Egregio Avvocato
Pubblicato il 15 mar. 2021 · tempo di lettura 4 minuti
Dal 2017 si è cominciato a parlare di Enti del Terzo Settore, ma cosa sono? Gli ETS sono gli enti no profit, ossia gli enti non lucrativi, che - oggi - con l’introduzione del Codice del Terzo Settore possono godere di una nuova disciplina unitaria.
1. Cos’è un ETS?
2. Cos’è accaduto con la riforma del 2017?
3. Quali sono i requisiti richiesti?
4. Norme inattuate e profili operativi
1 - Cos’è un ETS?
L’ Ente del Terzo settore (o anche ETS) non è una nuova tipologia di ente – ovvero un tertium genus – ma è una qualifica. Pertanto, ogni ente privato, ad esempio un’associazione o una fondazione, può, al ricorrere di determinati requisiti, assumere la qualifica di “ETS”.
L’art. 4 del Codice del Terzo Settore definisce, infatti, Enti del Terzo Settore “le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società” che sono state costituite con il fine di perseguire, senza scopo di lucro, “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” attraverso l’esercizio di attività di interesse generale e pubblicistico.
Dunque, gli ETS non sono altro che gli enti “no profit” (o “not for profit”): ad esempio un ente di diritto privato che, pur generando utili, non li distribuisce agli associati o fondatori ma li reimpiega per il raggiungimento dello scopo sociale perseguito (si pensi ad un’associazione che al fine di sensibilizzare la collettività al tema dell’inquinamento ambientale vende magliette e reinveste il ricavato in altre attività associative).
2 - Cos’è accaduto con la riforma del 2017?
Prima della riforma, operata con l’attuazione della Legge Delega n. 106 del 6 giugno 2016, le associazioni, le fondazioni e le altre forme associative a-tipiche che operavano nel Terzo settore potevano assumere diverse qualifiche al fine di accedere ad agevolazioni burocratiche e/o fiscali, come, tra le tante, quella di “organizzazioni non lucrative di utilità sociale” (i.e. ONLUS) oppure di “organizzazioni non governative” (i.e. ONG) o, ancora, di “associazioni di promozione sociale” (i.e. APS), ciascuna regolata da un’apposita legge e disciplina speciale.
È facile intuire come prima della riforma il panorama del Terzo settore apparisse piuttosto frammentato. Il Legislatore ha, quindi, sentito la necessità di promuovere una revisione organica della disciplina: creare un’unica fonte normativa di riferimento che potesse meglio sostenere l’autonoma iniziativa di quei cittadini che concorrono a perseguire il bene comune ed elevare i livelli di cittadinanza attiva e di coesione sociale.
Ebbene, il Decreto Legislativo del 3 luglio 2017 n. 117, in attuazione della predetta Legge Delega, ha introdotto nel nostro ordinamento il Codice del Terzo settore (o anche “CTS”) mediante il quale si sono unificati gran parte degli enti privati no profit sotto l’unica categoria degli ETS, dotati di una disciplina civilistica e fiscale unitaria.
Il CTS contiene la nuova disciplina delle organizzazioni di volontariato (ODV) e delle APS, con conseguente abrogazione delle rispettive leggi di riferimento, ed introduce nuove figure quali gli “enti filantropici” e le “reti associative”, nonché istituisce il RUNTS - Registro unico nazionale del Terzo settore, registro nel quale devono essere iscritti tutti gli Enti del Terzo settore.
3 - Quali sono i requisiti richiesti?
L’assunzione della qualifica di Ente del Terzo settore è facoltativa e dipende dalla sussistenza di tre requisiti, l’ente deve:
4 - Norme inattuate e profili operativi
Benché il CTS sia già in vigore dal 3 agosto 2017, ad oggi, il RUNTS non è stato ancora istituito e dalla sua vigenza dipende l’applicazione di alcune norme, tra le quali la disciplina premiale.
Nelle more dell’istituzione del Registro, gli enti già istituiti possono comunque decidere di adeguare i propri statuti alle norme contenute nel CTS, mediante l’ausilio di un notaio, così da ottenere l’iscrizione nel RUNTS una volta istituito.
