Egregio Avvocato
Pubblicato il 20 apr. 2021 · tempo di lettura 6 minuti
La riforma del Condominio, disciplinata dalla Legge n. 220 del 2012, ha finalmente dato una risposta, forse non del tutto esaustiva, all’annosa questione del possesso (o detenzione) degli animali all’interno degli edifici condominiali.
Infatti, con l’introduzione di un’apposita norma nel codice civile, è stato - in un certo senso - liberalizzato l’ingresso degli animali domestici nei condominii.
Nonostante ciò, diversi sono gli interrogativi che permangono: possono essere previsti dei limiti? Quali sono i comportamenti da tenere? In caso di contratto di locazione, il proprietario può porre dei divieti al conduttore?
1 - Animali domestici in Condominio: cosa prevede la legge? Quali animali rientrano nella nozione del codice civile?
Possedere un animale domestico all’interno di un edificio condominiale può causare dissidi tra i singoli condòmini. Non tutti, infatti, nutrono i medesimi sentimenti verso gli animali, oppure, anche in presenza di persone che li apprezzano, possono sorgere problemi di varia natura.
La Legge n. 220 del 2012 di riforma dell’istituto condominiale è intervenuta anche su tale argomento, con l’introduzione del comma 5 all’articolo 1138 del codice civile, il quale recita testualmente: «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici».
Questa definizione, tuttavia, non è stata esente da critiche. Difatti, se da un lato, è ovviamente positivo aver, finalmente, sdoganato la possibilità di possedere o detenere animali all’interno degli appartamenti condominiali, dall’altro lato la terminologia utilizzata è considerata da molti – anche da alcune associazioni di medici veterinari – troppo stringente e non in linea con la realtà.
Invero, aver adoperato il termine animale domestico anziché animale da compagnia è stato, in un certo senso, giustificato dall’intento di evitare di acconsentire alla presenza dei cosiddetti animali non convenzionali o esotici, che dir si voglia.
Le critiche mosse da associazioni di medici veterinari – primi fra tutti la Società Italiana Veterinari Animali Esotici e l’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani – sono dettate dal fatto che il legislatore abbia attribuito all’aggettivo domestico un significato ambiguo e più vicino al “senso comune” che alla scienza.
In altri termini, la definizione si ritiene errata poiché non considera come d’affezione tutti quegli animali non convenzionali o esotici, quali conigli, cincillà, piccoli roditori, volatili, contrastando, tra l’altro, con la Convenzione Europea per la Protezione degli Animali da Compagnia – ratificata anche dallo Stato Italiano – volta proprio a tutelare «ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall’uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia».
2 - Cosa occorre fare se il regolamento condominiale ne vieta il possesso o la detenzione?
Come detto, è il codice civile che impone il divieto di impedire, all’interno dei regolamenti condominiali, la detenzione o il possesso di animali domestici.
Ne consegue che un’eventuale disposizione contraria a quanto disposto dall’articolo 1138 del codice civile, renda nullo qualsiasi regolamento condominiale.
Inoltre, il singolo condòmino a cui dovesse essere vietato di tenere nella propria abitazione un animale in virtù di una delibera assembleare, può ricorrere al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla data in cui è stata emessa tale delibera o da quella in cui il soggetto abbia ricevuto il verbale suddetto.
3 - Quali comportamenti è opportuno tenere?
Aver consentito per legge il possesso o la detenzione di animali domestici all’interno di edifici condominiali non fa sì che il proprietario dell’animale in questione possa non rispettare i diritti altrui.
Innanzitutto, il proprietario di un animale domestico è, per ovvie ragioni, passibile di reclamo da parte degli altri condòmini qualora le immissioni – rumori molesti e odori sgradevoli – provenienti dal suo appartamento provochino insofferenze che, ovviamente, vanno provate.
Nell’ipotesi in cui, come prevede il codice civile, le immissioni diventino intollerabili, il Condominio potrà chiedere la cessazione della turbativa approvando una specifica delibera assembleare ovvero rivolgendosi al Giudice di Pace.
