di provincia;sono aperti tutti i negozi fino alle ore 21.4 - Cosa succede in caso di violazione delle misure?Il primo decreto-legge (n. 6/2020) adottato per fronteggiare l’emergenza aveva previsto una sanzione penale, cioè l’applicazione del reato di cui all’art. 650 c.p. in caso di inosservanza delle disposizioni del DPCM. Successivamente, il decreto-legge n. 19/2020 ha espressamente escluso tale conseguenza sanzionatoria.La violazione delle misure prescritte dai D.P.C.M. o dalle Ordinanze ministeriali o regionali è punita oggi con una sanzione amministrativa, da € 400 a € 3.000, aumentata di un terzo se la violazione è compiuta utilizzando un veicolo.È previsto, inoltre, che il trasgressore possa pagare entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo (400€); e la somma è ridotta del 30% se il pagamento è effettuato entro 5 giorni dalla contestazione o notificazione. È possibile corrispondere la somma dovute presso l’ufficio dal quale dipende l’agente accertatore o con versamento in conto corrente postale o, se previsto, con conto corrente bancario o mediante strumenti di pagamento elettronico. Le modalità di pagamento e le relative istruzioni sono comunque indicate nel verbale notificato o comunicato.Inoltre, se l’accertatore dispone di idonea apparecchiatura, è possibile anche pagare immediatamente all’accertatore stesso mediante strumenti di pagamento elettronico (e oltretutto nella misura ridotta del 30%); dopo il pagamento, il verbale viene trasmesso agli uffici di riferimento, viene rilasciata una ricevuta della somma riscossa e nella copia del verbale rilasciata al trasgressore dovrà indicarsi il pagamento. E per le violazioni commesse prima del 25 marzo 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 19)? Poiché il decreto legge n.19 ha abrogato il reato previsto dal d.l. n. 6/2020, nessun cittadino è punibile penalmente in caso di violazione del decreto, neanche per le violazioni commesse prima del 25 marzo. A queste sono invece applicabili le sanzioni amministrative introdotte dal d.l. n. 19, ma nella misura minima ridotta alla metà - cioè 200€.E per chi viola la quarantena?Il d.l. 19/2020 ha previsto “di regola” che la condotta di chi viola la quarantena debba essere qualificata come illecito amministrativo e punita ai sensi dell’articolo 260 del TU delle leggi sanitarie (R.D. 27 luglio 1934, n. 1265). Nei casi più gravi, la violazione potrebbe integrare anche un reato di epidemia colposa, punito ai sensi dell’art. 452 del Codice penale, o (in teoria) anche un più grave reato (come epidemia dolosa o perfino lesioni o omicidio doloso) – anche se tali conclusioni sono state ritenute eccessivamente gravi e sproporzionate. E per le violazioni delle disposizioni del nuovo DPCM e del Decreto Legge 172/2020?Secondo alcuni commentatori, il nuovo DPCM sarebbe privo di sanzioni per la violazione dei divieti di circolazione. Il decreto non ha, infatti, previsto alcuna sanzione e non sarebbero applicabili le sanzioni amministrative previste dai decreti-legge precedenti, in quanto non espressamente richiamate e in ogni caso incongruenti.Questi, infatti, erano relative agli spostamenti interregionali; il blocco della circolazione durante le feste è invece uniforme su tutto il territorio nazionale.Invero, voci governative, come quella espressa da una recente circolare del Ministero dell’Interno (del 7 dicembre) hanno negato questa interpretazione, evidenziando che il DPCM del 3 dicembre è attuativo anche del d.l. 19/2020, che rimanda ai DPCM successivi, compreso il corrente, per l’individuazione di misure di contenimento della pandemia e prevede all’art. 4 le sanzioni amministrative da applicare alle condotte poste in essere in violazione di tali misure, tra cui quelle del DPCM corrente. Tra queste sarebbe indubbiamente ricompresa anche quella che limita gli spostamenti sull’intero territorio nazionale per il periodo natalizio. Il decreto legge del 18 dicembre, n. 172/2020, probabilmente anche per ovviare a questo dubbio interpretativo, ha espressamente stabilito all’art. 1, comma 3, che sia alle violazioni delle nuove misure introdotte dal decreto legge, sia a quelle previste dal DPCM del 3 dicembre si applicano le misure previste dal decreto-legge 19/2020, cioè la sanzione amministrativa prima richiamata. Resta, in ogni caso, la possibilità, nei casi più gravi, di essere puniti ai sensi dell’art. 650 c.p., per inosservanza di un un provvedimento legalmente dato dall'Autorità – diverso dal generico D.P.C.M.; nonché ai sensi del 459 c.p. per falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, nel caso in cui si indichino informazioni non veritiere nelle autocertificazioni necessarie per derogare ai divieti. Si attendono, comunque, ulteriori chiarimenti in ordine alla misure e alle sanzioni predisposte; in relazione a queste e ad ogni altro chiarimento è opportuno consultare periodicamente il sito del Governo e le relative FAQ all’indirizzo http://www.governo.it/it/articolo/domande-frequenti-sulle-misure-adottate-dal-governo/15638, sempre in corso di aggiornamento.Si raccomanda inoltre di consultare il sito http://www.governo.it/it/coronavirus-dieci-regole#:~:text=Le%20Regioni%20hanno%20infatti%20attivato,in%20caso%20di%20necessit%C3%A0 per chiarimenti in relazione alle regole da seguire per evitare i contagi e nel quale sono anche indicati i numeri verdi regionali disponibili per chiarimenti e informazioni, nonché il numero di pubblica utilità 1500 del Ministero della Salute, sempre attivo.Editor: dott.ssa Anna Maria Calvino