Peraltro, proprio al fine di agevolare l’inclusione di tutte le realtà no profit all’interno del sistema degli Enti del Terzo settore, il Decreto-legge n. 125 del 7 ottobre 2020 - che aveva previsto la proroga dello stato di emergenza Covid-19 al 31 gennaio 2020 - ha introdotto un ulteriore slittamento del termine al 31 marzo 2021 per l'adeguamento degli statuti di tali enti alle norme del CTS.
Con ciò intendendosi che fino a tale data le ODV, le APS e le ONLUS potranno ancora operare le modifiche statutarie di adeguamento alle norme del Terzo settore con modalità semplificate: in altri termini, posso modificare i propri statuti con le maggioranze previste per le deliberazioni dell'assemblea ordinaria, in deroga alla normativa applicabile e ad eventuali clausole statutarie che impongono quorum costitutivi e deliberativi più elevati.
Per fare un ultimo esempio, le associazioni già costituite possono quindi modificare lo statuto con la presenza di almeno metà degli associati e la maggioranza dei voti espressi ex art. 21, comma 1, c.c., anziché con il quorum costitutivo dei tre quarti degli associati e quorum deliberativo maggiorato che di regola è per le ipotesi di modifiche statutarie ai sensi del comma 2 del predetto articolo 21 c.c.
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Egregio Avvocato
24 ago. 2022 • tempo di lettura 2 minuti
L'assegno di mantenimento e quello divorzile rappresentano un tema spinoso su cui giornalmente si scontrano, purtroppo, decine di famiglie italiane nelle aule di Tribunale. Ancor più problematica diventa la questione allorquando un coniuge, in costanza di matrimonio, ha fatto la bella vita, traendo beneficio dagli introiti del partner, e poi, in caso di separazione, pretende di mantenere un adeguato tenore di vita.Da sempre abbiamo sostenuto che un tale orientamento, oltre che ad essere moralmente scorretto, assume connotati a dir poco paradossali e ci siamo sempre scagliati contro le ingiustizie sperequative del nostro diritto di famiglia, che spesso non rende giustizia alla verità. Ad onor del vero, la crociata contro mantenute e mantenuti ha iniziato a fare breccia nelle coscienze della Giurisprudenza di merito e, di recente, anche in quella di legittimità. Ed invero, una recentissima sentenza della Suprema Corte ha ribadito un principio che aveva già trovato applicazione negli anni passati, e cioè che Perde il diritto all'assegno divorzile chi, in costanza di matrimonio, sceglie di fare la bella vita, rinunciando alla carriera nonostante la colf che bada a casa e figli (Cass. 18697/2022). la ragione di tale decisione si basa, infatti sulla natura dell'assegno divorziale, che presuppone l'inadeguatezza dei mezzi o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive (…). Tanto premesso, e come già sottolineato in passato (Cass. 11504/2017), l'indagine sull'an debeatur dell'assegno divorzile in favore del coniuge richiedente non va ancorata al criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ma quello dell'autosufficienza economica, ma alla luce del contributo fornito alla creazione e all'incremento del patrimonio familiare. Pertanto, chi ha fatto la bella vita a casa senza nemmeno occuparsi dei figli e della casa (compiti, questi, affidati alla colf), nulla ha fatto per la creazione del patrimonio e nulla deve avere in caso di divorzio. Un passo avanti verso un diritto di famiglia più umano e più rispettoso della proprietà privata.