Particolare attenzione deve avere il proprietario dell’animale relativamente al rumore. Infatti, la tutela contro le immissioni rumorose è prevista anche dal nostro codice penale come specifica ipotesi di reato: il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone.
Va anche segnalato che gli animali non possono essere lasciati per lungo tempo senza vigilanza, poiché potrebbe ipotizzarsi il reato di omessa custodia.
Altro tema relativo ai doveri del proprietario di un animale domestico è l’accesso di quest’ultimo nelle parti comuni del Condominio, in merito, il codice civile dispone che ogni condòmino ha il diritto di usufruire delle parti comuni nel rispetto delle normative igienico-sanitarie e del decoro urbano.
Va da sé, quindi, che non può essere negato l’accesso alle parti comuni all’animale domestico ma, al tempo stesso, il proprietario deve adottare tutte quelle accortezze al fine di non ledere il diritto altrui al godimento delle stesse. In particolare, il cane che circola negli spazi comuni deve sempre indossare il cosiddetto guinzaglio corto – non più lungo di 1,50 metri – mentre per quel che riguarda la museruola, il padrone deve portarla con sé e farla indossare solo in caso di necessità (ad esempio, stando a un’ordinanza del Ministero della Salute, in ascensore la museruola va sempre fatta indossare).
4 - Animali domestici e locazione: il proprietario locatore può impedirne il possesso?
Se, per legge, il regolamento condominiale non può vietare il possesso o la detenzione di un animale domestico, lo stesso non si può dire nel caso in cui si tratti di immobile concesso in locazione.
Nessuna norma, infatti, vieta al locatore di prevedere nel contratto di locazione un divieto di detenere animali domestici. Tra il proprietario locatore e l’inquilino conduttore vige l’autonomia negoziale e ne consegue che le parti sono del tutto libere di determinare il contenuto del contratto, pur nel rispetto della legge.
Pertanto, è del tutto lecita un’eventuale clausola che vieti al conduttore di detenere animali domestici. Nell’ipotesi in cui, al contrario, il contratto non preveda alcun divieto, ciò non significa che il conduttore possa non rispettare gli obblighi o norme di comportamento a suo carico.
Difatti, pur potendo possedere un animale domestico, occorrerà comunque fare riferimento alle regole generali dettate in materia di locazione. Ad esempio, il codice civile impone al conduttore di conservare l’immobile concessogli in locazione in buone condizioni, osservando la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto.
Nonostante ciò, una parte della giurisprudenza sta, lentamente, iniziando a considerare gli animali quali esseri senzienti, applicando il principio di inviolabilità di cui all’articolo 2 della Costituzione anche ad essi.
In virtù di questa interpretazione, parte della giurisprudenza ritiene che la ratio dell’articolo 1138 del codice civile non sia incentrata sul diritto di proprietà dell’immobile, bensì sul “diritto all’animale d’affezione”. Ne consegue che sarebbero nulle le clausole che, nei contratti di locazione, vietino la detenzione di animali domestici poiché la libertà negoziale sarebbe limitata dal principio costituzionale di inviolabilità.
Va, in ogni caso, precisato che, al momento della redazione di questo articolo, sul punto la giurisprudenza non è ancora consolidata e che, stante anche il silenzio della legge, è certamente consigliabile confrontarsi con il proprietario locatore, per evitare possibili futuri problemi.