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2 ago. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
Il codice civile agli articoli 150, 151, 154 e 158 disciplina la separazione personale dei coniugi.L’istituto, che si differenzia nettamente rispetto al divorzio, consiste in una situazione di legale sospensione dei doveri reciproci dei coniugi, salvi quelli di assistenza e di reciproco rispetto.In particolare, la separazione è quella situazione temporanea dove il vincolo matrimoniale si allenta ma non si scioglie e costituisce un rimedio al venir meno dell’affectio coniugalis.La funzione dell’istituto è duplice: mantenere vivo il vincolo coniugale, che può sempre tornare alla sua piena efficienza con la riconciliazione (art. 157 c.c.) o predisporre le basi per il successivo scioglimento del vincolo.Quanti tipi di separazione sono disciplinati dal codice civile?Cosa s’intende per separazione di fatto?Quali sono gli effetti della separazione personale dei coniugi?A chi spetta il diritto di chiedere la separazione?1 – Quanti tipi di separazione sono disciplinati dal codice civile?Ai sensi dell’articolo 156, comma II, c.c. la separazione può essere: a) giudiziale, se ha il suo presupposto nell’intollerabilità della convivenza o nel grave pregiudizio per l’educazione dei figli ed è pronunciata dal Tribunale ad istanza di uno o di entrambi i coniugi (art. 151 c.c.); b) consensuale, se ha il suo presupposto nel consenso dei coniugi ed avviene per accordo delle parti che dovrà essere omologato dal Tribunale (art. 158 c.c.). In entrambe le ipotesi si parla di separazione legale, in quanto lo status di vita separata si instaura tra i coniugi soltanto a seguito di un provvedimento giurisdizionale.Vi sono, inoltre, forme particolari di separazione, che pur trovando la loro disciplina in un provvedimento giurisdizionale non comportano la modificazione dello status coniugale: a) separazione temporanea disposta in pendenza del giudizio di nullità del matrimonio davanti ai tribunali civili; b) la separazione ordinata dal presidente del Tribunale in sede di provvedimenti temporanei e urgenti durante il giudizio di separazione.2 - Cosa s’intende per separazione di fatto?Lo status di coniuge legalmente separato può nascere solo da una sentenza di separazione giudiziale o dall’omologazione di una sentenza consensuale.Tuttavia, i coniugi possono porre fine alla convivenza dando vita a situazioni che non sono irrilevanti per l’ordinamento e che producono determinati effetti giuridici, in parte diversi rispetto a quelli prodotti dalla separazione legale.La separazione di fatto richiede la cessazione della convivenza dei coniugi. Non costituiscono, pertanto, separazione di fatto le ipotesi (viaggi, ricoveri in ospedale, servizio militare) nelle quali la coabitazione sia temporaneamente interrotta senza che si verifichi alcuna frattura dell’affectio coniugalis. Costituisce separazione di fatto anche la separazione consensuale non omologata, quando i coniugi concordano la cessazione della convivenza senza far ricorso all’autorità giudiziale.La separazione di fatto rileva quale fondamento dell’azione di disconoscimento della paternità, non comporta il venir meno della presunzione di concepimento e non determina lo scioglimento della comunione legale.3 - Quali sono gli effetti della separazione personale dei coniugi?La separazione, come innanzi detto, non scioglie il matrimonio ma sospende soltanto alcuni doveri reciproci dei coniugi, quali quelli legati alla vita in comune.In particolare, il dovere di fedeltà si riduce al mero dovere di rispetto dell’onorabilità del coniuge, vengono meno gli obblighi di convivenza e di collaborazione, ma la moglie conserva il cognome del marito. Quanto ai rapporti patrimoniali, si scioglie la comunione legale ma permangono il fondo patrimoniale e l’impresa familiare.A fronte della separazione, sorge l’obbligo in capo al coniuge di fornire all’altro coniuge, se privo di adeguate risorse economiche, i mezzi necessari per le ordinarie esigenze di vita. Il mantenimento in favore dei figli, invece, grava su entrambi i genitori in misura proporzionale al reddito di ciascuno.4 - A chi spetta il diritto di chiedere la separazione?La separazione può essere chiesta da uno o da entrambi i coniugi, compreso il coniuge che con il suo comportamento abbia cagionato l’intollerabilità della convivenza o la situazione pregiudizievole ai figli. Nel giudizio di separazione la qualità di parte spetta esclusivamente ai coniugi e non può essere riconosciuta ai parenti di questi, neppure al fine di tutelare più efficacemente gli interessi dei figli minori.Il diritto di chiedere la separazione è: a) personalissimo, né deriva l’intrasmissibilità agli eredi, poiché il diritto cessa con la morte del suo titolare e non è ammissibile la prosecuzione in giudizio da parte degli eredi; b) indisponibile, ciò comporta che la separazione non può essere oggetto di compromesso per arbitrato; c) imprescrittibile. È consentita la rappresentanza volontaria dei coniugi da parte di procuratori speciali delimitando l’ambito che la parte rappresentata intende far valere a mezzo del rappresentante.Per l’interdetto non può agire il tutore il quale, tuttavia, ha la legittimazione passiva nel giudizio di separazione promosso dall’altro coniuge.Editor: Avv. Elisa Calviello
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