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2 ago. 2025 • tempo di lettura 3 minuti
Oggigiorno, tutti i genitori si trovano costretti a confrontarsi con le nuove tecnologie e, in particolare, con i social, particolarmente amati dai ragazzi. Ovviamente, i figli – soprattutto se adolescenti – vorrebbero poter fare ciò che vogliono sul web. Ma che cosa dice la legge al riguardo? Una recente decisione del Tribunale di Brescia (Tribunale di Brescia, sentenza n. 879 del 4 marzo 2025) fa luce su questo aspetto della vita quotidiana: i genitori devono controllare i profili social dei figli minorenni, soprattutto quando sussiste una condizione di maggiore fragilità e/o immaturità. La sentenza merita attenzione anche perché tocca il tema dei contenuti intimi manipolati tramite software. Ai genitori, quindi, toccherà un dovere di sorveglianza rafforzato anche sui sistemi di intelligenza artificiale, sempre più utilizzati dai ragazzi per creare o modificare i contenuti. Le ultime pronunce sono univoche nel rafforzare i doveri di controllo dei genitori: l’obbligo di vigilanza sui figli si deve tradurre in una limitazione sia quantitativa che qualitativa dell’accesso ai social network, per evitare che vengano utilizzati in modo non adeguato da parte dei minorenni. Questo dovere persiste anche in presenza di limitate competenze tecnologiche da parte dei genitori, i quali sono tenuti ad adottare misure adeguate per comprendere e controllare l'uso che i figli fanno delle piattaforme digitali.In altre parole, i genitori sono tenuti non solo a impartire ai figli minorenni un’educazione all’uso delle tecnologie consona alle proprie condizioni socio-economiche, ma anche a verificare che abbiano acquisito i valori insegnati. Al riguardo, la Giurisprudenza appare costante. Ricordiamo, a titolo esemplificativo, una interessante pronuncia dell’agosto del 2020 del Tribunale di Parma, che, giustamente, ha incluso l’educazione digitale tra i doveri genitoriali e ha richiesto “una supervisione costante dei dispositivi elettronici da parte di entrambi i genitori, con filtri adeguati per evitare contenuti inappropriati”.Ma vi è ancor di più: l’obbligo in capo ai genitori può addirittura comportare un risarcimento del danno a terzi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2048 c.c. che prevede la responsabilità dei genitori per i danni cagionati dai figli minori non emancipati che abitano con essi, salvo prova di non aver potuto impedire il fatto. Questo implica un dovere di vigilanza attiva e continua sull'attività dei figli, inclusa quella online. Al riguardo, il Tribunale di Termini Imerese, con la sentenza 304/2024, si è occupato del caso di una ragazza dodicenne che aveva aperto un profilo social sul cellulare dei genitori senza condividere con loro la password. Per il giudice tale condotta integra una violazione dell’obbligo di controllo (articolo 2048 c.c.), incardinando in capo ai genitori la responsabilità per “culpa in educando”. La precoce emancipazione dei minori non esclude né attenua la responsabilità dei genitori, i quali, come detto, hanno un onere rafforzato di impartire ai figli l’educazione necessaria, che comprenda anche il corretto utilizzo di software e dispositivi digitali, intelligenza artificiale inclusa. Anche la Cassazione sposa questo orientamento: La Suprema Corte (Cass. 27061/2024) afferma, infatti, che esiste una responsabilità diretta dei genitori che concorre con quella del minore per non aver impedito il fatto dannoso. In questo contesto, gli Ermellini evidenziano che l'obbligo di vigilanza dei genitori non può essere delegato o trascurato, soprattutto in relazione all'uso delle nuove tecnologie da parte dei figli.Le recenti pronunce ribadiscono, quindi, l'importanza di un controllo attento e costante da parte dei genitori sull'attività online dei figli minorenni, quale completamento del generale dovere di educare la prole. L'obbligo di vigilanza de quo comprende la supervisione dei profili social, inclusi quelli falsi, e non può essere eluso invocando scarse competenze informatiche. La mancata osservanza di tali doveri può comportare significative conseguenze legali, tra cui sanzioni pecuniarie per danni derivanti da condotte illecite dei minori. Non basta dire ai figli cosa è giusto: è necessario verificare che lo mettano in pratica.La precoce autonomia digitale dei minori non solleva i genitori dalle loro responsabilità. Al contrario, li obbliga a educare in modo ancora più attento e moderno. Serve un impegno reale nell’insegnare e verificare l’uso corretto delle tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale.