Editor: Avv. Marco Mezzi
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Egregio Avvocato
4 mag. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
Negli ultimi mesi abbiamo vissuto una situazione peculiare che ha sollevato non pochi quesiti anche a livello di diritto di famiglia. In particolare, ci si é chiesti se le misure di contenimento della pandemia da COVID -19 possano o meno giustificare una riduzione dell´assegno di mantenimento. A nostro modesto parere, la questione appare abbastanza semplice. La normativa italiana (art. 156 del Codice civile e art. 9, comma 1, della legge 898/70) prevedono che, una volta statuiti eventuali accordi in merito all´assegno di mantenimento, tali pattuizioni fanno riferimento alla situazione esistente al momento della divisione coniugale. , solo se tale situazione dovesse cambiare sensibilmente, se ne potrà chiedere il riesame per adeguare – secondo un vaglio comparativo delle condizioni delle parti (Cassazione 1119/2020) – l’importo o lo stesso obbligo contributivo al quadro attuale. Non si procederà, pertanto, ad una nuova ponderazione di fatti già esaminati ma si accerterà se, ed in che misura, gli eventi sopravvenuti abbiano alterato gli equilibri così da bilanciare gli impegni economici con il mutato assetto (Cassazione 22269/2020). Tanto premesso, la pandemia e le misure di contenimento ad essa collegate assumono una certa importanza solo e nella misura in cui le stesse abbiano o meno influito sulla situazione economica. Dovrà, poi, attentamente valutarsi se tali condizioni si sino modificate in peius e se tale peggioramento sia destinato ad essere permanente e non temporaneo. Se effettivamente ci si trova di fronte ad una mutata situazione a carattere permanente, si potrá richiedere la modifica delle condizioni di separazione e/o di divorzio. In caso contrario, tale richiesta sará obtorto collo destinata ad essere respinta. PROF. AVV. DOMENICO LAMANNA DI SALVO MATRIMONIALISTA - DIVORZISTA - CURATORE SPECIALE DEL MINORE
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13 mag. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
I figli maggiorenni se da un lato non sono più giuridicamente soggetti ai diritti e ai poteri di indirizzo educativo dei genitori, dall’altro continuano ad essere titolari di un diritto generale al mantenimento il cui contenuto è abbastanza ampio in quanto vengono contemplate le esigenze di studio, di svago, di sport, di socializzazione e di cura della persona.L’obbligo di mantenimento gravante sul genitore, dunque, non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio ma, tuttavia, non può protrarsi illimitatamente nel tempo.Secondo parte della dottrina, il mantenimento si protrae fino al momento in cui il figlio abbia conseguito una propria indipendenza economica e sia, quindi, in grado di provvedere in modo autonomo al soddisfacimento delle proprie esigenze.Recentemente la Corte di Cassazione con l’ordinanza n.17183/2020 ha enunciato il principio dell’autoresponsabilità del figlio maggiorenne abbandonando, così, ogni forma di assistenzialismo.Qual è la durata dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni?Qual è l’onore della prova alla luce dell’ordinanza n. 17183/2020?È possibile il pagamento dell’assegno direttamente al figlio maggiorenne?Allo studente fuori sede spetta un aumento dell’assegno?1 – Qual è la durata dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenniPer anni la giurisprudenza ha ritenuto che il diritto del figlio ad essere mantenuto dai propri genitori non cessi automaticamente con il compimento della maggiore età, ma perduri – immutato – finché non sia stata data prova che il figlio abbia raggiunto l'indipendenza economica oppure che il mancato svolgimento di un'attività lavorativa dipenda da un atteggiamento di inerzia del figlio stesso o da un suo rifiuto ingiustificato.Secondo il nuovo orientamento enunciato dalla Corte di Cassazione, con ordinanza n. 17183/2020, il figlio è in grado di provvedere a sé stesso non appena