Violazione del codice della strada: impugnazione ed altri rimedi

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Pubblicato il 10 mag. 2021 · tempo di lettura 5 minuti

Violazione del codice della strada: impugnazione ed altri rimedi | Egregio Avvocato
Il cosiddetto “Nuovo Codice della Strada” è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico con il Decreto Legislativo n. 285 del 30 aprile 1992, venendo più volte integrato, aggiornato e modificato.
La violazione di una norma del Codice della Strada comporta, come ovvio, la comminazione di una sanzione amministrativa: la più comunemente nota “multa”.
Ma quali sono le alternative per chi dovesse ricevere la contestazione immediata o la notifica differita di un verbale di accertamento di violazione del Codice della Strada? 




  1. Il pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa
  2. Il ricorso al Prefetto 
  3. Il ricorso al Giudice di Pace
  4. Quali sono i possibili vizi del provvedimento sanzionatorio?


1 - Il pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa


Una prima possibilità concessa all’utente della strada destinatario di un verbale di accertamento di violazione del Codice della Strada è fornita dall’art. 202 dello stesso codice, laddove si prevede il c.d. pagamento in forma ridotta.

Difatti, per tutte le violazioni per le quali è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria, il Codice della Strada stabilisce che il trasgressore sia ammesso a pagare, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o dalla notifica, una somma pari al minimo fissato dalle singole norme che abbia violato.

Con l’ulteriore specificazione che tale somma si riduce del 30% nel caso in cui il pagamento dovesse essere effettuato entro cinque giorni dalla detta contestazione o notifica.

Tuttavia, questa possibilità non è sempre concessa. Infatti, lo stesso articolo 202 prevede che il pagamento in forma ridotta non sia possibile nei casi di violazioni più gravi, quali ad esempio quelle che prevedono la confisca del veicolo o la sospensione della patente.


2 - Il ricorso al Prefetto


Altra via percorribile è quella di presentare ricorso al Prefetto competente per territorio al fine di contestare la fondatezza del verbale di accertamento oppure far valere eventuali vizi di legittimità. 

Il ricorso al Prefetto – disciplinato dagli articoli 203 e 204 del Codice della Strada – deve essere presentato, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricevimento del verbale, al Prefetto del luogo della violazione contestata.

Il Prefetto dovrà esaminare il ricorso e l’eventuale materiale probatorio acquisito insieme alle controdeduzioni dell’organo che ha accertato la violazione e, al termine dell’istruttoria – comunque non oltre 120 giorni, pena il silenzio – accoglimento del ricorso – adotta il proprio provvedimento. 

In particolare, il Prefetto potrà adottare, in caso di accoglimento del ricorso, un’ordinanza motivata di archiviazione degli atti oppure, in caso di rigetto, un’ordinanza – ingiunzione con la quale ingiunge il pagamento di una somma determinata, nel limite non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione accertata.


3 - Il ricorso al Giudice di Pace


Avverso l’ordinanza di rigetto del Prefetto o, anche, direttamente avverso il verbale di accertamento della violazione, a pena di inammissibilità entro il termine di trenta giorni è possibile presentare opposizione al Giudice di Pace competente per territorio. 

In questi giudizi il ricorrente può stare in giudizio personalmente, senza rivolgersi, quindi, ad un avvocato.

L’atto introduttivo del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa è il ricorso che dovrà contenere tutti gli elementi previsti dalla legge: indicazione dell’autorità giudiziaria competente, indicazione delle generalità del ricorrente, individuazione della pubblica amministrazione convenuta, indicazione degli estremi dell’atto da impugnare, esposizione dei fatti e dei motivi su cui si fonda il ricorso, nonché indicazione di mezzi di prova e documenti che si offrono in comunicazione.

Ovviamente sono previsti dei costi, consistenti nel pagamento del contributo unificato in base al valore della controversia.

Il relativo giudizio si concluderà con una sentenza emessa dal Giudice di Pace, la quale potrà essere di accoglimento, con conseguente annullamento, in tutto o in parte della sanzione amministrativa opposta, ovvero di rigetto, con condanna al pagamento della sanzione della quale procede egli stesso a determinare l’importo. 

In caso di condanna, il pagamento dovrà avvenire entro i trenta giorni successivi alla notifica della sentenza.