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4 ott. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
Il diritto di accesso agli atti amministrativi, in ossequio al principio di trasparenza dell’azione pubblica, consente ai cittadini di ottenere una informazione qualificata, di accedere ai documenti amministrativi e conoscere, nei limiti precisati dalla legge, lo stato dei procedimenti amministrativi che li riguardano, seguendo le fasi attraverso cui l’attività amministrativa si articola. Vediamo come tale diritto è riconosciuto e tutelato nel nostro ordinamento.Che cosa si intende per “diritto di accesso agli atti amministrativi”?Le tre tipologie di accesso codificate dal legislatore: cenniL’accesso procedimentale 3.1. Presupposti 3.2. Limiti 3.3. Procedimento1 - Che cosa si intende per “diritto di accesso agli atti amministrativi”?Il diritto di accesso è uno strumento che consente la partecipazione dei cittadini all’azione amministrativa, permettendo loro di esercitare un controllo sull’agire pubblico. Si tratta di un istituto che affonda le proprie radici nel principio di trasparenza della Pubblica Amministrazione. Per trasparenza, in particolare, si intende l’accessibilità dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini e di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. La trasparenza, pertanto, concorre a attuare i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse. Come principio ha un fondamento espresso in ambito sovranazionale: l’art. 15 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE affermano, infatti, che “Qualsiasi cittadino dell'Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell'Unione, a prescindere dal loro supporto (…)”. Il TFUE, inoltre, impone agli Stati di garantire la trasparenza dei propri lavori e di definire nel proprio regolamento interno disposizioni specifiche riguardanti l'accesso ai propri documenti.Vediamo allora come l’ordinamento italiano ha disciplinato il diritto di accesso.2 - Le tipologie di accesso agli atti amministrativi codificate dal legislatore: cenniIl nostro ordinamento conosce tre diverse tipologie di diritto di accesso agli atti amministrativi, rispondenti a esigenze diverse e caratterizzate da presupposti differenti:accesso procedimentale: consente a chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale di accedere ad un documento e di estrarne copia. Può essere esercitato solo nell’ambito di un procedimento amministrativo, cioè quella particolare procedura che culmina con l’adozione di un provvedimento amministrativo;accesso civico: nella sua forma “semplice” consente a chiunque, a prescindere da un interesse diretto, concreto e attuale, di prendere visione dei dati, delle informazioni e dei documenti per cui sussiste un obbligo di pubblicazione in capo alla p.a.; nella sua forma “generalizzata”, invece, consente a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle amministrazioni pubbliche, ulteriori rispetto a quelli per i quali vige un obbligo di pubblicazione.In questo contributo ci concentreremo sull’accesso procedimentale e approfondiremo, prossimamente, le altre due tipologie di accesso.3 - Accesso procedimentaleL’accesso procedimentale è disciplinato dalla l. 241/1990 e dal d.p.r. 184/2006: ai sensi dell’art. 10 della l. 241/1990 consiste nel diritto di “prendere visione degli atti del procedimento”. Questa tipologia di accesso, pertanto, può esercitarsi soltanto nell’ambito di un procedimento amministrativo.3.1 - PresuppostiCome abbiamo anticipato, i soggetti legittimati ad esercitare il diritto di accesso sono, ai sensi dell’art. 22 della l. 241/1990 tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Pertanto, la facoltà di accedere ai documenti detenuti dalla p.a. non è attribuita a chiunque ma unicamente ai soggetti titolari di una posizione differenziata e collegata al documento di cui si chiede l’ostensione.I soggetti passivi del diritto di accesso, cioè coloro nei confronti dei quali il diritto si esercita, sono le pubbliche amministrazioni, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici e i gestori di pubblici servizi, nonché i privati limitatamente alla loro attività di pubblico interesse. Oggetto del diritto di accesso sono i “documenti amministrativi”, nel senso precisato dall’art. 22 della l. 241/1990. Si tratta di una definizione ampia, che comprende atti non solo scritti su supporto cartaceo ma anche in formato digitale; non soltanto i provvedimenti finali ma anche gli atti interni o endoprocedimentali; non solo gli atti amministrativi ma anche gli atti formati dai privati che confluiscono nel procedimento, come pareri legali o progetti tecnici. 