compie 18 anni, a meno che non dimostri di avere ancora diritto ad essere mantenuto dai genitori.Tale orientamento ha la finalità di spronare il figlio a non adagiarsi, a non attendere e, al contrario, ad attivarsi proficuamente per il raggiungimento dei propri obiettivi.Nel momento in cui il figlio, ha già concluso il suo percorso formativo e non trova un'occupazione compatibile con la sua preparazione, non potrà attendere che arrivi l'occasione lavorativa perfetta, ma deve andare a ridimensionare le proprie aspirazioni e rendersi indipendente.Si afferma così il principio dell'autoresponsabilità: il figlio maggiorenne ha diritto ad essere mantenuto oltre il compimento dei 18 anni solo se dimostra di essere in possesso dei requisiti per beneficiare di tale contributo economico.2 - Qual è l’onore della prova alla luce dell’ordinanza n. 17183/2020?In base all'orientamento maggioritario, è il genitore obbligato al mantenimento che deve provare il raggiungimento dell'indipendenza economica da parte del figlio oppure il suo atteggiamento di inerzia nella ricerca di un lavoro compatibile con le sue attitudini e la sua professionalità o, ancora, il rifiuto da parte sua di occasioni di lavoro. Con l’affermarsi del predetto principio di autoresponsabilità si sono registrate conseguenze rilevanti sul piano dell’onere della prova: secondo l'orientamento (innovativo) è il figlio che deve dimostrare di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente nella ricerca di un lavoro in base alle reali opportunità offerte dal mercato, ridimensionando – se necessario – le proprie aspirazioni, senza attendere una opportunità consona alle proprie aspirazioni.La prova per il figlio sarà più agevole nel momento in cui la sua età è prossima a quella di un recente maggiorenne; di contro, la prova sarà sempre più gravosa man mano che l’età del figlio aumenti.3 - È possibile il pagamento dell’assegno direttamente al figlio maggiorenne?La Cassazione, in modo uniforme, ha precisato che, accanto al diritto del figlio al mantenimento, sussiste un autonomo e concorrente diritto del genitore con lui convivente a percepire il contributo dell’altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento (cfr. Cass. n. 25300/13; ord. n. 24316/13; Cass. 21437/2007; Cass. 4188/2006; 8007/2005).Conseguentemente, il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore non ha alcuna autonomia nella scelta del soggetto nei cui confronti adempiere l’obbligazione e pertanto non può pretendere di assolvere la propria prestazione nei confronti del figlio anziché del genitore convivente, il quale ha chiesto in sede giudiziale il mantenimento per il figlio. (cfr. Cass. civile, sez. I, ordinanza 09/07/2018 n. 18008).Recentemente, la Cassazione con ordinanza n. 9700/2021 ha precisato che solo il giudice è autorizzato a riconoscere al figlio il pagamento diretto del mantenimento del genitore obbligato, in quanto il mantenimento per i figli risponde a un loro interesse superiore che è sottratto alla disposizione dalle parti.Solo la domanda autonoma del figlio ad ottenere il mantenimento diretto può negare il concorrente diritto del genitore convivente a percepire il relativo assegno, dimostrando così la volontà dell’avente diritto di gestire autonomamente le risorse destinate al suo mantenimento.4 - Allo studente fuori sede spetta un aumento dell’assegno?L’aumento delle esigenze del figlio è notoriamente legato alla sua crescita e allo sviluppo della sua personalità in svariati ambiti, compreso quello della formazione culturale e della vita sociale.Tale aumento non ha bisogno di una specifica dimostrazione, e di per sé legittima la revisione dell’assegno di mantenimento, anche in mancanza di evoluzioni migliorative delle condizioni patrimoniali del genitore tenuto alla contribuzione.E’, dunque, giustificata la maggiorazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne dedito agli studi universitari in un luogo diverso da quello di residenza.Editor: Avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