Avverso tale sentenza, il ricorrente opponente potrà proporre appello dinanzi al Tribunale competente e, eventualmente, ricorso per Cassazione rispetto alla sentenza del Tribunale stesso, ma in entrambi i casi necessariamente dovrà avvalersi della difesa tecnica a mezzo di un avvocato.


4 - Quali sono i possibili vizi del provvedimento sanzionatorio?


Tra i possibili motivi di ricorso – sia esso davanti al Prefetto o al Giudice di Pace – certamente va menzionato l’accertamento della sussistenza di vizi che rendano nullo il provvedimento amministrativo di constatazione della violazione a norme del Codice della Strada.

Tali vizi sono molteplici, ma è possibile esaminare i principali.

In primo luogo, è opportuno ricordare che un verbale affinché si possa reputare legittimo deve essere notificato tempestivamente nel termine massimo di novanta giorni dall’illecito contestato. Qualora tale termine non dovesse essere rispettato, la contravvenzione è da reputarsi nulla.

Il Codice della Strada, inoltre, prevede che il verbale debba contenere, obbligatoriamente, tutta una serie di elementi che, mancando, lo viziano da un punto di vista formale. Ad esempio, sono vizi di forma l’omessa indicazione della data e dell’ora in cui è avvenuta l’infrazione contestata oppure l’omessa o l’errata indicazione delle norme violate.

Va, comunque, precisato che un vizio di forma non sempre rende nullo un verbale. Difatti, tale effetto si ha solamente nell’ipotesi in cui l’errore comporti una compromissione dei diritti di difesa, garantiti dalla Costituzione, del contravventore. Ne consegue che gli errori non comporteranno nullità se compensati da altri elementi contenuti nel medesimo verbale. 

Caso particolare e certamente discusso è rappresentato dalla mancata o non corretta indicazione della norma violata. 

Come detto questo elemento è certamente essenziale ma, come ha anche specificato la Corte di Cassazione (sul punto si veda Cass. Sent. n. 11421/2009), la sua omissione o errata indicazione non comporterà nullità della contestazione laddove il verbalizzante abbia in ogni caso descritto in maniera completa ed esauriente il fatto contestato, informando della possibilità del pagamento in misura ridotta o dei ricorsi esperibili dinanzi al Prefetto o al Giudice di Pace e, in sostanza, non ledendo il diritto di difesa del contravventore.


Editor: avv. Marco Mezzi

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Il principio di autodeterminazione al trattamento sanitario