3.2 - LimitiL’art. 24 l. 241/1990 prevede, poi, alcune ipotesi di esclusione dal diritto di accesso. In primo luogo, non sono suscettibili di essere conosciuti dai cittadini: i documenti coperti da segreto di Stato;i documenti oggetto di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge; i procedimenti tributari; l'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione; i procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi. È previsto, inoltre, un generale divieto dell’accesso che sia finalizzato ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. 3.3 - ProcedimentoPer poter accedere a un documento amministrativo, l’interessato deve presentare un’istanza di accesso all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. Tale richiesta deve essere motivata, deve contenere l’indicazione degli estremi del documento e deve far constatare l’identità del richiedente. L’istanza può essere presentata fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere.L’istanza può essere di due tipologie, a seconda delle peculiarità del caso concreto:qualora, in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di controinteressati (soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio del diritto di accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza), l’accesso è informale: può essere esercitato mediante richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione, che esamina immediatamente e senza formalità la richiesta e la accoglie mediante esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra modalità idonea;qualora, invece, risulti, alla stregua delle informazioni esistenti, l'esistenza di controinteressati ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell'interesse ovvero sull'accessibilità del documento, l’accesso è formale: l’istante dovrà formalizzare l’istanza utilizzando l'apposito modulo (chiamato “Richiesta di accesso agli atti”) da presentare all'ufficio che detiene l'atto o allo Sportello Unico Servizi. A seguito della domanda di accesso, si aprono quattro possibili scenari:l’amministrazione accoglie l’istanza: in questo caso il privato può esercitare il diritto di accesso mediante esame gratuito ed estrazione di copia del documento, quest’ultima subordinata al rimborso del costo di riproduzione; l’esame è effettuato direttamente dal richiedente o da persona da lui incaricata. L’amministrazione può anche accogliere parzialmente l’istanza, limitando la portata dell’accesso solo ad alcune parti del documento: in questo caso deve espressamente motivare la propria scelta;l’amministrazione differisce l’accesso: in questo caso l’amministrazione deve motivare le ragioni per cui ritiene opportuno differire l’accesso. La legge prevede, inoltre, che l’accesso non può essere negato laddove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento;l’amministrazione nega l’accesso: il rifiuto può avvenire quando siano carenti i requisiti di legittimazione del richiedente e di relativa motivazione o quando gli atti richiesti siano sottratti all’accesso; in tal caso c’è un obbligo di motivazione;l’amministrazione rimane inerte: ai sensi dell’art. 25 co. 4 l. 241/1990, trascorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta questa si intende respinta (c.d. “silenzio-rigetto”).Contro il diniego o il differimento dell’accesso, il richiedente può presentare un ricorso giurisdizionale al giudice competente o un ricorso amministrativo al difensore civico (per gli atti degli enti territoriali) o alla Commissione nazionale per l’accesso (per gli atti delle amministrazioni statali).Il ricorso deve essere notificato agli eventuali controinteressati e deve essere presentato nel termine di trenta giorni dalla piena conoscenza del provvedimento impugnato o dalla formazione del silenzio rigetto sulla richiesta d'accesso. Nel termine di quindici giorni dall'avvenuta comunicazione i controinteressati possono presentare le loro controdeduzioni. Editor: dott.ssa Elena Pullano
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Egregio Avvocato
2 ago. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