1 mar. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
In virtù della previsione dell’art. 1588 c.c. l’inquilino è responsabile della perdita e deterioramento del bene nel corso della locazione e quindi anche dell’incendio ai danni dell’immobile (in tal senso Trib. Busto Arsizio 10.10.2018 n . 1591).La responsabilità del conduttore viene meno qualora quest’ultimo riesca a provare che l’evento non sia dovuto a causa a lui imputabile. L’onere di provare l’assenza di responsabilità grava quindi sull’inquilino stesso il quale potrà esimersi da responsabilità solo dimostrando che ha custodito il bene con diligenza, ovvero che l’evento ha avuto origine dal fatto di un terzo (integrando così il caso fortuito per fatto del terzo).E’ in ogni caso opportuno osservare che il proprietario è comunque tenuto alla manutenzione del bene e degli impianti che non sia di carattere ordinario, per cui lo stesso potrà essere comunque ritenuto responsabile nell’ipotesi in cui l’incendio sia divampato in conseguenza dell’omessa manutenzione necessaria.Nei confronti dei terzi rispondono dei danni derivanti dall’incendio sia il proprietario sia il conduttore, salvo che sia stata acclarata (ad esempio con sentenza) la responsabilità esclusiva dell’inquilino.Avv. Ruggiero GorgoglioneWR Milano Avvocatiwww.wrmilanoavvocati.comwravvocati@gmail.com+393397007006
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19 dic. 2020 • tempo di lettura 8 minuti
Adottando il DPCM del 3 dicembre 2020 e il Decreto Legge 172/2020, il Governo ha varato nuove misure di contenimento per fronteggiare il rischio di una diffusione capillare del virus durante le feste natalizie. Quali sono le attività effettivamente permesse? Sono previste delle sanzioni in caso di violazione?Qual è l’impostazione del D.P.C.M. del 3 dicembre 2020 e del Decreto Legge 172/2020? Quali sono le misure sempre vigenti?Quali sono le misure specifiche in relazione ai singoli giorni?Cosa succede in caso di violazione delle misure?1 - Qual è l’impostazione del D.P.C.M. del 3 dicembre 2020 e del Decreto Legge 172/2020?Per ricostruire l’attuale quadro delle misure governative è necessario considerare i due testi di legge adottati dal Governo nel mese di dicembre.Il DPCM del 3 dicembre 2020 ha introdotto nuove misure limitative degli spostamenti e delle attività socio-economiche per il contenimento della diffusione del Covid-19.Esso manteneva il modello della divisione del territorio nazionale in tre aree, individuate facendo riferimento ai colori giallo, arancione e rosso, prevedendo misure proporzionali al livello di rischio di riferimento.Venivano inoltre disposte regole ulteriori ed omogenee su tutta la penisola per evitare rischi di spostamenti e assembramenti pericolosi.Il Decreto Legge del 18 dicembre 2020 n. 172 utilizza, invece, la logica dei gradi di rischio per differenziare le limitazioni previste nei giorni del periodo festivo, al fine di variare le limitazioni in funzione del pericolo previsto. Queste vanno ad affiancarsi a quelle del DPCM del 3 dicembre non espressamente derogate.2 - Quali sono le misure sempre vigenti? Attraverso una lettura combinata dei due decreti indicati, in via estremamente semplificata, possono classificarsi le misure previste in relazione ai giorni del periodo di festa. In generale, nell’intero periodo dal 21 dicembre al 6 gennaio:divieto per gli spostamenti tra Regioni diverse e da/per le Province autonome di Trento e Bolzano, anche per raggiungere le seconde case, dal 21 dicembre al 6 gennaio;vietato spostarsi dalle ore 22 alle ore 5, ogni giorno e dalle ore 22 alle ore 7 del mattino del primo gennaio. È invece fortemente raccomandato, per la restante parte della giornata, di non spostarsi;è prevista la chiusura di bar e ristoranti; è possibile solo l’asporto, dalle ore 5 alle ore 22, mentre la consegna a domicilio è sempre consentita;gli alberghi rimangono aperti in tutta Italia, ma sono vietati veglioni e cene il 31 sera: i ristoranti degli alberghi chiuderanno