4 apr. 2022 tempo di lettura 11 minuti

Quando si parla di consenso alle cure del paziente, s’intende una manifestazione di volontà con connotati e modalità precise e fissate dalla legge. La violazione del consenso da parte del medico si realizza sia nel caso di assoluta mancanza di consenso, come anche in presenza di vizi nel procedimento di acquisizione dello stesso. Il processo informativo, infatti, è il requisito fondamentale e strumentale alla garanzia della libera e consapevole approvazione del paziente alla proposta terapeutica, il quale può anche incontrare dei limiti, seppur sempre fissati dalla legge.Esempio concreto di ciò è quanto accaduto a Modena in occasione del ricovero di un bambino con un grave problema cardiaco, il quale, secondo i genitori, poteva essere operato dalla struttura sanitaria solo a condizione che fosse adoperato sangue da persone non vaccinate contro il coronavirus, nel caso in cui si fosse resa necessaria una trasfusione. 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Il presupposto fondamentale dell’informazione, quale elemento necessario per una corretta formazione della volontà del paziente, è stata riconosciuta negli ultimi decenni. In particolar modo ricordiamo la presa di posizione del Comitato Nazionale per la Bioetica che, nel 1992, ha affermato che il diritto all’informazione deve essere finalizzato a porre il paziente in grado di autodeterminarsi e di poter prendere decisioni consapevoli in ambito sanitario.Da qui, anche a seguito dei molteplici interventi di dottrina e giurisprudenza, si è giunti successivamente alla nuova normativa dettata dalla L. n. 219/2017 che presenta le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, in cui gli obblighi informativi a carico del medico sono stati regolati in maniera dettagliata con un’analisi completa della disciplina stessa.2 - Quali sono gli obblighi informativi a carico del medico?Il processo informativo che utile e valido volto all’acquisizione del consenso del paziente, prevede molteplici punti da affrontare, laddove quello più importante è quello relativo all’oggetto e quindi il contenuto dell’informazione. L’operatore sanitario, infatti, deve procedere al compimento di più obblighi informativi allo scopo di rendere edotto il paziente sulle sue condizioni di salute.In primo luogo, vi è la diagnosi. Questa consta dell’individuazione della malattia, di tutte le caratteristiche della stessa, anche in merito alla localizzazione e alla natura e rappresenta il primo momento, fondamentale dell’informazione al paziente, il quale ha il pieno diritto di conoscere il proprio stato di salute. A seguito della diagnosi vi è la prognosi e in questo caso l’operazione da effettuare per il sanitario è differente perché si tratta del giudizio di previsione probabilistico circa il decorso e l’esito della malattia. Questo giudizio risulta fondamentale in quanto, permette di mettere il paziente al corrente dell’andamento della propria malattia, permettendogli di scegliere in modo informato sulla propria scelta terapeutica con cognizione di causa. Tra la diagnosi e della prognosi potrebbe esserci l’accertamento diagnostico che il medico intende porre in atto. Infatti in questa fase il medico deve indicare al paziente l’intervento che egli ritiene più opportuno da realizzare, configurando la reale proposta terapeutica a cui seguirà il possibile assenso o dissenso del paziente.Altro presupposto centrale dell’accertamento diagnostico è quello relativo al fatto che il medico deve informare il paziente relativamente ai i benefici e i rischi derivanti dall’intervento indicato. 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Ciò sicuramente dipende dal tipo di intervento, dall’invasività dello stesso ma anche dalla complessità o normalità del caso prospettato.In genere, si ritiene che quanto più l’intervento sia complesso o rilevante dal punto di visto dell’integrità psico-fisica del paziente, tanto più il medico dovrà rendere un quadro dei rischi più completo possibile, rappresentando al soggetto cui si richiede il consenso anche le eventuali complicanze, gli effetti collaterali e le problematiche che possono intervenire sul post-intervento, anche quelle più isolate ed insolite. Da quanto detto ne può discendere il rifiuto del paziente e quindi il dissenso. Il paziente ha il pieno diritto di autodeterminarsi e quindi anche di rifiutare le singole o tutte le cure prospettate e queste sue decisioni devono essere ben ponderate e quindi il medico dovrà prospettare in modo completo ed esaustivo le possibili conseguenze del rifiuto.Proprio per tal motivo il medico non si dovrà limitare nel fornire le informazioni, proponendo soltanto una singola cura e le possibili conseguenze della stessa, ma dovrà fornire varie e diverse cure prospettabili per il caso concreto, se esistenti. Dunque, l’informazione al trattamento comprenderà tutte le diverse valutazioni mediche con gli i rischi e benefici che ne derivano. In ogni caso, anche se il paziente ha inizialmente dichiarato il proprio consenso all’operazione sanitaria prospettata dal medico, potrà, in qualsiasi momento, revocare il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, come accade per la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, quindi anche in caso di interventi salva-vita.3 - Specificità e personalizzazione dell’informazione da richiedereDopo aver prospettato il contenuto dell’informazione medica, si deve sottolineare come non sia possibile determinare in via generale e astratta il puntuale e identico contenuto dei doveri informativi, tale da poter formare e creare un regime informativo valevole sempre ed in qualsiasi tipo di circostanza per ogni tipo di intervento medico. Infatti, non è possibile avere un unico livello di informazione, in quanto l’informazione assume connotati diversi e cangianti a seconda del tipo di intervento che si prospetta.Vi sono notevoli differenze perché nel caso in cui si sia in presenza di un semplice accertamento diagnostico o di una ordinaria visita medica, l’oggetto dell’informazione sarà basico e routinario, in quanto la situazione fattuale non presenta problemi relativi al calcolo rischi e benefici del trattamento o quello della rappresentazione di diagnosi e prognosi. Così come anche nel caso in cui si sia in presenza di accertamenti quotidiani, a seguito di una cura già prospettata e avviata dal paziente con il medico curante. In questo caso, trattandosi di una prestazione sanitaria ripetitività, ma anche eseguita su una pluralità di altri pazienti, nel caso in cui siano anche significativamente poco incidenti sulle condizioni psico-fisiche del paziente, in merito anche agli eventuali rischi ricadenti sullo stesso, l’attività d’informazione al trattamento richiederà un’attività meno intensa e specifica.A contrario, nel