Il codice civile agli articoli 150, 151, 154 e 158 disciplina la separazione personale dei coniugi.L’istituto, che si differenzia nettamente rispetto al divorzio, consiste in una situazione di legale sospensione dei doveri reciproci dei coniugi, salvi quelli di assistenza e di reciproco rispetto.In particolare, la separazione è quella situazione temporanea dove il vincolo matrimoniale si allenta ma non si scioglie e costituisce un rimedio al venir meno dell’affectio coniugalis.La funzione dell’istituto è duplice: mantenere vivo il vincolo coniugale, che può sempre tornare alla sua piena efficienza con la riconciliazione (art. 157 c.c.) o predisporre le basi per il successivo scioglimento del vincolo.Quanti tipi di separazione sono disciplinati dal codice civile?Cosa s’intende per separazione di fatto?Quali sono gli effetti della separazione personale dei coniugi?A chi spetta il diritto di chiedere la separazione?1 – Quanti tipi di separazione sono disciplinati dal codice civile?Ai sensi dell’articolo 156, comma II, c.c. la separazione può essere: a) giudiziale, se ha il suo presupposto nell’intollerabilità della convivenza o nel grave pregiudizio per l’educazione dei figli ed è pronunciata dal Tribunale ad istanza di uno o di entrambi i coniugi (art. 151 c.c.); b) consensuale, se ha il suo presupposto nel consenso dei coniugi ed avviene per accordo delle parti che dovrà essere omologato dal Tribunale (art. 158 c.c.). In entrambe le ipotesi si parla di separazione legale, in quanto lo status di vita separata si instaura tra i coniugi soltanto a seguito di un provvedimento giurisdizionale.Vi sono, inoltre, forme particolari di separazione, che pur trovando la loro disciplina in un provvedimento giurisdizionale non comportano la modificazione dello status coniugale: a) separazione temporanea disposta in pendenza del giudizio di nullità del matrimonio davanti ai tribunali civili; b) la separazione ordinata dal presidente del Tribunale in sede di provvedimenti temporanei e urgenti durante il giudizio di separazione.2 - Cosa s’intende per separazione di fatto?Lo status di coniuge legalmente separato può nascere solo da una sentenza di separazione giudiziale o dall’omologazione di una sentenza consensuale.Tuttavia, i coniugi possono porre fine alla convivenza dando vita a situazioni che non sono irrilevanti per l’ordinamento e che producono determinati effetti giuridici, in parte diversi rispetto a quelli prodotti dalla separazione legale.La separazione di fatto richiede la cessazione della convivenza dei coniugi. Non costituiscono, pertanto, separazione di fatto le ipotesi (viaggi, ricoveri in ospedale, servizio militare) nelle quali la coabitazione sia temporaneamente interrotta senza che si verifichi alcuna frattura dell’affectio coniugalis. Costituisce separazione di fatto anche la separazione consensuale non omologata, quando i coniugi concordano la cessazione della convivenza senza far ricorso all’autorità giudiziale.La separazione di fatto rileva quale fondamento dell’azione di disconoscimento della paternità, non comporta il venir meno della presunzione di concepimento e non determina lo scioglimento della comunione legale.3 - Quali sono gli effetti della separazione personale dei coniugi?La separazione, come innanzi detto, non scioglie il matrimonio ma sospende soltanto alcuni doveri reciproci dei coniugi, quali quelli legati alla vita in comune.In particolare, il dovere di fedeltà si riduce al mero dovere di rispetto dell’onorabilità del coniuge, vengono meno gli obblighi di convivenza e di collaborazione, ma la moglie conserva il cognome del marito. Quanto ai rapporti patrimoniali, si scioglie la comunione legale ma permangono il fondo patrimoniale e l’impresa familiare.A fronte della separazione, sorge l’obbligo in capo al coniuge di fornire all’altro coniuge, se privo di adeguate risorse economiche, i mezzi necessari per le ordinarie esigenze di vita. Il mantenimento in favore dei figli, invece, grava su entrambi i genitori in misura proporzionale al reddito di ciascuno.4 - A chi spetta il diritto di chiedere la separazione?La separazione può essere chiesta da uno o da entrambi i coniugi, compreso il coniuge che con il suo comportamento abbia cagionato l’intollerabilità della convivenza o la situazione pregiudizievole ai figli. Nel giudizio di separazione la qualità di parte spetta esclusivamente ai coniugi e non può essere riconosciuta ai parenti di questi, neppure al fine di tutelare più efficacemente gli interessi dei figli minori.Il diritto di chiedere la separazione è: a) personalissimo, né deriva l’intrasmissibilità agli eredi, poiché il diritto cessa con la morte del suo titolare e non è ammissibile la prosecuzione in giudizio da parte degli eredi; b) indisponibile, ciò comporta che la separazione non può essere oggetto di compromesso per arbitrato; c) imprescrittibile. È consentita la rappresentanza volontaria dei coniugi da parte di procuratori speciali delimitando l’ambito che la parte rappresentata intende far valere a mezzo del rappresentante.Per l’interdetto non può agire il tutore il quale, tuttavia, ha la legittimazione passiva nel giudizio di separazione promosso dall’altro coniuge.Editor: Avv. Elisa Calviello
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