alle 18, dopo sarà possibile solo il servizio in camera;le celebrazioni religiose sono possibili ma nel rispetto del coprifuoco delle 22 (con conseguente anticipazione delle messe serali);sono chiusi gli impianti per sciatori amatoriali, dal 4 dicembre e fino al 6 gennaio; e sospese le crociere (in partenza, scalo o arrivo in porti italiani) dal 21 dicembre al 6 gennaio;è obbligatorio, per gli italiani che rientrano da turismo all’estero e stranieri in arrivo in Italia tra il 21 dicembre e 6 gennaio, sottoporsi alla quarantena (i.e. sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all'isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni presso l'abitazione o la dimora indicata).3 - Quali sono le misure specifiche in relazione ai singoli giorni?Più specificamente, nei giorni del 24, 25, 26, 27, 31 dicembre e 1, 2, 3, 5, 6 gennaio 2021, è prevista l’applicazione delle misure relative alle “aree rosse”. Di conseguenza è consentito:sempre, anche nelle ore notturne, spostarsi per esigenze lavorative, necessità o per motivi di salute, munendosi di autocertificazione nella quale si indica il motivo stesso. Nei casi di necessità rientra anche: la possibilità di prestare assistenza a persone non autosufficienti, il rientro nel Comune in cui si ha la residenza, il domicilio o in cui si abita con continuità o periodicità. Ciò permetterà, ad esempio, il ricongiungimento di coppie che sono lontane per motivi di lavoro ma che convivono con una certa frequenza nella medesima abitazione;la visita ad amici o parenti, spostandosi al massimo in due persone e una volta sola nell’arco della giornata, dalle ore 5 alle ore 22 (nel conteggio sono esclusi i figli minori di 14 anni, le persone con disabilità e i conviventi non autosufficienti);svolgere l’attività motoria nei pressi della propria abitazione e l’attività sportiva all’aperto ma solo in forma individuale.Rimangono aperti: supermercati, negozi di beni alimentari e prima necessità, farmacie e parafarmacie, edicole, tabaccherie, lavanderie, parrucchieri e barbieri.Sono invece chiusi: negozi, centri estetici.Nei giorni 28, 29, 30 dicembre 2020 e 4 gennaio 2021, è prevista invece l’applicazione delle misure, meno gravi, relative alle “aree arancioni”. Di conseguenza, oltre a quanto già consentito negli altri giorni:è consentito anche spostarsi dai piccoli Comuni (fino a 5mila abitanti) in un raggio di 30km - ma senza poter andare nei Comuni capoluoghi di provincia;sono aperti tutti i negozi fino alle ore 21.4 - Cosa succede in caso di violazione delle misure?Il primo decreto-legge (n. 6/2020) adottato per fronteggiare l’emergenza aveva previsto una sanzione penale, cioè l’applicazione del reato di cui all’art. 650 c.p. in caso di inosservanza delle disposizioni del DPCM. Successivamente, il decreto-legge n. 19/2020 ha espressamente escluso tale conseguenza sanzionatoria.La violazione delle misure prescritte dai D.P.C.M. o dalle Ordinanze ministeriali o regionali è punita oggi con una sanzione amministrativa, da € 400 a € 3.000, aumentata di un terzo se la violazione è compiuta utilizzando un veicolo.È previsto, inoltre, che il trasgressore possa pagare entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo (400€); e la somma è ridotta del 30% se il pagamento è effettuato entro 5 giorni dalla contestazione o notificazione. È possibile corrispondere la somma dovute presso l’ufficio dal quale dipende l’agente accertatore o con versamento in conto corrente postale o, se previsto, con conto corrente bancario o mediante strumenti di pagamento elettronico. Le modalità di pagamento e le relative istruzioni sono comunque indicate nel verbale notificato o comunicato.Inoltre, se l’accertatore dispone di idonea apparecchiatura, è possibile anche pagare immediatamente all’accertatore stesso mediante strumenti di pagamento elettronico (e oltretutto nella misura ridotta del 30%); dopo il pagamento, il verbale viene trasmesso agli uffici di riferimento, viene rilasciata una ricevuta della somma riscossa e nella