caso in cui il trattamento e le informazioni da rendere dovessero andare oltre la terapia, realizzando scopi diversi da quello della semplice guarigione dallo stato patologico, l’informazione allora avrà caratteri ancora sempre più specifici, dovendo completarsi ed integrarsi con contenuti atti a rendere l’informativa utile e completa. Per quanto riguarda le modalità dell’informazione, fondamentale è il linguaggio usato dal medico.Si ritiene che il linguaggio debba essere quanto più chiaro possibile, rispetto anche al livello culturale e la conoscenza e comprensione del paziente.Il medico deve fornire al paziente le conoscenze atte ed in grado di permettergli di percepire e accettare con piena consapevolezza le cure alle quali sottoporsi.Il dialogo non si deve arrestare al solo contenuto delle informazioni date dal medico ma si deve analizzare con cura il dialogo fra le parti. Ciò, quindi, implica che l’informazione non sia univoca ma deve consistere in una cooperazione fra le parti, quindi, in una conversazione fra le parti. Il paziente deve avere la possibilità di esprimere i suoi dubbi e le sue incertezze, al fine di poter ottenere maggiori informazioni sul proprio trattamento. È necessario che l’informazione sia anche personalizzata. Questa, infatti, dovrà essere regolata e proporzionata alla particolare situazione del paziente, risulta fondamentale che il medico conosca le condizioni del paziente, la sua situazione personale, familiare, lavorativa e relazionale, ma anche le sue esigenze e aspettative terapeutiche. L’informazione dovrà essere sempre onesta e veritiera, il medico deve utilizzare un linguaggio non traumatizzante e quindi usare sempre la massima sincerità e accortezza e, in caso di prognosi infausta, lasciare spazio, ove possibile, ad un margine di speranza per il paziente, in modo che quest’ultimo si possa autodeterminare in modo chiaro e libero da condizionamenti esterni. 4 - Il caso del bambino di Modena, fino a che punto può spingersi il principio di autodeterminazione?Il caso avvenuto a Modena, nel febbraio del 2022, ha avuto notevole risalto mediatico in tutta Italia. Trattasi del caso di un bambino di due anni, ricoverato all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, il quale necessitava con urgenza di un intervento chirurgico al cuore che a causa delle resistenze dei genitori, i quali si sono dichiarati contro alla trasfusione del sangue al piccolo da parte di donatori vaccinati al virus covid-19, ha comportato il serio rischio di poter procurare danni ingenti alla salute del bambino se non addirittura, condurlo alla morte.In questo caso si è di fronte allo scontro di due diritti fondamentali all’interno dell’ordinamento italiano. Da un lato, il diritto alla salute, diritto costituzionalmente garantito ex. art. 32; il cui portatore primario è il bambino di due anni che come documentato dai vertici medici dell’ospedale, necessità dell’intervento chirurgico programmato, e che lo stesso “non sia rinviabile"; occorrendo "procedere con urgenza al ricovero e all’intervento". Dall’altro lato, invece, vi è il diritto alla libera autodeterminazione al trattamento, unitamente al diritto alla libera professione della propria religione, in quanto oltre al timore del “sangue infetto”, come definito dai genitori del bambino, venivano addotte anche motivazioni religiose, le quali contrastano con l’eventuale donazione di sangue da parte di soggetti vaccinati. Tali motivazioni religiose si rinvengono sul presupposto per cui i genitori non accettano che al piccolo venga somministrato sangue di persone vaccinate con sieri che utilizzerebbero in fase sperimentale e/o di produzione cellule umane ricavate da feti abortiti volontariamente.A seguito della notizia ricevuta dall’ospedale, la Procura per i minorenni aveva presentato ricorso. Il tribunale oltre a sospendere in via provvisoria la potestà genitoriale alla madre e al padre, ha nominato curatore speciale la direttrice del policlinico.In questo caso, si è proceduto, come avviene normalmente in questi casi, ad un bilanciamento di interessi tra diritti costituzionalmente tutelati come quello alla salute da un lato e quello all’autodeterminazione e religioso dall’altro e tocca all’interprete, in questo caso il giudice, valutare nel caso concreto, quale interesse sia preminente a seguito del bilanciamento effettuato.Il giudice tutelare di Modena, sentite le ragioni del policlinico Sant'Orsola sulla necessità dell'intervento e sulla sicurezza del sangue, non risultando alcuna diversa ragione per temere, in caso di trasfusione di sangue da parte di soggetti vaccinati, ha ritenuto opportuno, tutelando in prima battuta la salute del bambino, dare l’assenso per il procedersi dell’operazione e della trasfusione del sangue.Nel caso in esame, l’interprete ha valutato sulla base di una serie di fattori, tra cui l’interesse preminente del minore, l’urgenza del trattamento terapeutico e l’infondatezza scientifica delle motivazioni avanzate dai genitori del minore che, valutate nel loro insieme, hanno permesso di legittimare la correttezza del trattamento sanitario ma allo stesso tempo, l’insussistenza delle rimostranze effettuate dai genitori.Più in generale, si può affermare che in caso di paziente in età adulta, il principio dell'autodeterminazione è decisivo in virtù dell’art. 32 della Costituzione, la quale impone che: "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".Per quanto riguarda i minori l'approccio è diverso. Nonostante in passato si fosse trovato un accordo in merito alla "Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati", che nel caso in cui non ci fosse stata una circostanza di urgenza e in uno stato di necessità, doveva essere una commissione di medici, tra i quali rappresentativi della professione religiosa in contrasto con il trattamento, a valutare il caso concreto, a considerare se esistessero possibilità di autotrasfusione o di tecniche medico-chirurgiche alternative e, infine, a decidere a maggioranza. La proposta, però, non è stata accolta, da parte della commissione redigente la norma.In ogni caso, oltre all’urgenza che caratterizzava la situazione in esame, la quale ha dato una spinta ulteriore per autorizzare l’ospedale, in caso di conflitto irrisolto tra genitori e autorità sanitarie si affida la decisione alla Procura presso il Tribunale dei minorenni. Questa, sospendendo temporaneamente la responsabilità genitoriale, dispone un provvedimento basato in via esclusiva su criteri medico-scientifici. Si può affermare che quanto è avvenuto per la vicenda del bambino di Modena, rientra nel corretto uso dei poteri del giudice relativamente al bilanciamento degli interessi e diritti costituzionalmente garantiti, come quello all’autodeterminazione e al trattamento sanitario.Editor: dott. Giuseppe Sferrazzo

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Egregio Avvocato

Tradimento e social

9 mag. 2023 tempo di lettura 2 minuti

Una vexata quaestio su cui da tempo si interrogano i Giudici di merito e di legittimità attiene al valore probatorio delle foto postate sui social media. In passato, non pochi tribunali avevano considerato tali foto come un'evidente prova di un legame affettivo, facendo da esso derivare anche la implicita convivenza delle parti, senza necessità di alcun ulteriore elemento probatorio. Certo, va sottolineato come una decisione assunta in un Tribunale è sempre frutto di una valutazione complessiva di tanti fattori diversi, ma non possiamo sottacere come - a nostro modesto parere - se si postano delle foto sui social che ritraggono una persona in atteggiamenti "amorevoli" con un'altro, è lecito supporre e dedurre che tra i due ci sia una relazione, che ben potrebbe essere corroborata anche da una convivenza more uxorio. La vicenda, tutt'altro che pacifica, appare adesso ricevere uno scossone proprio dalla Suprema Corte (Cassazione civile, sez. I, ordinanza 30 marzo 2023, n. 8988). Ed invero, nella sentenza su richiamata gli Ermellini hanno escluso la rilevanza delle foto su Facebook ai fini della prova della convivenza more uxorio, dichiarando in tal modo legittima la decisione dei Giudici di merito, i quali, secondo il principio del libero convincimento ex artt. 115 e 116 cpc, avevano in precedenza in tal senso deciso. Osservano i Giudici di legittimità come, in effetti gli estratti dai profili social e le foto su Facebook possano essere idonei a dimostrare il legame sentimentale fra l'ex coniuge e il nuovo fidanzato, ma non la convivenza ai fini della revoca dell’assegno divorzile. Tale convincimento può derivare solo tramite ulteriori elementi probatori, ad esempio tramite testimoni, che devono avere i classici carismi di oggettività ed assenza di vincoli nei confronti delle parti in causa, La sentenza appare condivisibile da un punto di vista strettamente giuridico, ma solleva, d'altro canto, interrogativi inquietanti su come, alla fine, diventi sempre più facile nascondere ai Giudici la verità, camuffando "convivenze more uxorio" in innoque amicizie, magari caratterizzate anche da un legame affettivo. Pertanto, pur condividendo l'iter logico che ha portato gli Ermellini a tale decisione, non possiamo che rimarcare le ripetutamente esposte perplessità, sottolineando come la materia delle separazioni e dei divorzi diventi ogni giorno più complessa e particolare. Prof. Avv. Domenico Lamanna Di SalvoMatrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore

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