copia del verbale rilasciata al trasgressore dovrà indicarsi il pagamento. E per le violazioni commesse prima del 25 marzo 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 19)? Poiché il decreto legge n.19 ha abrogato il reato previsto dal d.l. n. 6/2020, nessun cittadino è punibile penalmente in caso di violazione del decreto, neanche per le violazioni commesse prima del 25 marzo. A queste sono invece applicabili le sanzioni amministrative introdotte dal d.l. n. 19, ma nella misura minima ridotta alla metà - cioè 200€.E per chi viola la quarantena?Il d.l. 19/2020 ha previsto “di regola” che la condotta di chi viola la quarantena debba essere qualificata come illecito amministrativo e punita ai sensi dell’articolo 260 del TU delle leggi sanitarie (R.D. 27 luglio 1934, n. 1265). Nei casi più gravi, la violazione potrebbe integrare anche un reato di epidemia colposa, punito ai sensi dell’art. 452 del Codice penale, o (in teoria) anche un più grave reato (come epidemia dolosa o perfino lesioni o omicidio doloso) – anche se tali conclusioni sono state ritenute eccessivamente gravi e sproporzionate. E per le violazioni delle disposizioni del nuovo DPCM e del Decreto Legge 172/2020?Secondo alcuni commentatori, il nuovo DPCM sarebbe privo di sanzioni per la violazione dei divieti di circolazione. Il decreto non ha, infatti, previsto alcuna sanzione e non sarebbero applicabili le sanzioni amministrative previste dai decreti-legge precedenti, in quanto non espressamente richiamate e in ogni caso incongruenti.Questi, infatti, erano relative agli spostamenti interregionali; il blocco della circolazione durante le feste è invece uniforme su tutto il territorio nazionale.Invero, voci governative, come quella espressa da una recente circolare del Ministero dell’Interno (del 7 dicembre) hanno negato questa interpretazione, evidenziando che il DPCM del 3 dicembre è attuativo anche del d.l. 19/2020, che rimanda ai DPCM successivi, compreso il corrente, per l’individuazione di misure di contenimento della pandemia e prevede all’art. 4 le sanzioni amministrative da applicare alle condotte poste in essere in violazione di tali misure, tra cui quelle del DPCM corrente. Tra queste sarebbe indubbiamente ricompresa anche quella che limita gli spostamenti sull’intero territorio nazionale per il periodo natalizio. Il decreto legge del 18 dicembre, n. 172/2020, probabilmente anche per ovviare a questo dubbio interpretativo, ha espressamente stabilito all’art. 1, comma 3, che sia alle violazioni delle nuove misure introdotte dal decreto legge, sia a quelle previste dal DPCM del 3 dicembre si applicano le misure previste dal decreto-legge 19/2020, cioè la sanzione amministrativa prima richiamata. Resta, in ogni caso, la possibilità, nei casi più gravi, di essere puniti ai sensi dell’art. 650 c.p., per inosservanza di un un provvedimento legalmente dato dall'Autorità – diverso dal generico D.P.C.M.; nonché ai sensi del 459 c.p. per falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, nel caso in cui si indichino informazioni non veritiere nelle autocertificazioni necessarie per derogare ai divieti. Si attendono, comunque, ulteriori chiarimenti in ordine alla misure e alle sanzioni predisposte; in relazione a queste e ad ogni altro chiarimento è opportuno consultare periodicamente il sito del Governo e le relative FAQ all’indirizzo http://www.governo.it/it/articolo/domande-frequenti-sulle-misure-adottate-dal-governo/15638, sempre in corso di aggiornamento.Si raccomanda inoltre di consultare il sito http://www.governo.it/it/coronavirus-dieci-regole#:~:text=Le%20Regioni%20hanno%20infatti%20attivato,in%20caso%20di%20necessit%C3%A0 per chiarimenti in relazione alle regole da seguire per evitare i contagi e nel quale sono anche indicati i numeri verdi regionali disponibili per chiarimenti e informazioni, nonché il numero di pubblica utilità 1500 del Ministero della Salute, sempre attivo.Editor: dott.ssa Anna Maria Calvino
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